sabato 30 aprile 2011

FAMIGLIE AL CINEMA



NON LASCIARMI
Never Let Me Go
di Mark Romanek, GB, 2010
Interpreti: Carey Mulligan (Kathy), Andrew Garfield (Tommy), Keira Knightley (Ruth), Charlotte Rampling (Miss Emily)
Tratto dal romanzo di Kazuo Ishiguro

Nel saggio Eugenetica e altri malanni del 1922 lo scrittore G.K. Chesterton scrive che la teoria eugenetica pensa di poter migliorare la specie umana attraverso la selezione di caratteri fisici e mentali sani ed eliminando gli altri, per questo “è esaltata con nobili professioni di idealismo e benevolenza, con una retorica assai eloquente su una maternità più pura e una posterità più felice; ma solo perché il male è sempre adulato” e purtroppo “annovera molti seguaci le cui intenzioni sono assolutamente in buona fede”. Nel film questo sembra il ritratto perfetto di Miss Emily, la preside del collegio di Hailsham, dove si accudiscono e si allevano fanciulli clonati per ragioni terapeutiche e che quindi, a un'età prestabilita, saranno destinati a donare i propri organi per curare gli umani originali. La donna è convinta di lottare per il progresso, parla addirittura di “etica del dono” fino ad essere fiera di aver dimostrato che anche loro, i clonati, possiedono un'anima, da sottomettere comunque a chi li ha creati. Potrebbe sembrare la riproposizione di classici temi fantascientifici, invece la storia, narrata in prima persona da un clone, Kathy, inizia nel 1978 e si conclude nel 1994. Viene descritto dunque qualcosa che è già accaduto e che influisce sul nostro presente: la clonazione umana non è più un tabù e coloro che la sperimentano utilizzano gli argomenti di miss Emily per giustificare la propria volontà di potenza. Gli ambienti sono realistici, i colori grigi e freddi, la regia indugia su lunghi silenzi carichi di angoscia e di apatia. Recitazione sommessa, dialoghi essenziali, atmosfera asettica, come se tutta la storia si svolgesse in un obitorio. Ciò che comunque emerge di più dal racconto non è tanto una condanna della clonazione umana, bensì l'analitica descrizione del risveglio dei sentimenti primari di amore e amicizia in esseri senza identità, sottoposti al totalitario controllo di chi li ha prodotti. La narratrice racconta di sé, di Tommy (di cui è segretamente innamorata) e della sua amante Ruth. È un triangolo in cui gelosie, menzogne, sensi di colpa e affetto diventano la prova che anche i cloni hanno un'anima. Però tutto avviene sempre in un mondo separato, in cui i protagonisti non entrano quasi mai in contatto con la realtà, reclusi come schiavi, senza nemmeno rendersi conto di esserlo. Infatti l'aspetto più singolare e spiazzante è la stoica accettazione del proprio destino da parte dei cloni e la rivendicazione quasi orgogliosa del compito svolto bene. Non c'è alcuna ribellione, nessuna domanda sul senso della vita e sul destino dell'anima, solo la speranza di vedere riconosciuta la legittimità delle proprie emozioni e di avere un tempo maggiore da passare con chi si ama. Kathy stessa alla fine si chiede se questo desiderio in fondo non accomuni tutte le specie, fornendoci così un chiaro indizio sul significato dell'intera vicenda: cloni siamo tutti noi quando ci rassegniamo alla condizione esistenziale di chi ha un'origine e una meta ben definita ma tutta compresa in un orizzonte solamente materiale, e per questo ci aggrappiamo mestamente ai sentimenti come ad una zattera salvifica (nelle sequenze conclusive i tre amici si ritrovano sulla spiaggia, come naufraghi, attorno a un relitto). Dunque non solo e non tanto riflessione sui limiti della scienza, bensì meditazione dolente sui confini del mistero dell'uomo, sulla sua fragilità accettata forse con un po' troppa remissività, e senza la volontà di andare oltre.
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LUCA 

giovedì 28 aprile 2011

Ancora su Teodorico Moretti-Costanzi

In questa sede avevamo già trattato del grande metafisico. In particolare su quanto scrisse circa San Bonaventura da Bagnoregio.
Recupero ora un articolo nel merito di Emanuela Ghini:

La metafisica di san Francesco

«La vita appartata e la grande discrezione di Teodorico Moretti-Costanzi (1912-1995), docente di filosofia teoretica nell’università di Bologna (1952-1983) sono forse una delle cause della scarsa conoscenza del suo pensiero, non elitario e per certi aspetti profetico, ma espresso in stile arduo. Molto prima che la tematica del rapporto ragione-fede fosse di comune dominio, e fosse rivolto a tutti l’invito a “un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa” (Ratzinger), Moretti-Costanzi ne fece un luogo importante della sua riflessione, dove il rapporto tra filosofia e fede è dominante.» [leggi tutto]
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silvio

martedì 26 aprile 2011

sabato 23 aprile 2011

LA RESURREZIONE DI GESU'

                                        
                                                 BUONA SANTA PASQUA AI LETTORI DI SIVAN

La promessa è certa: se moriamo con Cristo, vivremo eternamente con lui; se soffriamo paziententemente con Cristo, regneremo con lui (cf 2 Tm 2,11-12). I re della terra, dopo la vittoria sui nemici, dividono i beni conquistati con quelli che hanno combattuto insieme a loro. Così farà Gesù nel giorno del giudizio: farà parte dei beni celesti a tutti coloro che hanno faticato e sofferto per la sua gloria.

s.Alfonso Maria de' Liguori
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venerdì 22 aprile 2011

Inchiesta sulla Sindone

Prof. Giulio Fanti, sindonologo
Come tutto ciò che attiene ai fatti connessi direttamente o indirettamente alla Rivelazione divina, anche la Sacra Sindone ha due “storie”. Il lenzuolo venerato come sudario funebre di Gesù Cristo, cioè, ha una storia spirituale e una storia scientifico-teologica, un itinerario devozionale e un itinerario speculativo e sperimentale. Questo non può essere strano, perché il Dio che si è rivelato all’uomo è un Dio incarnato; un Dio presente nel culto e nell’anima umana, ma rintracciabile anche cercandone indizi nelle cose create.
Quanto alla storia devozionale, il volto iconico di Gesù è stato oggetto di grande venerazione già durante i primi secoli dell’era cristiana, molto tempo prima quindi della comparsa della Sindone, in epoca tardo-medievale.
Quanto alla storia scientifica, essa ha origine solo in epoca moderna, dopo la prima foto scattata al sacro telo da Secondo Pia il 25 maggio 1898. Da quella data la ricerca è proseguita ininterrottamente fino ad oggi, a livello internazionale. Un gran numero di scienziati ha investigato a fondo la reliquia, anche con l’ausilio di complessi apparecchi tecnologici. Lo studio della Sindone è divenuto addirittura una disciplina scientifica, da quando negli anni Cinquanta del XX secolo si coniò il termine “sindonologia”: si intendeva dare un fondamento tecnico e sperimentale, che potesse confermare o almeno supporre ragionevolmente l’identità tra l’uomo della Sindone e il Gesù storico. [leggi tutto]

Silvio Brachetta - © Vita Nuova

Venerdì Santo

Giovanni Battista Pergolesi - Stabat Mater Dolorosa


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silvio

mercoledì 20 aprile 2011

Regalo di Pasqua


In Ungheria ce l’hanno fatta: i conservatori del partito Fidesz hanno cambiato la Costituzione. E già qua emerge una celerità (sono bastati undici mesi di lavoro) e un’autorevolezza sconosciuta alla penisola fantozziana.
No c’è molto, molto di più. È specificato nel preambolo a caratteri cubitali che Dio e la Cristianità sono elementi fondanti della nazione magiara. Di meraviglia in meraviglia: viene ridotto lo strapotere della Corte Costituzionale e ribattezzata l’Ungheria, non più “Repubblica”. Tutte cose da noi impossibili nemmeno da immaginare.
Ovviamente i sanculotti sono piombati nel panico. Sono preoccupati perché l’Ungheria «compie un passo avanti nella proibizione dell’aborto», per cui «si scopre da oggi paese confessionale» e «programmaticamente antiaborto». Si parla addirittura di «allarme europeo per la nuova costituzione ungherese».
Beh, gli ungheresi si sono liberati di quel ferro vecchio risalente al 1949. Il nostro ferro vecchio ha più o meno la stessa età e mi auguro che finisca in un qualche mercatino delle pulci.
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silvio

martedì 19 aprile 2011

“Libero e santo. Ecco perché il mercato è nato cattolico”

Articolo di Carlo Lottieri

«Una leggenda dura a morire, magistralmente elaborata da Max Weber in alcune sue celebri pagine, indicherebbe nell’etica protestante la matrice dello «spirito» del capitalismo. Anche se l’apertura al mercato delle società anglosassoni parrebbe confermare tale schema, in realtà quella tesi è assai fragile, specie si considera il ruolo che negli ultimi secoli del Medioevo giocarono i banchieri e i mercanti delle maggiori città dell’Italia centro-settentrionale e delle Fiandre.» [leggi tutto]
© Il Giornale
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silvio

domenica 17 aprile 2011

“La Settimana Santa è seguire una Persona”

Articolo di Nicola Bux

«La liturgia della Settimana Santa, e nello stesso tempo la vita cristiana, vuol dire seguire Cristo nel suo culmine, l’offerta di sé al padre Onnipotente per salvare l’umanità dal peccato. Seguire i riti della Settimana Santa vuol dire seguire le orme di Cristo. Non si possono seguire i riti e nello stesso tempo non vivere quello che Cristo stesso è, cioè seguire la sua persona.
La Settimana santa, che è chiamata così perché è il cuore di tutto l’anno, vuol dire che Gesù non è un’idea ma è una persona da seguire. E il fatto che noi scorriamo attraverso la liturgia i momenti drammatici, conclusivi della vicenda terrena di Gesù, vuol dire che per ottenere da Cristo la vita bisogna seguirne le orme ed essere così guariti, come dice san Pietro: “Egli ci ha dato l’esempio perché ne seguiamo le orme”. Non è soltanto un messaggio o uno sguardo esteriore ma significa guardare Cristo e unirsi a lui nella medesima offerta totale nel sacrificio di sé.» [leggi tutto]
© La Bussola quotidiana
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silvio

giovedì 14 aprile 2011

I santi parlano di castigo divino senza alcun problema

«Mio Dio! è giusto il castigo e retto il Tuo giudizio, ma usami alfine misericordia.»
«Dio ci castiga perché ci ama»
San Pio da Pietrelcina

Dio castiga, suo malgrado, non per vendetta. Paradossalmente nemmeno per giustizia, pur essendo i castighi mossi dalla giustizia. Per i santi è sempre stato chiaro che Dio castiga per la correzione del peccatore, affinché si possa convertire e salvare. È stato sempre altrettanto chiaro che Dio farebbe volentieri a meno dei castighi, perché vuole usare misericordia con tutti.
"Castigo" deriva dal latino "castus" (casto, puro). Quindi castigare significa purificare, non fare vendetta.
Però Dio castiga, nel mistero della sua Provvidenza, in questo mondo e nell’altro.

«Era quindi giusto che i Sodomiti, […] perissero ad un tempo per mezzo del fuoco e dello zolfo, affinché dal giusto castigo si rendessero conto del male compiuto» (San Gregorio Magno, Moralia in Job).
«La loro iniquità [degli impuri] è così grave e manifesta che provoca Dio a punire con più severi castighi» (Catechismo San Pio X).
«Due cose risultarono ben chiare […] quanto siano giusti i castighi di Dio e quanto fosse penetrante lo spirito profetico di Francesco» (San Bonaventura. Legenda Maior).
«Sappi che egli è diventato cieco in castigo dei suoi peccati, che non si è ancora preoccupato di purgare con la confessione e la penitenza » (San Bonaventura. Legenda Maior).
«Quel castigo fu per lei come una lezione. Riconobbe la potenza del Santo e, tutta pentita, corse dai frati» (San Bonaventura. Legenda Maior).
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silvio

mercoledì 13 aprile 2011

Teodicea tomista

Quelli di Repubblica e Avvenire avrebbero diffamato anche San Tommaso…

«Il male che consiste in una deficienza dell'azione, è sempre causato da un difetto dell'agente. Ora in Dio non c’è difetto alcuno, ma somma perfezione, come più sopra abbiamo dimostrato. Perciò il male consistente in una deficienza dell'azione, causata da un difetto dell'agente, non si può riportare a Dio come a sua causa. Il male invece che consiste nella corruzione o distruzione di qualche cosa, si riallaccia alla causalità di Dio. E ciò è evidente, sia negli esseri naturali, che in quelli dotati di volontà. Difatti abbiamo spiegato che un agente, in quanto produce con la sua efficacia una forma, alla quale tiene dietro una corruzione o una privazione, produce quella corruzione o quella privazione con la sua virtù. Ora, è evidente che la forma voluta da Dio nelle cose create è il bene, consistente nell'ordine dell'universo. E l'ordine dell'universo richiede, come più sopra abbiamo spiegato, che esistano degli esseri che possono fallire, e che via via falliscono. Cosicché Dio quando causa nelle cose quel bene che è l'ordine dell'universo, per concomitanza e indirettamente [quasi per accidens] causa la corruzione delle cose, secondo l'espressione della Scrittura; "Il Signore fa morire e fa vivere". Mentre l'altro passo: "Dio non fece la morte", va spiegato, "come cosa direttamente voluta". Ora, all'ordine dell'universo appartiene anche l'ordine della giustizia, il quale richiede che venga inflitta la punizione ai peccatori. Per questo motivo Dio è l'autore di quel male che è la pena: non però di quel male che è colpa, per la ragione che si è detto.»
San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I II, q. 49 art. 2

Ovvero: Dio non vuole direttamente il male. Il male “direttamente voluto” è causato dalle sole creature intelligenti (angeli, uomini). Ma, per giustizia, non può non infliggere delle pene, in questo mondo e nell’altro. Dio è giustizia per chi lo rifiuta e misericordia per chi lo ama. Questo è Magistero perpetuo della Chiesa.
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silvio

martedì 12 aprile 2011

Carrellata di ghiotti articoli

Francesco Agnoli scrive a proposito del Concilio Vaticano II.

Andrea Zambrano intervista mons. Nicola Bux sulla liturgia.

Giacomo Samek Lodovici espone le ragioni del sì al celibato sacerdotale.

Franco Bechis suggerisce di lasciare l’Europa.

Antonio Socci si chiede perché la Littizzetto non ospiti qualche immigrato in una delle sue 13 case.

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silvio

lunedì 11 aprile 2011

Ultimo appuntamento “Martyria Christi - La Fede in Europa oggi”

Il card. Giovanni Battista Re parla di Giovanni Paolo II


… e mio articolo su Vita Nuova dedicato ad Andrea Riccardi che, la volta precedente, aveva parlato dei martiri del XX secolo.

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silvio

Solidarietà a Roberto de Mattei

A cura di Riscossa Cristiana, c’è una campagna di raccolta firme di solidarietà al Prof. de Mattei. Vi prego di firmare.
Sviluppi: (don) Gianni Gennari, a corto di argomenti teologici contro il celibato sacerdotale, attacca direttamente e inelegantemente de Mattei. Ennesima figuraccia. Gennari liquida con qualche battutina secoli e secoli di teodicea.
Avvenire non era mai giunto così in basso.
Molti però sono stanchi della dittatura dei preti sposati che danno lezioni di teologia senza conoscerla. Si sono stancati, ad esempio, padre Serafino Lanzetta, Fabio Spina, Carlo Lottieri, padre Giovanni Cavalcoli, Giovanni Lazzaretti.
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silvio

venerdì 8 aprile 2011

Celibato sacerdotale

Il collega Riccardo de Il Pubblicano mi segnala uno studio del cardinale Alfons Maria Stickler (1910-2007) titolato Il celibato ecclesiastico. La sua storia e i suoi fondamenti teologici, riportato anche nel suo blog.
È stato recensito anche da Il Foglio, da Piero Cantoni su Cristianità.
Stickler ha scritto pure l’opuscolo L’attrattiva teologica della Messa Tridentina.
Benedetto XVI lo elogiò nell’omelia, durante la Santa Messa esequiale (2007).
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silvio

giovedì 7 aprile 2011

Preti sposati in cattedra (con il consenso della CEI)

Il Foglio concede un paginone a (don) Gianni Gennari, già sacerdote dispensato e sposato, che ci fa una lezioncina su quanto è bello il prete sposato, quanto è giusto il prete sposato, quanto è cattolico il prete sposato… Roba riciclata. I Papi si sono già espressi più volte nel merito.
Gennari scrive quotidianamente su Avvenire. Traduco: i vescovi lasciano scrivere sul loro giornale uno che ha un’idea tutta sua del Magistero. Lasciano scrivere, per la verità, altri soggetti di siffatta caratura.
Gli risponde, grazie a Dio, Roberto de Mattei. Gli spiega per l’ennesima volta cos’ha detto Gesù Cristo a proposito e cosa ci ha comunicato la Tradizione. Gli ricorda, insomma, il Magistero.
Ma de Mattei è uno dei pochi. Gennari uno dei tanti. De Mattei vilipeso e disarmato, Gennari osannato e protetto. De Mattei deve stare attento a quello che scrive e che dice. Gennari deve stare attento a quello che scrivono e dicono gli altri, per poterli bacchettare.
Aspetto un vero Papa santo che faccia un repulisti.
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silvio

Sostegno a Roberto de Mattei

Ricevo dal collega Giuseppe Brienza e volentieri pubblico

Catastrofi naturali come “punizione divina”? Non è una tesi peregrina

Che le catastrofi naturali rappresentino anche un rimedio per ottenere un ridimensionamento della Ybris umana non è una "tesi" propria solo al cattolicesimo ma, per esempio, degli antichi filosofi greci. Anche la ragione naturale, infatti, sa riconoscere "la certezza che Dio non permetterebbe il male, se dallo stesso male non traesse il bene, per vie che conosceremo pienamente soltanto nella vita eterna" (CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, n. 324).
E' quindi utile, da questo punto di vista, tornare sulla polemica relativa alla recente trasmissione del prof. Roberto de Mattei, vicepresidente del CNR, su Radio Maria, artatamente creata e subito chiusa velocemente dai media, colpevolmente compresi quelli cattolici (ad eccezione di Riscossa Cristiana e, fra i giornali diocesani, quasi in solitudine solo quello di Trieste, "Vita Nuova", nel cui ultimo numero invece compare un ottimo editoriale sull'argomento scritto dal direttore, il prof. Stefano Fontana, cfr. http://www.vitanuovatrieste.it/). [leggi tutto]
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silvio

sabato 2 aprile 2011

Sans papier


Ecco, in questa foto c’è la sintesi di come le due più grandi eresie della storia - islam e comunismo - riducono l’uomo.
Lo riducono, nel senso che lo restringono nel pensiero e nella volontà. Ne fanno un senza terra, un ignorante incolpevole, un disperato, una banderuola, un cafone.
Notate come questi relitti umani siano passati da un paese di musulmani a un paese di comunisti. Sanno che i secondi, a differenza dei primi, sono diventati figli dei fiori, pacifisti agguerriti.
Sanno che ormai potranno fare tutto quello che vogliono di quel che resta dell’Europa. Tutto: anche niente. Sono già tutti sorridenti per i festini prossimi futuri.
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silvio

venerdì 1 aprile 2011

FAMIGLIE AL CINEMA



IL GRINTA
di Joel e Ethan Coen

True Grit, Usa, 2010
Con Jeff Bridges ('Rooster' Cogburn), Hailee Steinfeld (Mattie Ross),
Matt Damon (LaBoeuf), Josh Brolin (Tom Chaney).
Sceneggiatura tratta dal romanzo Un vero uomo per Mattie Ross di Charles Portis (1969)


Perché i fratelli Coen, registi molto amati dalla critica e dagli spettatori dei festival per la qualità estetica e la cinefilia esibita, oltre al tono sarcastico e allegramente (ma più spesso cupamente) nichilista, hanno deciso di raccontare una storia distante dal loro stile algido e anti-eroico? Forse per dissacrare una certa idea di America, quella rappresentata da John Wayne, simbolo d'integrità morale, legge ed ordine, interprete nel 1969 di un film tratto dal medesimo romanzo a cui si è ispirata anche questa nuova pellicola? A un primo sguardo non sembra così, tutto il racconto profuma di classicità cinematografica. In prima persona e con accenti leggendari, la protagonista ricorda vicende di uomini misteriosi e determinati. C'è poi il viaggio a cavallo in terre selvagge e c'è il fuorilegge da consegnare alla giustizia. Mattie Ross è la caparbia adolescente dalla lingua tagliente che vuole vendicare la morte del padre e assolda uno sceriffo, Cogburn, con il quale parte all'inseguimento del bandito, accompagnati entrambi da un Texas Ranger coraggioso e sbruffone, LaBoeuf, attirato dalla taglia. Il racconto procede secondo i canoni più consueti: appostamenti, sparatorie, duelli. Registi e attori intervistati assicurano di aver voluto rispolverare lo spirito migliore del popolo americano attraverso quel genere narrativo che meglio ha saputo rappresentarlo. Una sorta di ballata nostalgica dedicata a un mondo in cui il Bene e il Male si confrontavano senza confondersi e di solito prevaleva la speranza in un futuro migliore. Se le buone intenzioni sono apprezzabili, il risultato pare almeno contraddittorio: quello che all'inizio era un tono da epopea presto svanisce, corroso dalla immancabile vena irriverente dei registi. Lo sceriffo uccide tranquillamente i delinquenti sparando alle spalle pur di ottenere ciò che vuole; i suoi monologhi logorroici e vacui sono il contrario delle risposte laconiche del cowboy tipico; la sua ambigua amoralità di fondo non è per nulla tradizionale, così come il mesto finale in cui, poco prima di morire, termina la sua carriera recitando in un Wild West Show per turisti. La giovane Mattie, ottenuta vendetta a costo di un braccio perduto (“Perché tutto ha un prezzo, tranne la Grazia di Dio che è gratuita”), ricompare alla fine del film ormai zitella quarantenne, più seria e più acida di prima, con il compito, ancora una volta, di seppellire un caro estinto. Nonostante le citazioni bibliche e la fede fervente, non si è riconciliata né col mondo né con sé stessa. In realtà le avventure vissute non hanno cambiato nessun personaggio, non ci sono legami famigliari né senso della comunità, non nascono affetti né amicizie, se non un timido tentativo della giovane con LaBoeuf, subito troncato, e la cavalcata di Cogburn per salvare la ragazzina ferita, che non riscattano però la funerea immobilità di tutta la storia, ben differente dal racconto di formazione del Grinta di John Wayne, dove la sete di vendetta si placa e il cavaliere ubriaco si redime. Anche la natura, spesso segno di trascendenza e di sacralità  nel western, qui è ridotta in gran parte a una monotona foresta invernale, con alberi spogli e grigi paesaggi. E in ogni caso prevalgono i primi piani dei pistoleri ciarlieri e dei loro battibecchi, non gli spazi ampi e silenziosi. Come scanzonato esercizio di stile il film è godibile, ma senza la pretesa di cercarvi un'anima, soffocata dal vuoto che i fratelli Coen da anni narrano con intelligente ironia ma senza cuore
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Luca