venerdì 1 aprile 2011

FAMIGLIE AL CINEMA



IL GRINTA
di Joel e Ethan Coen

True Grit, Usa, 2010
Con Jeff Bridges ('Rooster' Cogburn), Hailee Steinfeld (Mattie Ross),
Matt Damon (LaBoeuf), Josh Brolin (Tom Chaney).
Sceneggiatura tratta dal romanzo Un vero uomo per Mattie Ross di Charles Portis (1969)


Perché i fratelli Coen, registi molto amati dalla critica e dagli spettatori dei festival per la qualità estetica e la cinefilia esibita, oltre al tono sarcastico e allegramente (ma più spesso cupamente) nichilista, hanno deciso di raccontare una storia distante dal loro stile algido e anti-eroico? Forse per dissacrare una certa idea di America, quella rappresentata da John Wayne, simbolo d'integrità morale, legge ed ordine, interprete nel 1969 di un film tratto dal medesimo romanzo a cui si è ispirata anche questa nuova pellicola? A un primo sguardo non sembra così, tutto il racconto profuma di classicità cinematografica. In prima persona e con accenti leggendari, la protagonista ricorda vicende di uomini misteriosi e determinati. C'è poi il viaggio a cavallo in terre selvagge e c'è il fuorilegge da consegnare alla giustizia. Mattie Ross è la caparbia adolescente dalla lingua tagliente che vuole vendicare la morte del padre e assolda uno sceriffo, Cogburn, con il quale parte all'inseguimento del bandito, accompagnati entrambi da un Texas Ranger coraggioso e sbruffone, LaBoeuf, attirato dalla taglia. Il racconto procede secondo i canoni più consueti: appostamenti, sparatorie, duelli. Registi e attori intervistati assicurano di aver voluto rispolverare lo spirito migliore del popolo americano attraverso quel genere narrativo che meglio ha saputo rappresentarlo. Una sorta di ballata nostalgica dedicata a un mondo in cui il Bene e il Male si confrontavano senza confondersi e di solito prevaleva la speranza in un futuro migliore. Se le buone intenzioni sono apprezzabili, il risultato pare almeno contraddittorio: quello che all'inizio era un tono da epopea presto svanisce, corroso dalla immancabile vena irriverente dei registi. Lo sceriffo uccide tranquillamente i delinquenti sparando alle spalle pur di ottenere ciò che vuole; i suoi monologhi logorroici e vacui sono il contrario delle risposte laconiche del cowboy tipico; la sua ambigua amoralità di fondo non è per nulla tradizionale, così come il mesto finale in cui, poco prima di morire, termina la sua carriera recitando in un Wild West Show per turisti. La giovane Mattie, ottenuta vendetta a costo di un braccio perduto (“Perché tutto ha un prezzo, tranne la Grazia di Dio che è gratuita”), ricompare alla fine del film ormai zitella quarantenne, più seria e più acida di prima, con il compito, ancora una volta, di seppellire un caro estinto. Nonostante le citazioni bibliche e la fede fervente, non si è riconciliata né col mondo né con sé stessa. In realtà le avventure vissute non hanno cambiato nessun personaggio, non ci sono legami famigliari né senso della comunità, non nascono affetti né amicizie, se non un timido tentativo della giovane con LaBoeuf, subito troncato, e la cavalcata di Cogburn per salvare la ragazzina ferita, che non riscattano però la funerea immobilità di tutta la storia, ben differente dal racconto di formazione del Grinta di John Wayne, dove la sete di vendetta si placa e il cavaliere ubriaco si redime. Anche la natura, spesso segno di trascendenza e di sacralità  nel western, qui è ridotta in gran parte a una monotona foresta invernale, con alberi spogli e grigi paesaggi. E in ogni caso prevalgono i primi piani dei pistoleri ciarlieri e dei loro battibecchi, non gli spazi ampi e silenziosi. Come scanzonato esercizio di stile il film è godibile, ma senza la pretesa di cercarvi un'anima, soffocata dal vuoto che i fratelli Coen da anni narrano con intelligente ironia ma senza cuore
***
Luca

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