sabato 30 luglio 2011

Nuova concezione dei «diritti umani» e sue ricadute

Part. IV
 La relativizzazione della vita: le conseguenze sul piano della tutela giuridica.

 Come già osservato, la concezione postmoderna dei «diritti fondamentali» relativizza la tutela della vita. La protezione più ampia è assicurata ai soggetti  capaci di atti spontanei di autodeterminazione. Agli altri soggetti, incapaci di tali atti, non è garantita la piena tutela da parte del diritto. Con particolare riferimento alla condizione giuridica del nostro paese questo è lo scenario attuale di relativizzazione della tutela della vita e della riduzione della persona a cosa.
Gli obiettivi della rivoluzione antiumana si muovono in due direzioni.

- In primo luogo, assistiamo all’approfondimento e all’attuazione, fino alle estreme conseguenze logiche, del concetto di diritto come espressione di autodeterminazione assoluta. Chi non è in grado di esprimere atti di coscienza è fuori dal circuito della protezione giuridica; simmetricamente, ogni evento che sorge da un atto spontaneo della coscienza sveglia è giuridicamente consentito, in quanto espressione di un «diritto fondamentale» del soggetto.
 A questa stregua, l’aborto deve diventare, anche normativamente, un «diritto» della donna,  Le previsioni limitatrici previste attualmente dalla legge 22.5.1978, n. 194 debbono essere rimosse o, comunque, aggirate attraverso il tendenziale passaggio all’aborto precoce e all’aborto chimico, in ottemperanza alla direttiva sull’aborto «sicuro» di cui alla risoluzione del Cairo del 1994. Qualcuno si è stupito della particolare acrimonia con cui gli esponenti della cultura radicale hanno aggredito le autorità politiche che hanno inteso recentemente garantire il rispetto dei requisiti della legge n. 194/1978 anche con riferimento all’uso dell’abortivo chimico denominato RU 486. Lo stupore nasce dall’ignoranza dello stato di avanzamento del processo rivoluzionario e dalla attribuzione di un carattere «normativo» alle risoluzioni delle Conferenze del Cairo e di Pechino. Ogni atto contrario all’intronizzazione dell’aborto come «diritto fondamentale» è, allo stato, eroico atto di resistenza all’ingiustizia immanente ai falsi princìpi viventi nello pseudo diritto internazionale delle organizzazioni che si ispirano alle agenzie dell’ONU.

Sul versante del termine della vita umana, forti pressioni massmediatiche, alimentate da una parte cospicua degli scienziati e dei giuristi, inducono a iscrivere come «diritto fondamentale» nel catalogo dei diritti il «diritto» a mettere fine alla propria vita, con la correlativa previsione dell’obbligo dei terzi, in particolare, dei medici e del personale sanitario, di aiutare il soggetto, liberamente autodeterminatosi alla morte, ovvero autonomamente candidatosi ad essere ucciso attraverso l’espressione di un consenso anticipato alla propria morte, a morire in attuazione del suo «diritto fondamentale». Le resistenze a una simile progettualità, che si sono concretizzate in atti legislativi di un ramo del Parlamento, sono presentate pubblicamente dai sostenitori dell’ideologia radicale come contrarie agli obblighi internazionali dell’Italia ovvero come contrarie alle decisioni giurisdizionali asseritamente assunte alla luce del diritto costituzionale vigente, in virtù del rilievo che l’art. 32 della Costituzione;
(La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.)


contrariamente alla sua lettera, alla sua storia e alla sua ratio, costituirebbe la fonte del «diritto assoluto all’autodeterminazione». Sul fronte degli «unfit» ,(coloro che non riescono ad autodeterminarsi) sempre più periclitante è la condizione dei bambini anencefalici e dei soggetti decorticati, la cui esistenza in vita, ancora garantita dalla legge, è contestata in forza di un concetto di morte che dovrebbe ricomprendere tutte le situazioni in cui è persistentemente assente la funzione della coscienza.

 - La seconda direzione in cui si muove la rivoluzione antiumana è l’attuazione di tutte le pretese discendenti dal «diritto al genere». L’orizzonte giuridico ultimo di queste pretese è la separazione tra la generazione, da un canto e, dall’altro, l’incontro unitivo dei corpi sessuati come «maschio» e come «femmina».  L’individuo, ridotto nella sua soggettività di «genere», di «molti generi» potrà pensare a soddisfare ludicamente le proprie fantasie di  «genere», senza alcuna preoccupazione per i problemi implicati dalla generazione. Essa non è affar loro. Tale compito spetta alla scienza e alle tecnologie che ne derivano. Certo, l’idea trascendentale «etero», che ritorna, quasi come anamnesi incancellabile della legge inscritta nella natura dell’uomo, costituisce un ostacolo allo sviluppo integrale dell’ideologia radicale. Essa ritorna sempre a imbrogliare le carte e a «eterosessualizzare» la sessualità, con l’inconveniente di una possibile generazione causata dall’incontro unitivo del «maschio» e della «femmina». Per evitare ciò occorre, come  si è già detto , «omosessualizzare» la sessualità con dispositivi sempre più invasivi, che condizionano psicologicamente, economicamente e culturalmente le maggioranze ancora eterosessuali. Ma ciò non basta. Contro la minaccia incombente proveniente dall’idea trascendentale «etero» occorre l’intervento della scienza, che alimenta il timore per il rischio che, con la procreazione per via unitiva dei sessi, gli uomini diano l’esistenza a soggetti «unfit», consentendo così a una razza umana geneticamente imperfetta di perpetuarsi indefinitamente. Affinché la scienza possa svolgere appieno il suo compito purificatore dei difetti della natura – si ricordi sempre che, in questa prospettiva, la natura è malvagia, perché creata dal demiurgo cattivo – dunque, affinché la scienza possa attuare la liberazione dell’individuo dal giogo della natura, occorre guadagnare una condizione giuridica di libera produzione e di piena disponibilità degli embrioni umani. Su questa base elementare e minimale di materia umana la scienza ricercherà i dispositivi tecnici migliori grazie ai quali la tecnologia provvederà alla generazione di soggetti «fit»(idonei,abili)

Come è evidente, il nuovo fronte di lotta – e, correlativamente, di protezione della persona – si sposta sul piano dell’embrione. La condizione degli embrioni umani è anch’essa a rischio sotto la minaccia della scienza e della giurisprudenza. La legge 19.2.2004, n. 40, che detta norme in materia di procreazione medicalmente assistita, pur avendo superato indenne la prova di un referendum abrogativo, è sottoposta a colpi di scure da parte di giudici, ordinari e costituzionali, che vedono impedito dalle sue norme il pieno espletamento dei «diritti fondamentali». Questa legge è particolarmente odiata dalla rivoluzione radicale per una serie di ragioni:
- 1. perché assicura i diritti del concepito, dunque, dell’embrione;
- 2. perché limita il ricorso alla procreazione medicalmente assistita ai casi in cui non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità;
- 3. perché vieta la procreazione medicalmente assistita «eterologa», preservando in qualche modo il significato procreativo alla coppia unita da un vincolo stabile;
- 4. perché vieta la procreazione medicalmente assistita ai single, nonché alle coppie i cui componenti non siano entrambi viventi, alle coppie composte da soggetti dello stesso sesso, alle coppie che non siano unite da coniugio o da una convivenza accertata;
- 5. perché vieta la organizzazione, la pubblicizzazione e la commercializzazione di gameti o di embrioni e la surrogazione di maternità;
-6. perché vieta i processi volti a realizzare la clonazione;
-7. perché vieta la sperimentazione su ciascun embrione umano;
- 8. perché limita la ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano al perseguimento di finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche volte alla salute e allo sviluppo dell’embrione stesso;
- 9. perché vieta la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione;
-10. perché vieta ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti, nonché interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminare caratteristiche genetiche.

Le disposizioni della legge n. 40/2004 costituiscono lo sbarramento estremo contro le pretese ultimative provenienti dalla proclamazione del «diritto alla salute riproduttiva» e del «diritto al genere». L’obiettivo delle correnti culturali che hanno imposto la loro agenda ai Governi consiste nella riduzione dell’umano a res e nella separazione «normativa», e non solo fattuale, tra generazione e unione sessuale, privando la donna e l’uomo della loro «maternità» e «paternità». Il passaggio più urgente che ora deve essere compiuto, secondo queste correnti, è la libera produzione, manipolazione e distruzione degli embrioni. Il secondo passaggio sarà la colpevolizzazione, per motivi eugenistici, di coloro che oseranno continuare a generare attraverso l’unione sessuale o, almeno, di coloro che si rifiuteranno di sottoporre gli embrioni alla selezione preventiva, per il rischio che diano la nascita a soggetti «unfit». Un passaggio ulteriore, che si intravede in lontananza, è la clonazione umana, che sancirebbe definitivamente l’appropriazione della generazione da parte della scienza.

Il  Magistero della Chiesa, con mirabile antiveggenza, che costituisce il segno evidente della permanente assistenza dello Spirito alla sua Chiesa, ha profetizzato, con un insegnamento integrante uno splendente mosaico d’oro zecchino, che l’unione dei sessi, inscritta nell’ordine della creazione come dono di Dio all’uomo, deve restare aperta alla fecondità -enciclica Humane Vitae- e che la generazione dei figli deve realizzarsi attraverso l’unione dei corpi, come frutto di un amore tra l’uomo e la donna che costituisce simbolo del mistero grande dell’amore di Cristo per la sua Chiesa, mistero rimasto per lunghi secoli nascosto e rivelato nei tempi ultimi come il «mistero della salvezza delle nazioni».

Tratto da Cristianità n.359
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roberto

venerdì 29 luglio 2011

“Ricordo di Cornelio Fabro”

Cornelio Fabro

di Gabriele De Anna

«Il 24 agosto ricorrerà il centenario della nascita del filosofo Cornelio Fabro, sacerdote della Congregazione delle Sacre Stimmate e professore presso prestigiose Università italiane ed estere. Fabro, originario di Flumignano di Talmassons (Udine), è morto nel 1995 a Roma, dove aveva trascorso gran parte della vita. Non è forse molto noto al grande pubblico, ma è un punto di riferimento costante tra gli studiosi a livello internazionale, tanto che per celebrare la ricorrenza sono state intraprese e sono in programma numerose iniziative, in Italia e all’estero. Tra queste, il convegno nazionale intitolato "Cornelio Fabro e la sua opera: temi di un pensiero vivo. A cento anni dalla nascita del filosofo friulano: 1911-2011"». [leggi tutto]

Nuova concezione dei «diritti umani» e sue ricadute

   Part.III
  La costruzione dell’ambiente per la cosificazione dell’uomo e della donna.

 Per la decostruzione dell’individuo separato dal sesso e la ricostruzione dell’individuo secondo il «genere» occorre creare un ambiente sociale adatto a cui si perviene attraverso una serie di dispositivi che Reiche ha definito di “omosessualizzazione della sessualità”, consistente tanto nella uniformazione dei sessi tra loro, quanto nell’avvicinamento del mondo e della cultura eterosessuale al mondo e alla cultura omosessuale. L’omosessualità, dunque, deve costituire, avvalendosi della forma giuridica e con il potente aiuto della comunicazione mass-mediatica, il motore per l’attuazione dei modelli omosessuali di vita, per la costruzione del nuovo dis-ordine etico mondiale.
 La cultura della maggioranza eterosessuale e il suo stile di vita devono allinearsi a quelli della minoranza omosessuale: le norme giuridiche che introducono il divieto della cosiddetta omofobia vanno in questa direzione, sostanzialmente persecutoria nei confronti dello stile di vita delle maggioranze. Le modalità di vita pioneristicamente adottate nella cultura omosessuale vengono promosse come modello della vita eterosessuale, per propiziare un allineamento culturale, prodromico all’omosessualizzazione della sessualità.

I segnali di questa omosessualizzazione sono evidenti nella società contemporanea.
- Il primo segnale,  la sostituzione del concetto di famiglia a quello di convivenza, nelle varie  costellazioni semantiche :
- La famiglia del fine settimana;
- genitori single;
-rapporto di coppia a tempo determinato;
- concubinato tra pensionati;
Il diritto avrebbe il compito di riconoscere le nuove configurazioni sociologiche, adattando gli istituti giuridici all’attuazione dei «diritti» delle coppie, in funzione del consenso reciproco alla convivenza fin tanto che gli interessi comuni sono condivisi. In questo quadro si comprendono le spinte verso la parificazione delle convivenze registrate alla famiglia; la riduzione dei termini e delle formalità per accedere al divorzio; la semplificazione delle procedure e dei requisiti per ottenere i sussidi pubblici e la reversibilità delle pensioni.
Il modello è la coppia omosessuale. Come in quest’ultima, anche nella coppia eterosessuale vanno rideterminate, di volta in volta, in base allo scambio dei consensi, le condizioni della convivenza, soprattutto con riferimento alle pratiche sessuali – in quale luogo, con chi e quanto spesso – che sono compatibili con la permanenza del rapporto.

-Il secondo segnale è il passaggio della coppia alla mancanza di figli. Come la coppia omosessuale è sterile, così deve essere per la coppia eterosessuale. Poiché il figlio dipende dal sesso e poiché il «genere» sostituisce il sesso, la procreazione non è più l’opportunità precipua della coppia. Il figlio, se il soggetto lo desidera, verrà «fatto» al di fuori del rapporto di coppia, attraverso la riproduzione con strumenti tecnologici. Il diritto dovrebbe rincorrere questo desiderio, inteso come «diritto» del singolo ad avere un figlio, riconoscendo l’accesso alla riproduzione artificiale non soltanto alla coppia eterosessuale, ma altresì alla coppia omosessuale e al single.

-Il terzo segnale è il passaggio dalla stabilità alla mobilità. Il fenomeno è visibile particolarmente nelle classi elevate, per ovvie ragioni economiche. La sfera della circolazione, sia per ragioni professionali che per ragioni di svago, prevale sulla stabilità, distruggendo la coppia stabile non soltanto in senso diacronico, ma anche in senso spaziale. La coppia si automodifica continuamente, avvalendosi dell’autosufficienza del reddito di ciascun single, sul modello del potenziale di mobilità degli omosessuali, la cui biografia empirica rivela una circolazione orizzontale assai spiccata.

-Il quarto segnale è il passaggio da una sessualità che vede al suo centro il rapporto genitale, come espressione della coniugalità, ad una sessualità pandemica, che si esprime in una pluralità di pratiche paracoitali, che vanno – sotto la guida della pornografia – dall’onanismo alle comunicazioni sessuali designate come cybersex e sesso virtuale, fino alle esperienze di gruppo di tipo sadomasochistico.

- Il quinto segnale è la femminilizzazione dell’uomo e la mascolinizzazione della donna, sempre più dipendenti, nelle pratiche dei fitness-centers e nelle attività sportive, da un identico modello androgino. L’uomo, in questa prospettiva, deve proporsi, come la donna, in modo sessualmente attraente, dando risalto sessuale al corpo e portando sul proprio corpo attributi-feticcio, come gioielli, anelli e orecchini, allo stesso modo della donna. Quest’ultima, all’inverso, deve riscrivere il proprio corpo secondo strutture muscolari e articolazioni fisiche che l’avvicinano al corpo maschile.

Il processo descrive una lotta contro l’uomo in quanto creato a immagine e somiglianza di Dio. Il processo ha un evidente significato, oltre che antropologico e filosofico, anche teologico, che ripete, con modalità e strumenti scientistici, la lotta contro la famiglia e la generazione che imperversò nei primi secoli dell’era cristiana,eresie che focalizzavano nella fecondità della relazione coniugale tra l’uomo e la donna la fonte di ogni male. Queste dottrine non rifiutavano il piacere e la soddisfazione carnale, ma dichiaravano malvagio il coniugio e la fecondità inerente al matrimonio. L’eretico Marcione (ca. 85 – seconda metà del II secolo) vietava la generazione, affinché il genere umano non concorresse con l’opera dal demiurgo maligno nel moltiplicare il genere umano. Altri eretici, come Basilide (fine sec. I – metà sec. II), al dire di Clemente Alessandrino (metà sec. II – c.a. 211) , predicavano un rigorismo ed ascetismo estremo, con l’astinenza dalle nozze, condannando il matrimonio come cosa immonda. Pur nella radicale opposizione, identico era l’obiettivo cui le varie dottrine miravano, condannare le nozze come intrinsecamente malvagie, ferendole nella loro fondamentale vocazione e nel loro presupposto morale, d’essere, cioè, aperte alla procreazione di nuove vite. La fecondità era negata ora in forza della massimizzazione del piacere carnale, ora in ragione del più cupo ascetismo; ciò che a tutti importava era che il sesso fosse comunque sterile e snaturato.

Tratto da Cristianità n.359
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roberto

giovedì 28 luglio 2011

Genuflessi al protestantesimo

Vade retro !
Il fronte modernista (che vuole le donne-prete, i preti maritati, e i divorziati comunicati) minaccia lo scisma: centinaia di sacerdoti e teologi ricattano la Chiesa che, secondo loro, dovrebbe diventare protestante.
La soluzione della crisi sarebbe semplicissima - scomuniche a tappeto pubbliche come il napalm in Vietnam - ma nessuno se la sente d’infrangere il diktat buonista postconciliare.
Gli unici a lasciarci la pelle (non in senso figurato) sono i fedeli inermi, che rischiano la dannazione eterna per l’irreperibilità dei curati.

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silvio

mercoledì 27 luglio 2011

Nuova concezione dei «diritti umani» e sue ricadute

Part.II                                                         
Il «diritto al genere»

Poste nella Conferenza del Cairo del 1994 le basi del nuovo modello etico del «diritto alla salute riproduttiva», la conferenza di Pechino del 1995 sulle donne compì un passo ulteriore nella stessa direzione, erigendo il concetto di «genere»  Da allora molti Governi – fin dall’inizio, con grande dispendio di risorse economiche, l’Amministrazione Clinton, il Governo canadese e l’Unione europea – nonché la gran parte delle agenzie dell’ONU si sono impegnate a infondere nelle istituzioni la «prospettiva di genere». La «prospettiva di genere» è definita come l’azione volta a “[...] distinguere tra quello che è naturale e biologico da quello che è costruito socialmente e culturalmente, e nel processo rinegoziare i confini tra il naturale – e la sua relativa inflessibilità – e il sociale – e la sua relativa modificabilità”.

Monsignor  Michel Schooyans già nel 1997 ha messo in evidenza che in tale ideologia sono coalizzate, secondo una moderna rivisitazione, frammenti del socialismo e del liberalismo, volti a «giustificare» la decostruzione dei fondamenti della vita sociale nel disprezzo della vita umana: “Le due ideologie in oggetto sono coalizzate verso questo scopo; e ciò spiega la violenza, senza precedente nella storia, che si scatena contro la vita umana”
-Riprendendo i temi svolti da Friedrich Engels, con l’istanza socialistica viene posto al centro della dinamica sociale il nucleo originario della lotta di classe, che sarebbe costituita dall’antagonismo fra l’uomo e la donna, espresso nel matrimonio monogamico e nell’oppressione della donna da parte dell’uomo.
- Le correnti neomalthusiane d’impronta utilitaristica insistono sul «diritto» dell’uomo di esercitare il potere sulla trasmissione della vita, nonché sul «diritto» al piacere come bene per eccellenza.
-Va aggiunta a ciò l’influenza dello strutturalismo, che rifiuta di ragionare in termini di natura umana e vede in essa una semplice struttura, oggetto di scienza, costruita attualmente su elementi che debbono essere «decostruiti» per ricondurre l’uomo alle forme di vita animale e vegetale e, in ultima analisi, alla materia.
- Passaggio decisivo che l’umanità post-moderna deve compiere nell’opera di «decostruzione» è eliminare le differenze tra i sessi, che non sarebbero inscritte nella natura, ma sarebbero frutto esclusivo dello sviluppo culturale nella storia.

Secondo l’ideologia del «genere» spetta alla donna condurre in prima fila la lotta di liberazione, non soltanto con l’eliminazione dei privilegi maschili, ma, soprattutto, con l’abolizione di tutte le differenze tra uomini e donne. La donna, in particolare, dovrebbe rifiutare la sua vocazione di madre, perché in ciò si radica l’ingiustizia sociale che le impedisce di essere uguale all’uomo in termini di funzione sociale. Come dice Mons. Schooyans, “Né l’eterosessualità né la procreazione che vi è legata possono pretendere di essere «naturali»; essi sono prodotti culturali «biologizzati». E’ la società che ha inventato i ruoli maschile e femminile e la famiglia, che ne è conseguenza. Occorre dunque instaurare una cultura che nega una qualsivoglia importanza alle differenze genitali. Con la scomparsa di queste differenze spariranno il matrimonio, la maternità, la famiglia biologica radicata. Questa cultura ammetterà tutti i tipi di pratica sessuale, correlativamente, rifiuterà ogni forma di repressione sessuale”.

 Il «diritto al genere» è la distruzione della persona, come già detto per il "diritto alla salute riproduttiva", se il diritto non è una facoltà morale intrinsecamente inerente al soggetto per conseguire il bene conosciuto con la ragione, bensì l’autodeterminazione assoluta del soggetto, nell’impulso del soggetto a scegliere qualsiasi oggetto che egli di fatto sia capace di raggiungere o di produrre, senza alcun limite che non sia costituito dalla medesima libertà di scelta degli altri uomini, discende in modo logicamente necessario che i soggetti umani vanno distinti in due categorie:
- quelli pleno iure, in quanto capaci di esprimere e di attuare delle scelte,
- quelli con diritti limitati, in quanto incapaci attualmente di compierle.
Agli appartenenti a questa seconda categoria possono essere riconosciuti degli interessi, mai però tali da implicare la protezione assoluta della legge. Questi interessi sono, perciò, suscettibili di risultare subvalenti rispetto ai «diritti» di cui sono portatori i soggetti pleno iure.
 Essi non godono della protezione della legge in quanto titolari di una dignità inalienabile ricollegata alla loro natura umana, bensì di una protezione relativa e condizionata, quella che si riserva alle «cose» socialmente apprezzabili fin tanto che non urtano i «diritti» dei soggetti «forti».

Ci si avvia  così alla relativizzazione utilitaristica ed edonistica della tutela giuridica,
Non si protegge il soggetto, come suppositum o persona, bensì, esclusivamente, la sua libertà di scelta e di autodeterminazione.
Il paradosso consiste in ciò, che attraverso la promozione del «diritto alla scelta» viene negata la tutela della stessa persona umana.
Il processo che conduce alla scomparsa della tutela della persona è perfettamente analogo al processo che porta, con l’ideologia del «genere», alla scomparsa del sesso. Il concetto di «genere» non può essere spiegato se non per opposizione al concetto di sesso. 
 Come dice Reimut Reiche, sociologo e psicoanalista tedesco di formazione marxista, “[...] dove si parla di gender viene rimosso il sex”].
 L’eliminazione del sesso va di pari passo con l’eliminazione della generazione eterosessuale, in forza della convinzione che per distruggere il «primato dell’eterosessualità» – che ineludibilmente indica l’uomo essere «maschio» e «femmina» – occorre distruggere qualsiasi legame tra il sesso e la generazione.
Ma è cosa vecchia!
L’odio contro la generazione, che si espresse nei primi secoli del Cristianesimo come motivo comune alle varie eresie gnosticistiche, rivela una particolare malizia. Rifiutando, invero, il dono fatto da Dio agli uomini, di essere stati creati «maschio» e «femmina», respinge in radice il bene della complementarietà sessuale e del sostegno spirituale tra i sessi in vista della pro-creazione, cioè della vocazione, inscritta nella biologia, nella psicologia e nell’anima spirituale dell’uomo e della donna, a collaborare con Dio nella moltiplicazione del genere umano e nella partecipazione degli uomini alla vita divina. Nella generatività umana, dipendente dalla fusione in unum dei corpi, v’è un segno finito della infinita generatività di Dio, che è Amore infinito che genera dall’eternità il Figlio. Amore reciproco tanto grande che dal Padre e dal Figlio procede una terza persona, lo Spirito Santo. Dio avrebbe potuto creare l’uomo tutto intero, e non soltanto l’anima, in modo diretto, senza bisogno del suo apporto, facendolo gemmare dai fiori o spuntare dalle pietre. Egli ha voluto, invece, nella sua eterna sapienza, limitare la sua infinita potenza creativa ricollegandola all’atto generativo dell’uomo e della donna, affinché essi potessero, grazie a questo dono immenso, collaborare con lui nel dare la vita a nuovi uomini e donne, partecipando così alla sua opera creativa.

Ecco che  gli agenti della dissoluzione sono i corpi che si muovono «al di fuori della norma», che la femminista filosofo Judith Butler individua con le espressioni dello slang in drag (travestito), fag (checca) e queer (deviante). La lotta del femminismo radicale non si limita a indurre la società al riconoscimento giuridico dei «diritti delle minoranze sessuali», ma va oltre, fino a mostrare che l’identità non è più il «maschio» o la «femmina», bensì il «genere», come incessante decostruzione e ricostruzione, come qualcosa di sempre nuovo, come indefinitamente plurale, come qualcosa che va al di là del «2» dell’uomo e della donna. Il «genere», dunque, senza base nel sesso, come molti generi, in continua evoluzione, nel tempo, durante la medesima esistenza, in cui l’individuo via via si riconosce, senza riconoscersi in un sesso, essendo la sua identità null’altro che continua mutazione.

Tratto da Cristianità n.359

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roberto

Equivoci della teologia moderna

Xavier Tilliette
Prendo Xavier Tilliette, filosofo e teologo gesuita, come esempio per dire qualcosa sul malinteso a fondamento della teologia cattolica del XX secolo.
Il giornalista Francesco Tomatis domanda a Tilliette qualcosa sull’«intuizione intellettuale». Il teologo risponde di credere che il «mistero, il segreto, l’ignoto faccia parte della filosofia». Certamente - e anche della scienza in generale. Ma alla domanda di Tomatis «È il culmine del sapere come dotta ignoranza?», Tilliette risponde: «O come ignoranza senza essere dotta. Bisogna […] vedere la filosofia come una scienza sempre in ricerca, in divenire». Qua invece si manifesta il malinteso, l’equivoco.
È vero che nei filosofi pagani la speculazione ha pure un significato di ricerca. Ma, soprattutto, i filosofi volevano donare al mondo una soluzione e non tanto inaugurare l’esordio di una discussione infinita. Cioè i filosofi - e massimamente Eraclito, Pitagora, Socrate, Platone e Aristotele - cercavano il modo di comunicare la scoperta dell’esistenza di un fondamento; di un Logos; della sostanza sulla quale sussiste la realtà.
Tanto più i filosofi cristiani annunciarono al mondo che il Logos della realtà è Gesù Cristo: la loro vocazione fu di esprimersi su un Qualcuno reale, incontrato, vissuto e conosciuto intimamente. Non intesero, questi Dottori, fare della Trinità un oggetto di ricerca, se non traducendo razionalmente quanto del Mistero andava disvelandosi alla fede.
Come dice Teodorico Moretti-Costanzi, grande interprete di San Bonaventura, la vecchina che prega più del Dottore di teologia, conosce anche più di quel Dottore. L’ignoranza dell'autentico fedele, cioè, è sempre “dotta”. Se un teologo fa le lodi dell’«ignoranza non dotta», è meglio che cambi mestiere.
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silvio

martedì 26 luglio 2011

Il Capitano

«Obbedire è un verbo che non si coniuga più o si considera con estrema fatica […] dunque anche un prete non ha più da obbedire a nulla che non sia la sua opinione di coscienza, che in Lutero fondava nuove chiese […], oggi fonda la perfetta pretesa di sottomissione dei canoni ecclesiastici alle ideologie della mainstream sociale e alla legge dello stato».
Giuliano Ferrara, © Il Foglio

Anche Paolo Rodari ci rammenta i guai della Chiesa che «naviga da sempre nel mondo, ma in queste ore le acque sono molto agitate». Le acque del mondo in realtà sono state sempre agitate e proprio della Chiesa è il navigare nella tempesta. Una delle icone più rappresentative della Chiesa è difatti la barca di Pietro che solca il mare grosso e le onde furiose.
Il problema è un altro e cioè che non vi sia l’ammutinamento generale, da parte di chi perde la speranza del porto e non sopporta l’obbedienza al capitano.
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silvio

lunedì 25 luglio 2011

Nuova concezione dei «diritti umani» e sue ricadute

part.I
Il diritto «alla salute riproduttiva»

La persona è, per il diritto ancora oggi vigente, una sostanza individuale appartenente alla natura razionale per il solo fatto di esistere. In quanto tale alla persona spetta una tutela giuridica in-condizionata da parte della legge. L'ideologia postmoderna dei «diritti umani consisterebbe, invece, nell’impulso del soggetto a scegliere qualsiasi oggetto che egli di fatto sia capace di raggiungere o di produrre, l’autodeterminazione assoluta,la spontaneità sarebbero il fondamento e allo stesso tempo l’oggetto del «diritto». Questa nuova concezione dei «diritti umani» ha una ricaduta immediata sul concetto di persona umana distruggendola sul piano pratico e su quello della considerazione giuridica. La persona, infatti, nel nuovo paradigma giuridico, ridotta alla spontaneità della scelta, all’autodeterminazione finalistica e irrazionale, alla soddisfazione dell’appetizione sensibile,merita protezione da parte della legge non in quanto valore in sé e per sé, per il semplice fatto di esistere, ma nella misura in cui è capace di esprimersi nel mondo come impulso cosciente rivolto alla soddisfazione di un «io» ripiegato e chiuso in se stesso. il «diritto alla salute riproduttiva», proclamato alla conferenza del Cairo nel 1994 ne è un caso esemplare, frutto dell’applicazione materialistica delle scoperte scientifiche e del nuovo paradigma dei diritti umani. La separazione fra sessualità e procreazione, attraverso sistemi di controllo delle nascite, fu il motivo centrale del paradigma femminista rappresentato nella prima metà del secolo XX dalla figura carismatica di Margaret Sanger (1879-1966). L’incontro fra eugenismo e femminismo, avvenuto nei primi decenni del secolo XX grazie all’opera della Sanger, fu un fattore decisivo di successo del movimento, perché coniugò il momento scientistico con quello individualistico. La donna, in quanto proprietaria del suo corpo e della sua sessualità, dovrebbe godere del piacere fornito dal corpo come un diritto assoluto. Ella non sarebbe libera se non nella misura in cui può decidere liberamente se essere madre o non esserlo: l’accesso alla contraccezione e l’aborto sarebbero diritti individuali strumentali alla realizzazione del suo diritto di scelta e di libertà .Dall’incontro fra il diritto di scelta assoluto e il diritto alla salute è nato il post-moderno diritto fondamentale «alla salute riproduttiva».

Dentro la salute riproduttiva sta inscritto un numero tendenzialmente illimitato di «diritti», suscettibili di continuo accrescimento in funzione della dilatazione delle tecnologie artificiali riproduttive e antiriproduttive alcuni sono scritti espressamente nel documento del Cairo, altri sviluppati successivamente.

- Il diritto all’ informazione e all accesso gratuito alla gamma completa di contraccettivi, ivi compresi gli abortivi precoci, come sono quelli riconducibili alla «contraccezione d’urgenza», alla «pillola del giorno dopo», allaRU486;

- il «diritto»alla sterilizzazione;

- il «diritto» all’aborto «senza rischi» praticato a spese della collettività;

- il «diritto» alla fecondazione in vitro ;

- il «diritto» all’informazione e alla fornitura di tutto ciò che concerne i diritti sessuali e riproduttivi;

- il «diritto», perfino ad avere un figlio «sano». «Diritto», quest’ultimo che postula il «diritto» alla selezione prenatale, se la fecondazione avviene nel corpo della donna; e alla distruzione degli embrioni se la fecondazione è in vitro.

Traspare con chiarezza dal documento del Cairo che il concetto di salute riproduttiva presenta due facce: l’una, fondata sull’utopia postmoderna del diritto di scegliere e dell’assoluta autonomia dell’individuo; l’altra, fondata sulla pratica postmoderna del dominio scientistico delle tecnologie sulle varie sequenze relative al sorgere e allo svilupparsi della vita
Il «diritto alla salute riproduttiva» costituisce l’espressione giuridica di sintesi del nuovo paradigma etico: l’interesse al piacere, declinato secondo la misura della libera scelta individuale, nonché l’interesse ad avere o a non avere un figlio, fondano il «diritto» a ogni forma di contraccezione, anche abortiva, nonché alla sterilizzazione, all’aborto «sicuro», cioè privo di rischi per la salute di chi lo richiede.

L’interesse alla salute, intesa come condizione di pieno benessere fisico e psicologico della donna, fonda analogamente il «diritto» all’aborto; l’interesse ad avere un figlio, come e quando si vuole e con chi si vuole, fonda il «diritto» alla riproduzione artificiale; l’interesse individuale ad avere un figlio sano e l’interesse sociale a evitare i costi per la cura dei soggetti fisicamente e psichicamente inadeguati fondano il «diritto» alla selezione prenatale, nonché alla distruzione degli embrioni dotati di qualità inferiori. L’interesse della scienza al progresso scientifico fonda il «diritto» alla sperimentazione sugli embrioni, alla loro utilizzazione e alla loro distruzione.

Questo diritto di scelta, peraltro, presenta un corrispettivo oscuro, che raramente viene sottolineato, al fine di occultare le implicazioni pregiudizievoli per la donna ricollegabili al cambiamento del paradigma etico, che monsignor Schooyans ha chiaramente individuato, sulla falsariga di uno scritto di Max Weber (1864-1920), nel passaggio dall’etica della convinzione, basata sul giudizio in ordine a ciò che è bene e ciò che è male, all’etica della responsabilità, per cui si può fare quello che si vuole, ma ci si deve fare carico delle conseguenze prevedibili dei propri atti

Il filosofo Peter Singer, nell’opera "Ripensare la vita" nel riscrivere i comandamenti, ha sostenuto che il secondo comandamento della nuova etica è:

«assumiti la responsabilità delle conseguenze delle tue decisioni» È evidente che, nella logica del «diritto alla scelta», la donna può anche decidere di non abortire il figlio affetto dalla sindrome di Down; ella dovrà però essere consapevole della responsabilità di tale scelta, assumendo su di sé il peso delle conseguenze che essa implica, senza poter previamente contare su alcun sostegno da parte della collettività. Il controllo tecnologico sulla vita è l’orizzonte finalistico della salute riproduttiva; il «diritto» arbitrario di scelta individuale, alimentato dalla sensualità e dall’orgoglio, è lo strumento di cui lo scientismo si avvale per ottenere il controllo potestativo sulla vita umana, che si arroga il «diritto» di giudicare quale vita meriti e quale non meriti di vivere.

tratto da cristianità n.359
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roberto

sabato 23 luglio 2011

Solletico sui sensi


«Avevo imparato da mio padre che era cosa blasfema considerare le funzioni dell'arte come semplicemente intese a riprodurre un dato tipo di piacere sensibile o, al massimo, a procurare passeggeri brividi di emozione. Avevo sempre saputo che l'arte era contemplazione e interessava l'attività delle più alte facoltà umane».
Thomas Merton, La montagna dalle sette balze

C’è un’arte dei fenomeni, non interessata alla sostanza. Ovvero un’arte di quello che appare, non di quello che è. Quest’arte solletica i sensi, cosicché nella mente si forma un concetto di superficie. Non avendo operato un granché, quel piccolo piacere lascia un’impronta insignificante, della quale muore il ricordo.
Resta invece l’insoddisfazione dei sensi, che va ricercando piaceri più grandi. Inappagata è pure l’anima, che perde ogni interesse alle sostanze e ai significati.

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silvio

mercoledì 20 luglio 2011

“Un italiano non negoziabile”

di Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste

«Perché Benedetto XVI insiste tanto sui cosiddetti principi non negoziabili? E la Chiesa italiana sta facendo quanto è possibile su questo fronte? Mi sembra importante spingere per la riflessione e il confronto su questo grande tema. Sono convinto che da esso dipenda sia una corretta visione della Chiesa sia una giusta visione dei rapporti della Chiesa con il mondo. Se invece l’argomento viene eluso, ossequiato formalmente ma non attraversato in pieno, non si guadagnerà granché in chiarezza, né il popolo cristiano troverà un proprio percorso comune nella società di oggi.
I principi non negoziabili sono stati enunciati in più occasioni da Benedetto XVI. Sia l’espressione sia l’elenco erano però già presenti nella Nota dottrinale su alcune questioni riguardanti l’impegno sociale e politico dei cattolici che la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicò nel 2002, a firma dell’allora Prefetto Cardinale Joseph Ratzinger. Pur trattandosi di un elenco di tematiche – la vita, la famiglia, la libertà di educazione soprattutto – essi non vanno intesi solo come degli argomenti di una agenda politica, ma come un orizzonte strategico dentro cui muoversi affinché la disgregazione della modernità venga frenata e con essa la riduzione della fede cristiana ad “utile cagnolino da salotto” o a “hobby personale”». [leggi tutto]

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silvio

martedì 19 luglio 2011

“Tutto ciò che accade ha un significato” - I Parte

Di nuovo Roberto de Mattei - per intervento la Divina Provvidenza forse - dice quello che i predicatori “ufficiali” non si sentono più di dire. Le cose non sono presenti a casaccio e i fatti non avvengono fortuitamente. Nel riproporre suddette ovvietà (cattolicissime) oggi si rischia di essere linciati sia all’esterno, sia all’interno della Chiesa.

«Cari amici di Radio Maria e voi, signori ateisti, che con tanta attenzione seguite le mie trasmissioni e quelle di Padre Livio, questa sera non posso che chiarire e sviluppare i temi di cui alcuni gruppi e lobby mediatiche si sono serviti per attaccare violentemente Radio Maria e me, fino al punto di chiedere le mie dimissioni da Vice Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, malgrado mai in questa trasmissione io abbia parlato a nome del CNR o abbia fatto riferimento ad esso.
Anche oggi parlo come cattolico e come uomo libero, e come tale, dai microfoni di Radio Maria, una radio cattolica e privata, desidero ribadire una verità elementare, una verità che nasce dal buon senso prima ancora che dalle fede: tutto ciò che accade ha un significato; tutto, in una parola, è Divina Provvidenza.
La Divina Provvidenza non è altro che Dio, considerato non in sé stesso, ma nel suo rapporto con le cose create». [leggi tutto]

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silvio