lunedì 31 dicembre 2007

Musica celestiale/1

Il 24 marzo 1958 è una data che alla grande maggioranza delle persone dice poco o nulla. Ma è proprio in quel giorno che la corsa alla scoperta dello spazio si è arrestata per un attimo, forse di fronte al mistero e all’impossibilità umana di descriverlo. Quel giorno gli americani lanciarono l’ultimo di tre satelliti artificiali, due dei quali con nomi abbastanza significativi: Hope, L.E. e Faith, inviati l’uno dopo l’altro tra il 1955 e il 1958. Sono appunto i cinque uomini dell’equipaggio a bordo di Faith ( “Fede) e una donna su “L.E”i protagonisti di vicende che, se le deduzioni che molti fecero nei giorni successivi alla tragica conclusione dell’avventura di Hope fossero vere, potrebbero essere una conferma della cosmogonia di San Tommaso e di Dante, delle teorie dei grandi filosofi greci e anche di tradizioni culturali antichissime come quelle indiana, cinese e babilonese sulla musica generata dal movimento delle sfere celesti dei pianeti, riconducibile direttamente all’azione divina sul cosmo.

Palmer, Sough, Lasalle, Cosentino e Thompson sono i nomi di quelle persone che, nel loro ultimo istante della loro vita, potrebbero aver udito il suono celestiale della musica divina, alla cui suprema dolcezza il loro cuore non ha saputo resistere, cedendo di schianto. Un istante prima che le comunicazioni con la stazione terrestre si interrompessero per sempre, infatti, l’operatore radio Thompson pronunciò all’improvviso, nel mezzo di una conversazione di routine, parole enigmatiche rimaste in sospeso per sempre, ma tuttavia incise su nastri ancora oggi disponibili: “Damn it, but here we have got in…”. Dopodiché, un silenzio angosciante.

Questa storia è descritta poeticamente, usando al suo solito un linguaggio a metà tra la cronaca e la prosa letteraria, dallo scrittore bellunese Dino Buzzati in uno dei suoi bellissimi “Sessanta racconti”, piccoli gioielli segnati profondamente dal senso del mistero, della morte e da una forte inquietudine esistenziale espressa in forme fiabesche, fantastiche e surreali. E’proprio Buzzati, e altri con lui, a essere convinto che i satelliti “siano stati investiti dal suono a cui la nostra povera anima non resiste”: quello della musica divina che anima il cosmo. “Accidenti, ma qui siamo arrivati in Paradiso”: è questo, dice Buzzati, il logico completamento della frase di Thompson.

E’ sempre Buzzati, infatti, a ricordare che in precedenza, durante la missione di L.E., si era verificato un analogo episodio, lì per lì difficile da decifrare. Una donna, Lois Berger, uno dei tre membri dell’equipaggio, dopo aver trasmesso note sulla regolarità della temperatura e altri dati tecnici pronuncia una frase anomala: “What a sound…”; e poi, dopo un breve silenzio, “an odd…”. Ma anche qui la trasmissione si conclude bruscamente e definitivamente, segnando il destino di tre vite umane. “ Che rumore…una strana melodia”, così avrebbe potuto concludersi la frase della donna astronauta, seguendo l’ipotesi di Buzzati sugli astronauti “investiti” dalla divina melodia.

Dolci e tragiche fantasie poetiche, forse. Ma Pitagora, Platone e Aristotele, che la ragione sapevano usarla in maniera ineccepibile, non meno di tanti scienziati odierni e più di molti pseudo-scienziati, avevano intuito l’esistenza di una musica celestiale prodotta dalle sfere dei pianeti in movimento, un moto riconducibile direttamente a Dio. Dante Alighieri, in fondo, non aveva inventato quasi nulla descrivendo il Paradiso. D’altra parte è ben noto anche il fatto che Keplero, scienziato cristiano rigoroso ma anche cercatore di un significato metafisico da attribuire alla natura dell’Universo, abbia ripreso e approfondito questa teoria dell’armoniosa musica celeste.
Molto suggestiva in questo senso la riflessione sul significato riposto di alcune parole divine nel libro della Genesi (Gn 1, 1-31), per cui l’espressione “Dio disse ( tradotta anche a volte come “Dio ordinò”) andrebbe meglio resa con l’espressione “Dio cantò”, dato che pare sia questo il senso più profondo celato dietro al termine ebraico originale. Quindi, alla base dell’atto della creazione divina c’è proprio la musica. Il Verbum divino artefice della creazione si esplica quindi come canto melodioso, vera e propria musica creatrice.
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Paolo

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