venerdì 31 maggio 2013

Prima l’omofobia, poi i Pacs, quindi il matrimonio e le adozioni. La via italiana alla famiglia gay

di Giancarlo Cerrelli

Credo che ormai non ci siano più dubbi sull’esistenza di una strategia che mira ad attuare il matrimonio gay anche in Italia; la considererei più propriamente “la via italiana al matrimonio gay”. Alcune forze culturali e politiche, che lavorano da qualche tempo, per rivoluzionare anche in Italia l’istituto familiare, hanno compreso che, per arrivare al matrimonio gay nel nostro paese, serve una procedura più articolata di quella attuata in altri stati, in quanto in Italia si riscontrano più resistenze che altrove.

Negli ultimi giorni “la via italiana al matrimonio gay” ha subìto un’accelerazione. Il pretesto è stato fornito dalla lettera accorata di un ragazzo omosessuale diciassettenne al quotidiano la Repubblica, con la quale lo stesso ha rivendicato la sua libertà di esistere, come persona omosessuale. Questa rivendicazione indubbiamente merita rispetto, perché nessuna persona può negare a un’altra il diritto di esistere, ma mi chiedo: una legge può come d’incanto risolvere l’inadeguatezza che lamenta questo ragazzo? Che cosa cambierebbe nella sua vita?

Chi tuttavia ha, invece, artatamente sfruttato il provvidenziale assist è stato il mondo politico, con posizioni ideologiche che non convincono e da cui si intravede il percorso strategico che si vuole compiere: una è quella della presidente della Camera dei deputati, l’onorevole Laura Boldrini, che ha dichiarato di volersi impegnare per fare approvare, al più presto, dal Parlamento la legge sull’omofobia. Poi ci sono le prese di posizione ingenue e maldestre di alcuni esponenti del Pdl (Bondi, Galan e Capezzone) che, invece di sostenere la famiglia così come riconosciuta dalla nostra Costituzione, chiedono a gran voce una legge che riconosca i diritti civili delle unioni tra persone omosessuali, con la debole motivazione che la maggioranza dell’opinione pubblica è favorevole (vedi intervista a Sandro Bondi, la Repubblica, 27 maggio 2013). Queste posizioni, com’era prevedibile, hanno trovato una piena condivisione nei partiti di sinistra.

È dunque chiara, dopo questi proclami, la strategia che sarà attuata per giungere al matrimonio gay in Italia, che, come detto, sarà articolata e necessita di alcuni step. Il primo step è quello annunciato dalla presidente della Camera, cioè l’approvazione in tempi rapidi della legge sull’omofobia. Viene da chiedersi che senso possa avere una legge sull’omofobia. Una tale legge, difatti, appare del tutto inutile vista anche l’esiguità dei casi denunciati (si pensi che al numero verde per la segnalazione dei casi di omofobia presso l’Unar, Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali) i casi segnalati nel 2012 sono stati soltanto 135); ma soprattutto una tale legge è inutile, perché il nostro codice penale prevede già, per eventuali abusi in tal senso, il reato di ingiuria e sanziona chi lede l’onore e il decoro di una persona (art. 594), la diffamazione (art. 595), la diffamazione per mezzo stampa (art. 596 bis) e, inoltre, prevede l’aggravante comune per aver agito per motivi abietti o futili (art. 61).

Perché l’offesa rivolta ai danni dell’omosessuale deve giuridicamente avere una diversa valenza dell’offesa a un eterosessuale? La ragione di una legge in tal senso, invero, sembra essere quella di voler eliminare gli ostacoli posti da eventuali oppositori sulla strada dell’approvazione di una disciplina sulle unioni gay. In poche parole la legge sull’omofobia avrebbe un carattere intimidatorio nei confronti di chi osasse opporsi alla strategia che vuole portare, finalmente, all’approvazione dei matrimoni gay. In una tale legge, facilmente, saranno inserite sanzioni penali nei confronti di chi dovesse proferire qualsiasi giudizio non lusinghiero nei confronti dell’omosessualità e sui pretesi diritti degli omosessuali.

Così si giungerebbe facilmente al secondo step che sarà quello di approvare una legge che riconosca i diritti civili alle unioni tra persone omosessuali. È superfluo evidenziare che questa fase è soltanto un passaggio per giungere al vero obiettivo previsto dal terzo step: il matrimonio tra omosessuali e l’adozione dei minori da parte di questi. È successo così in Francia, con i Pacs (Patti civili di solidarietà), approvati nel 1999, per giungere, dopo qualche anno, al matrimonio tra omosessuali e al loro diritto di adottare minori.

Il senso comune ci dice, però, che non si possono disciplinare in egual modo fattispecie diverse tra loro, si rischierebbe di commettere una palese ingiustizia. La cultura contemporanea favorisce indiscriminatamente l’esaltazione di alcuni diritti, che, molto spesso, sono privi di un vero fondamento ontologico e, perciò, non appare congruo e opportuno che per la loro attuazione si deturpi l’istituto del matrimonio, che ha una funzione e uno scopo sociale ben chiaro, quello di dare ordine alle generazioni. Ciò non significa attuare una discriminazione, ma si tratta di prendere atto della differenza. La differenza è ricchezza, non lo è l’omologazione che rende insignificante la bellezza della varietà!

È importante, per i cattolici e non solo per loro, meditare le mirabili e illuminanti parole che il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco, ha pronunziato durante la prolusione all’assemblea generale della Cei il 20 maggio scorso:
«La famiglia non può essere umiliata e indebolita da rappresentazioni similari che in modo felpato costituiscono un vulnus progressivo alla sua specifica identità, e che non sono necessarie per tutelare diritti individuali in larga misura già garantiti dall’ordinamento. Il grave problema demografico – che in alcuni paesi europei è stato affrontato con buoni risultati – quando sarà preso in seria considerazione senza rimandi o depistaggi che nulla hanno a che fare con le urgenze reali?».

Ritengo, pertanto, che i temi etici, che inevitabilmente sono divisivi, non debbano diventare la priorità del nostro Parlamento. Ci sono ben altri problemi, che incombono sulle famiglie: problemi di sussistenza, problemi di lavoro, problemi di assistenza, problemi di discriminazione fiscale della famiglia, così come prevista dalla Costituzione rispetto ad altre forme di unione. Gli italiani si aspettano risposte su questi problemi e non su questioni che non hanno alcuna urgenza sociale, ma solo una finalità ideologica e simbolica. Il nostro paese non ha bisogno di provvedimenti che hanno il solo scopo di depotenziare l’istituto della famiglia mutandone la struttura, che da sempre, invece, ha sostenuto e dato forza alla vita e alla convivenza della nostra nazione.


© Tempi

mercoledì 29 maggio 2013

Quando i cattolici si danno la zappa sui piedi

di Rino Cammilleri

Il flop inaudito nelle sale del film di Renzo Martinelli su Marco d’Aviano e l’assedio di Vienna del 1683 farà passare la voglia a qualunque regista, anche il meglio intenzionato, di occuparsi di storia cattolica. Chi lo farà, dovrà per forza sollevare polemiche se vuole pubblicità. Dunque, dovrà mettere in scena lavori in cui i cattolici e la Chiesa fanno la parte dei cattivi, sperando che il Vaticano almeno protesti. Film onesti come 11 settembre 1683 o Cristiada non trovano alcun appoggio in casa cattolica.

Il popolo-bue cattolico semplicemente non sa nemmeno che esistono, e li fa fallire al botteghino. Complotti, retroscena, congiure antipapiste? No: insipienza e ignoranza. Dei cattolici. Infatti, non lo sanno ormai neanche i preti chi era Marco d’Aviano.
Quando fu beatificato questo cappuccino che salvò l’Europa, a un convegno nei suoi luoghi fui l’unico a ricordarne il ruolo politico, mentre i religiosi, teologi, preti e prelati presenti si dilungavano esclusivamente sulla di lui spiritualità, timorosi che parlare di storia avrebbe potuto urtare i «fratelli» musulmani. Silenzio, dunque.

Il beato Alberione fondò i Paolini proprio per la buona battaglia sulla stampa e nel cinema, mettendo addirittura mano personalmente al primo film a colori italiano, Mater Dei. E ancora nei primi anni Sessanta non c’era film che avesse speranza di riuscita se avesse trascurato il potente circuito delle sale parrocchiali.
Oggi, le pochissime parrocchie che hanno un cinema ci proiettano tutt’al più il cosiddetto film d’essai, che «fa discutere» e «suscita il dibattito», e pazienza se il devoto spettatore dovrà sorbirsi la solita scena erotica del tutto superflua, ma che i registi mettono lo stesso per la gioia della troupe. Così, l’aspirante regista cattolico è avvisato: faccia solo film su Francesco e Chiara (evitando giudiziosamente i miracoli), almeno andranno direttamente in dvd e qualche convento li comprerà.

Credete che negli altri settori vada meglio? Pensate alla fine che ha fatto un banchiere da messa quotidiana come Ettore Gotti Tedeschi, cacciato a pedate dallo Ior per beghe vaticane e al quale, come a segnale convenuto, tutte le porte ecclesiali si sono chiuse in faccia.
Ma torniamo alla cultura in senso più proprio. Sui media, i giornalisti cattolici si dividono in due categorie: quelli che lavorano per testate clericali e quelli che sono riusciti a farsi assumere in testate laiche. I primi non possono certo osare di contraddire chi paga loro lo stipendio, perciò sono fedelissimi alla «linea», qualunque essa sia. I secondi, si stimano fortunati ad avere un posto ambito, e solo a quello pensano (sì, certo, ci sono le eccezioni, ma sono in tutto due o al massimo tre), tenendo sempre presente il proverbio giapponese: «Al chiodo che sporge si picchia in testa».

Naturalmente, ad aiutare i fratelli nella fede a far carriera non ci pensano nemmeno, sia perché considerano precaria la loro, sia perché non sono certo massoni: questi ultimi, sì, che si spalleggiano l’un l’altro per infilare «fratelli» dovunque. Esiste anche, com’è noto, un «soccorso rosso», ma non uno «bianco» (eccezion fatta per i dossettiani, i quali non a caso occupano posti e cattedre che più prestigioso non si può, ma hanno nella Costituzione il loro Corano e sono «adulti», infatti militano nella sinistra laicista).

Sul versante dei libri la situazione è anche, se possibile, peggiore. La narrativa cattolica semplicemente non esiste, e non esiste perché nemmeno i cattolici la comprerebbero.
Esiste la saggistica, è vero, ma è una saggistica - mi si passi il termine - madonnara, oppure si tratta dell’ennesima riflessione-omelia di qualche prelato (il campione delle vendite italiane è ancora il defunto cardinale Martini). Parlo, naturalmente, dei libri che in classifica almeno ci vanno, anche se magari ci restano poco. Il resto, tutto il resto, è già tanto se copre le spese di edizione.

Voi mi direte, giustamente, che anch’io mi occupo ormai di Madonne. Il fatto è che gli editori non vogliono altro. E hanno ragione: se fate un giro nelle librerie «cattoliche» vedrete pile enormi di libri del cardinale Martini o sul nuovo Papa. Perché? Perché i cattolici comprano quelli, non altro. Dunque, l’editore investe su ciò che il mercato chiede.
Presentando in giro il mio libro su Medjugorje mi sono accorto che, nelle sale traboccanti, la gente voleva sentir parlare solo di miracoli del sole, guarigioni, conversioni clamorose. E basta. Il resto, semplicemente non interessa. Folle enormi vanno in Bosnia, vi si convertono, digiunano, pregano, ci portano i parenti e gli amici. Molti si trasformano in porta-gente a tempo pieno. Lodevolissimo. Ma che succede quando tutta questa gente scende dal Podbrdo? Dà luogo, lentamente, a una ricostruzione cristiana del mondo? No. Prega, digiuna, torna e ritorna a Medjugorje. Tutt’al più dà soldi e braccia all’ennesima casa di accoglienza per i drop-out della società contemporanea. Per il resto, ecco: adunate di preghiera, interminabili, con canti, rosari, messe, testimonianze.

Esattamente quel che i Padroni del Mondo vogliono dai cristiani: state in sacrestia a pregare, occupatevi dei «poveri» e non disturbate il Manovratore. E i cristiani, inquadrati dai loro pastori, eseguono. È vero, è un momentaccio per la Chiesa. Ma oggi, in Occidente, l’aggressione è culturale e amministrativa. Nell’Ottocento l’aggressione era, oltre che culturale e amministrativa, pure a mano armata e con tanto di cannoni a Porta Pia. Eppure, i cattolici di quel secolo reagivano non solo con la preghiera e i pellegrinaggi: fondavano banche, giornali, riviste, si costituivano in lobby per condizionare la politica. E senza trascurare i poveri e i drop-out.

Qual è la differenza tra allora e oggi? La differenza sta nel fatto che allora avevano alle spalle una Chiesa gerarchica compatta e fermissima nella dottrina, una Chiesa che non esitava un istante a espellere quei suoi membri che seminavano confusione. Naturalmente, l’espulso diventava un «martire del libero pensiero» e veniva portato sugli scudi dalla stampa laicista. Così come oggi. Ma il popolo cattolico era informato, e ufficialmente, che quello lì era passato al nemico.
Oggi la Chiesa gerarchica preferisce la misericordia, si dice, anche se permane l’impressione (per carità, solo un’impressione…) del “due pesi e due misure”.

Ma torniamo al nostro discorso sulla cultura cattolica. E al film di Martinelli. Nessuno si è preso la briga di far sapere (non dico di apologizzare, solo di far sapere) che esisteva un film che parlava bene della storia cristiana e della Chiesa. Perciò, scordatevi pure Cristiada, quantunque tratti un tema (papale) attualissimo: la libertà religiosa.
Se io fossi un regista, allora, ragionerei così: l’assedio di Vienna in costume costa una paccata di miliardi e non lo vede nessuno, un film con la Littizzetto costa pochissimo e incassa una paccata di miliardi. Perciò, scordatevi, cari cattolici, i film che parlano bene di voi e dei fatti vostri. Al massimo farò una fiction su papa Bergoglio, che è tanto simpatico e porta le scarpe nere. Su Ratzinger no, perché le portava rosse ed era troppo colto.

Una realtà benemerita che dovrebbe fare da cinghia di trasmissione verso la «base» sono i circoli culturali parrocchiali. I libri e gli autori cattolici che non trovano spazio sui grandi media spetta ad essi farli conoscere alla gente comune. Purtroppo (e parlo per lunga esperienza) c’è da farsi cadere la braccia. Infatti, tra le priorità della parrocchia la cultura o è l’ultima in lista o non c’è proprio.
Se ha bisogno dell’idraulico o dell’elettricista, sa bene che questi artigiani hanno un cachet e lo scuce senza fiatare. Così per l’avvocato o il medico o il muratore o l’ingegnere o il meccanico. Ma l’operatore culturale (chiamiamolo così) deve essere grato dell’invito e poi operare per puro «spirito di servizio».

Ci sono parrocchie provviste di chiese dotate di organi a canne colossali, per suonare i quali un tempo si stipendiavano organisti diplomati. Oggi gli organi tacciono, perché ci sono tanti ragazzini con la chitarra che suonano gratis e, anzi, volentieri.
Il risultato è che la musica liturgica è semplicemente sparita (e hanno voglia i papi attuali di insistere sulla «bellezza»…).

Morale: la cultura cattolica è morta per suicidio e bisogna farsene una ragione. I figli di questo mondo, come dice il Vangelo, sono stati più scaltri, e i figli di Maria sono stati pavidi e fessi. I primi sono sempre astuti come serpenti, i secondi ingenui come colombe. I primi hanno fatto bene il loro lavoro, i secondi no, perché Cristo aveva raccomandato a loro di essere sia astuti che candidi. Dunque, meritano quel che hanno, cioè niente.
Prenotiamoci, dunque, un posto nel prossimo pullman per Medjugorje. E facciamoci salire quei pochi che hanno ancora voglia di combattere, perché rischiano la fine dei soldati giapponesi nella jungla di Iwo Jima.


Reginald Garrigou-Lagrange, La confutazione dell’attivismo sragionante di Henri Bergson

di Piero Vassallo

Geniale interprete e innovatore della filosofia del senso comune e guida instancabile della società di pensiero, che ha elevato un robusto argine a difesa della ragione e della verità cattolica, monsignor Antonio Livi ripropone opportunamente "Il senso comune, la filosofia dell'essere e le formule dogmatiche", un magistrale saggio scritto negli anni Venti del secolo scorso, dal domenicano padre Garrigou-Lagrange (1859-1941).

Edito in Roma dalla Casa editrice Leonardo nel corrente 2013, il volume, che è introdotto da una nota editoriale di Livi e da un convincente saggio di Mario Padovano, suggerisce un severo esame della filosofia nominalistica/irrazionalista, la fonte dalla quale discendono le due correnti della catastrofe antropologica in atto: l'attivismo frenetico e insaziabile degli omologati, che officiano il rito del carpe diem cravattaro, e la collera degli esclusi, che trasferiscono la rivoluzione faustiana nel margine segnato dal risentimento e/o dall'ira no-global.
Nella scena post-ideologica, la riflessione di Garrigou-Lagrange oggi più che mai si legge come un manuale scritto per gli studiosi e i politici, ai quali compete (competerà) la guida dei popoli al presente sconcertati e afflitti dagli imperativi gridati dal sistema della menzogna e dell'azione per l'azione.

Sulla dottrina del senso comune, esposta nel saggio dell'illustre domenicano Garrigou-Lagrange, in seguito saranno pubblicate altre note nel sito Riscossa Cristiana.
Adesso sembra urgente riassumere le acute e lungimiranti critiche, che l'indimenticabile guida degli studiosi neoscolastici attivi nell'Angelicum, indirizzò alle teorie di stampo nominalista ed eracliteo, formulate da Henri Bergson (1859-1941) e in seguito sviluppate e propagandate dai suoi allievi e dai suoi seguaci.

Le tesi bergsoniane, infatti, anticipano e in qualche modo accreditano le suggestioni neopagane e oltre-umane, ultimamente diffuse dagli interpreti dell'ateismo, i quali hanno allestito la scena girevole del disordine economico e della disperazione anarcoide.
Ora il primo attacco lanciato dalla scolastica bergsoniana contro la metafisica punta all'alterazione e al discredito del senso comune, che è di conseguenza abbassato al livello dell'ignoranza e del pregiudizio.

Le Roy, fedele e intransigente esegeta di Bergson, dichiara appunto che "Il senso comune contiene, allo stato confuso e informe, non so quale residuo di tutte le opinioni filosofiche di tutti i sistemi che hanno avuto qualche successo".
Di qui la proposta di regredire a una (presunta) percezione primitiva, oceano di immagini indistinte e in flusso incessante, nel quale l'uomo sarebbe immerso prima di subire l'influsso della metafisica.
Le Roy sostiene che l'uscita dalla immagine confusionaria della realtà - "il continuo eterogeneo e sfuggente, che percepiamo in un primo tempo" - può essere attuata unicamente dall'esigenza utilitaria: "L'esistenza dei corpi separati non ci è data immediatamente, è il risultato della preferenza data alle impressioni tattili" piuttosto che alla continuità che risulta alla vista.

D'altra parte Bergson affermava che c'è molto di più nel movimento che nell'immobilità, dunque è dal movimento (dal divenire piuttosto che dall'essere) che la speculazione deve incominciare.
Osserva Garrigou-Lagrange: "Bergson si colloca, come Eraclito, da un punto di vista empirico e così per lui l'immobilità è semplicemente lo stato di quiete e se prevale la quiete non ci può essere movimento".
Alla vista di colui che invece si colloca dal punto di vista dell'intelligenza "ciò che resta immobile è prima di tutto ciò che è, in opposizione a ciò che non è ancora ma deve diventare; analogamente. L'immutabile è ciò che è e non può non essere, in opposizione a ciò che non avendo in sé la ragion sufficiente della sua esistenza può cessare di esistere".

In ultima analisi è accertato che l'evoluzionismo bergsoniano contiene la negazione del principio di identità e non contraddizione: "Il divenire, infatti, è unione del diverso (es. un oggetto viola diviene rosso); dire che l'unione incausata del diverso è possibile è come dire che il diverso per sé è uno e lo stesso almeno di una unità di unione: es. ciò che è viola per sé e come tale (incondizionatamente) diviene rosso, benché in quanto viola sia non rosso".

Quasi prevedendo la dissoluzione della filosofia moderna, Garrigou-Lagrange sostiene che l'anti-intellettualismo di Bergson è un hegelismo al rovescio e pertanto annuncia che "i due sistemi si toccano, e dovranno fatalmente incontrarsi, perché l'uno e l'altro, figli di Eraclito, vogliono essere una filosofia del del divenire e della fusione dei contrari".
E' in tal modo pre-annunciata la corsa al regresso dell'immanentismo moderno, fondato sulla visione del mondo secondo Eraclito e Cratilo, e indirizzato a vedere nelle cose l'informe strumento della disperata azione degli uomini: "una pasta plastica e malleabile o attività vivente tracciata di figure e disposta di sistemi di relazioni secondo le comodità della vita pratica".
Garrigou-Lagrange osserva che nell'universo bergsoniano "Non esistono corpi indipendenti, non esiste quantità reale. Bisogna dire lo stesso della sostanza e della causa? Evidentemente. E' la continuità qualitativa eterogenea e sfuggente la sola realtà".

All'orizzonte è la dissoluzione oltre umana della filosofia moderna. Al proposito è citato dall'autore un giudizio formulato da Jacob, nella "Revue de Métaphysique et del Morale" del 1898: "La nuova filosofia sta esattamente agli antipodi del razionalismo di Platone e Aristotele. ... Contingenza fondamentale, divenire illimitato, vita interiore anteriore all'intelligenza e all'intelligibilità e creatrice dell'una e dell'altra. ... E' l'antica materia che torna in primo piano e scaccia l'idea. Qui (molto più che in Herbert Spencer [1820-1903]) ogni norma intellettuale sparisce, la verità non conserva più alcuna significazione che la eleva al di sopra dell'esperienza pura e semplice".

Infine l'inversione dell'indirizzo della ricerca filosofica: "Ritrovare il sensibile sotto l'intelligibile [presunto] menzognero che lo ricopre e che lo maschera e non come si diceva un tempo l'intelligibile sotto il sensibile che lo dissimula".
La ricerca indirizzata all'affermazione dell'errore indirizza al Nietzsche che affermava "non crederei al Cristianesimo neppure se mi fosse dimostrato scientificamente".

Il disperato pensiero nietzscheano domina in un'età affascinata e alienata dall'errore, e svela la radice irrazionalista della frenesia faustiana e dell'angoscia gnostica in scena nel teatro postmoderno.
Agli interpreti e ai continuatori dell'opera di San Tommaso, Garrigou-Lagrange, Fabro e Livi, va dunque riconosciuto il merito di aver sollevato il coperchio che occulta la tenebrosa essenza dell'ultramoderno e di aver indicato la via del ritorno alla ragione.


martedì 28 maggio 2013

La Chiesa del silenzio

di Riccardo Cascioli

Negli ultimi giorni sono accaduti diversi avvenimenti che per un cattolico non possono non suscitare alcune domande.

Partiamo dal primo e più recente: la morte di don Andrea Gallo. Personaggio che non ha bisogno di presentazioni, tutti sanno che la sua opera di accoglienza di poveri ed emarginati a Genova si accompagnava a continue provocazioni contro la Chiesa: dalla confessione di aver accompagnato delle prostitute ad abortire, al “Bella Ciao” cantata alla messa nel giorno dell’Immacolata, fino all’auspicio di vedere presto un Papa gay. Ha anche avuto per anni la possibilità di esternare la sua “visione” di Chiesa nei salotti televisivi, che frequentava con una certa assiduità e che lo hanno reso un personaggio famoso, senza peraltro che nessuno degli arcivescovi suoi superiori avesse mai da obiettare alcunché. Tralascio quanto avvenuto al funerale, che è perfettamente in linea con il personaggio e non meriterebbe neanche un commento, perché in fondo non credo che in tutta questa vicenda il problema più grosso sia quello che don Gallo era e faceva.

Personalmente ho apprezzato molto il venire a sapere che il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, andava a visitare di tanto in tanto don Gallo mantenendo con lui un rapporto umano e spirituale, tenendo sempre aperta la porta al dialogo, pur in un serrato confronto, come pare di capire dalle parole dello stesso Bagnasco. E’ una bella immagine, che mostra come la Chiesa non abbia nulla a che vedere con le ideologie e sia davvero maestra di umanità nella pratica, non nella teoria.

Però, e qui sta il punto, una tale premura pastorale sarebbe dovuta anche al resto del popolo di Dio, verso cui il primo compito sarebbe quello di indicare con chiarezza la Verità, la strada giusta. Perché la misericordia senza verità si chiama complicità. E invece alla morte di don Gallo abbiamo letto comunicati – e ascoltato l’omelia al funerale – in cui si celebra il prete “di strada” come un esempio più che positivo di sacerdozio vissuto, come se aprire la casa a poveri, trans e prostitute bastasse in sé per essere santi. In altre parole, a sentire il cardinale Bagnasco e il cardinale Tarcisio Bertone, predecessore di Bagnasco a Genova e attuale segretario di Stato vaticano, si fa fatica a cogliere una differenza tra Madre Teresa di Calcutta e don Gallo, o anche tra quest’ultimo e don Oreste Benzi. Eppure una differenza c’è: anche don Benzi accoglieva le prostitute e apriva la casa agli ultimi, anche madre Teresa raccoglieva per strada gli scarti della società (e non c’è neanche paragone tra Calcutta e Genova), ma il desiderio, la missione era quella di elevare tutti a Dio, non di abbassare Dio alla misura dell’uomo. Per questo madre Teresa e don Benzi, tanto per fare un esempio, non avrebbero mai accompagnato una povera ragazza ad abortire: erano convinti che l’aborto fosse il peggior crimine che si potesse commettere.

Un peccatore, consapevole di esserlo, ha bisogno di un Dio misericordioso non di un Dio complice: abbiamo bisogno di un Dio che è più grande di ogni peccato possiamo commettere, e ci dice “Và, sei perdonato, non peccare più, un’altra vita è possibile”. A cosa ci può servire un Dio che ci dice “Ma sì, non fa niente, continua così che ti voglio bene lo stesso”?

Ecco, da un vescovo mi aspetterei che ricordasse questa differenza, che aiutasse a discernere, pur nel rispetto dovuto ad ogni persona e perciò anche a don Gallo. Il silenzio, addirittura la benedizione di un certo cammino, portano solo confusione e altre persone che si metteranno sulla strada sbagliata.

Ma veniamo a un secondo fatto, di natura completamente diversa: Festival di Cannes, vince il film “La vie d’Adelie”, che nei giorni della proiezione ha fatto parlare di sé soprattutto per la lunga e dettagliata scena lesbo delle due protagoniste. Non ho visto il film ma non ho dubbi sul fatto che sia fatto bene e bene interpretato - a volte anche i film porno si dice che lo siano - però ascoltare Radio Vaticana esaltare anche il contenuto del film lascia di stucco. Ecco cosa ha detto il corrispondente da Cannes: “Adèle legge Marivaux e s’interroga sull’amore. Sente il bisogno di un sentimento forte che abiti il suo corpo, ma non ancora l’attrazione fatale, l’affinità che la leghi a un altro essere umano. Nel frattempo prova - prova gli altri e si mette alla prova - forse capisce che può trovare nella sessualità femminile ciò che cerca. Poi l’amore arriva attraverso uno sguardo, un piacere condiviso, un vago desiderio di vivere l’altra persona in profondità”.

Insomma, per Radio Vaticana – che si autodefinisce “la voce del Papa e della Chiesa” – non c’è assolutamente alcun problema, nulla di strano nel fatto che una ragazza si apra all’amore con un’altra ragazza: eterosessuale o omosessuale non fa alcuna differenza, l’importante è l’amore, l’importante è provare. Sicuramente un bel messaggio per gli adolescenti: se anche la radio del Papa si piega all’ideologia omosessualista, cos’altro dobbiamo aspettarci?

Prosegue Radio Vaticana, affermando che il film è “interpretato da due attrici formidabili (Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos), messo in scena con una fluidità che non fa avvertire lo scorrere del tempo, ricco di scene indimenticabili di esplosione dei sentimenti”.
Esplosione di sentimenti? Ecco come la spiega il quotidiano Repubblica: «Lunghissime scene esplicite tra le attrici Lea Seydoux e Adele Excharchopoulous che si amano con estrema varietà, voracità, fantasia di posizioni, quantità di orgasmi. Momenti che "sono necessari a raccontare l'incantamento del loro rapporto", dice il regista».

Non è un problema di moralismo, ma di giudizio: un frutto avvelenato può essere presentato benissimo, nel modo più accattivante possibile, ma resta sempre un frutto avvelenato. E questo va detto con chiarezza, ma ormai il giudizio sembra essere merce rara, anche lì dove ci si aspetterebbe di trovare l’ultimo appiglio, l’ultima resistenza alla mentalità mondana.

Ed eccoci all’ultimo fatto: assemblea generale dei vescovi italiani, aperta lunedì scorso dalla prolusione del presidente della Cei (Conferenza episcopale italiana), cardinale Bagnasco. Come sempre, tanti i temi toccati, ma su tutti fanno notizia due messaggi che partono chiari: guai a chi minaccia il governo di larghe intese (l’Italia ha bisogno di stabilità politica) e preoccupazione per la disoccupazione (il lavoro è la prima emergenza del paese). Per carità, nulla da dire su questi argomenti: del resto, chi prenderebbe la parola per sostenere la necessità di aumentare la disoccupazione? Perciò, plauso generale.

Solo che a noi era sembrato che ultimamente ci fosse qualche altro problemino per cui magari i cattolici dovessero preoccuparsi: ad esempio, su La Nuova BQ abbiamo parlato nei giorni scorsi della Strategia nazionale per la prevenzione dell’omofobia varata dal Dipartimento delle Pari Opportunità, un documento agghiacciante che vedrà presto luoghi di lavoro e, soprattutto, scuole trasformate in “campi di rieducazione” gestiti da gay e trans per convincere che maschio e femmina non esistono, esiste solo quello che in quel momento immaginiamo di essere. E’ l’ideologia di genere, quella che Benedetto XVI aveva pochi mesi fa definito come una delle più gravi sfide che la Chiesa ha davanti, perché è un attacco diretto al piano di Dio, alla Creazione. Cos’altro dovrebbe starci a cuore più di questo? Ma per la Cei non pare un problema, tanto che anche il quotidiano dei vescovi – pur avendo avuto quel documento in mano prima che fosse reso pubblico – ha deliberatamente scelto di non parlarne. Avranno senz’altro delle buone ragioni, ma che almeno ce le spieghino, così ci tranquillizziamo pure noi.

Nel frattempo, l’attacco laicista è partito frontale anche sulla libertà di educazione: a Bologna proprio ieri si è svolto il referendum promosso da chi vorrebbe togliere i fondi comunali alle scuole paritarie. Affluenza bassa, ma i promotori hanno vinto: conseguenze pratiche immediate nessuna, il referendum era consultivo e il sindaco (democratico) non ne vuole sapere, ma dal punto di vista politico e sociale le conseguenze saranno pesantissime. Si può scommettere su un’ondata di iniziative di questo genere in tutta Italia, che metterà in difficoltà sì le scuole cattoliche ma con queste anche la possibilità delle famiglie di scegliere liberamente la scuola per i propri figli.

Eppure anche di questo nessuna traccia nella prolusione: è vero, il cardinale Bagnasco aveva preso chiaramente posizione su questo tema lo scorso 3 maggio parlando a un convegno sulla scuola, ma è curioso che tale questione – vitale anche per l’economia del paese – non abbia trovato spazio tra le preoccupazioni dei vescovi nella loro assemblea. E sì che la libertà di educazione è uno dei princìpi non negoziabili.

Né sembra aver lasciato ferite l’atto sacrilego compiuto il 1° maggio davanti alla cattedrale del Papa, San Giovanni in Laterano, nel corso del Concertone organizzato dai sindacati (anche quello “cattolico”, la Cisl, il cui segretario Raffaele Bonanni ha addirittura accusato di strumentalizzazione chi ha protestato per quella bestemmia pubblica). Nessun cenno dunque, sebbene i gesti vandalici contro i simboli cristiani siano in preoccupante aumento. Ciò che conta, per il futuro dell’Italia, sembra sia il lavoro e il governo stabile (a prescindere da quello che fa).

E’ evidente a questo punto che qualcosa mi sfugge, sicuramente sono io a non capire qualcosa e sarò grato a quanti volessero colmare questa lacuna. Però, lo stesso mi scappa un po’ da ridere a vedere quanto si agitano questi laiconi che ce l’hanno con la Chiesa, si preoccupano di promuovere leggi per tapparle la bocca, evitano che politici cattolici vadano in posti “sensibili”. Che spreco di energie, compagni: non vedete che si sono già silenziati da soli?


La messa antica non si tocca, il Papa gesuita spiazza ancora tutti

I vescovi pugliesi chiedono il ritiro del motu proprio di Ratzinger. Bergoglio dice no, servono cose nuove e antiche

di Matteo Matzuzzi

Chi pensava che con l’arrivo al Soglio di Pietro del gesuita sudamericano Jorge Mario Bergoglio la messa in latino nella sua forma extra-ordinaria fosse archiviata per sempre, aveva fatto male i conti. Il motu proprio ratzingeriano del 2007, il Summorum Pontificum, non si tocca, e il messale del 1962 di Giovanni XXIII (che poi è l’ultima versione di quello tridentino del Papa santo Pio V) è salvo. Quel rito con il celebrante rivolto verso Dio e non verso il popolo, con le balaustre a separare i banchi per i fedeli dal presbiterio, non è un’anticaglia, detrito da spedire in qualche museo a impolverarsi. E’ stato proprio il Pontefice regnante a dirlo, ricevendo qualche giorno fa nel Palazzo apostolico la delegazione dei vescovi pugliesi giunti a Roma in visita ad limina apostolorum, come fa tutto l’episcopato mondiale ogni cinque anni.

Come ha scritto sul suo blog il vaticanista Sandro Magister, i vescovi pugliesi sono stati i più loquaci, con clero e giornalisti. La scorsa settimana, il capo della diocesi di Molfetta, Luigi Martella, ha raccontato come Francesco sia pronto a firmare entro l’anno l’enciclica sulla fede che Benedetto XVI starebbe portando a termine nella tranquillità del monastero Mater Ecclesiae, aggiungendo addirittura che Bergoglio ha già pensato alla sua seconda lettera pastorale, dedicata alla povertà e intitolata “Beati pauperes”.
Dichiarazioni che hanno costretto la Santa Sede a smentire, rettificare e chiarire, con padre Federico Lombardi che invitava a pensare “a un’enciclica per volta”. Poi è toccato al vescovo di Conversano e Monopoli, Domenico Padovano, che al clero della sua diocesi ha raccontato come la priorità dei vescovi della regione del Tavoliere sia stata quella di spiegare al Papa che la messa in rito antico sta creando grandi divisioni all’interno della chiesa. Messaggio sottinteso: il Summorum Pontificum va cancellato, o quanto meno fortemente limitato. Ma Francesco ha detto no.

E’ sempre monsignor Padovano a dirlo, spiegando che Francesco ha risposto loro di vigilare sugli estremismi di certi gruppi tradizionalisti, ma suggerendo altresì di far tesoro della tradizione e di creare i presupposti perché questa possa convivere con l’innovazione. A tal proposito, come scrive Magister, Bergoglio avrebbe pure raccontato le pressioni subite dopo l’elezione per avvicendare il Maestro delle cerimonie liturgiche, quel Guido Marini dipinto al Papa come un tradizionalista che andava rimandato a Genova, la città che nel 2007 lasciò a malincuore obbedendo alla volontà di Benedetto XVI che lo volle a Roma. Anche in questo caso, però, Francesco ha opposto il suo rifiuto a ogni cambiamento nell’ufficio delle cerimonie. E lo ha fatto “per fare tesoro della sua preparazione tradizionale”, consentendo al mite e poco protagonista Marini di “avvantaggiarsi della mia formazione più emancipata”.

La differenza culturale c’è tutta, il gesuita che per tradizione ignaziana “nec rubricat nec cantat” si trova improvvisamente catapultato in una realtà in cui negli ultimi otto anni erano stati pazientemente e lentamente recuperati elementi liturgici abbandonati negli ultimi trenta-quarant’anni, giustificando così chi vedeva nel Concilio una rottura anche in campo liturgico.
Il filo conduttore delle cerimonie benedettiane era riassumibile nella sintesi tra solennità e compostezza: il ritorno sull’altare dei sette alti candelabri e della croce centrale e gli avvisi a non applaudire ne sono un esempio. E poi il latino, lingua della chiesa, che veniva usato per le celebrazioni non più solo a Roma ma in ogni angolo del pianeta, Africa compresa.
Non pochi, guardando il volto serio di Marini quella sera di marzo mentre Bergoglio appariva per la prima volta alla Loggia delle Benedizioni con la semplice talare bianca, senza mozzetta né stola, avevano previsto un avvicendamento imminente. Invece Francesco sa che Roma non è Buenos Aires, che fare il Papa richiede anche di mantenere un apparato simbolico ancorato nella storia e nella tradizione millenaria della chiesa cattolica.

La continuità che non piace a tutti

Un recupero, quello avvenuto negli anni di Benedetto XVI, che a molti non è piaciuto, anche dentro le Mura leonine. Monsignor Sergio Pagano, prefetto dell’Archivio segreto vaticano, diceva lo scorso 7 maggio a margine della presentazione della costituzione d’indizione del Concilio “Humanae salutis” che “quando oggi vedo in certi altari delle basiliche quei sette candelabri bronzei che sovrastano la croce mi viene da pensare che ancora poco è stato capito della costituzione sulla liturgia Sacrosanctum Concilium”.
Ecco perché qualcuno, come il vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano, monsignor Felice Di Molfetta – che da sempre considera la messa in forma extra-ordinaria incompatibile con il messale di Paolo VI, espressione ordinaria della lex orandi della chiesa cattolica di rito latino – qualche giorno fa ha fatto sapere ai fedeli della sua diocesi di essersi vivamente rallegrato con Francesco “per lo stile celebrativo che ha assunto, ispirato alla nobile semplicità sancita dal Concilio”.


lunedì 27 maggio 2013

IMU, la tassa che consuma le famiglie

Dalle separazioni simulate a quelle di fatto, ecco come rispondono gli italiani

di Giuseppe Brienza e Giovanni Cipriani

Si cerca da anni, nel nostro Paese, di equiparare le coppie di fatto, siano esse omosessuali o meno, alla famiglia fondata sul matrimonio. A questi tentativi assistiamo (ancora) a levate di scudi in favore del matrimonio e della “cellula fondamentale della società”. Alla fine, però, il Fisco continua a tassare pesantemente le famiglie e, nel contempo, ad agevolare le coppie di separati o di conviventi. [leggi tutto]


“Martiri” sulle strade mentre i Comuni pensano al matrimonio omosessuale

di Giuseppe Brienza

A Londra un militare di Sua Maestà è assassinato per la sua militanza in difesa dell’identità britannica e contro l’islamizzazione del Regno Unito e, nelle stesse ore, i deputati della Camera dei Comuni votano a favore del progetto di legge per legalizzare il matrimonio fra omosessuali. La sera del 21 maggio il testo promosso da Cameron destinato a compromettere la base della monarchia britannica che, secondo la concezione tradizionale, è fondata su quella istituzione primordiale che è la famiglia, ha così superato, in terza lettura ai Comuni, la parte principale dell’iter parlamentare. Nei prossimi giorni passerà al vaglio della Camera dei Lord, nonostante in aula la discussione sia stata davvero «[…] infuocata, tanto che a un certo punto si era arrivati vicino ad affossare il provvedimento, con alcuni conservatori che proponevano un emendamento giudicato “distruttivo” da parte dei più critici» (Sì dei deputati britannici alle nozze fra omosessuali. Il testo della legge passa alla Camera dei Lord, in L’Osservatore Romano, 23 maggio 2013, p. 2).

A sole poche ore e pochi kilometri da questo bello spettacolo dei deputati britannici, una donna “salva” però l’onore di questa grande Patria, sfidando a viso aperto i due Jihadisti accusati di aver ucciso a coltellate a Londra il soldato di Sua Maestà. Ingrid Loyau-Kennett, 48 anni, che è una convinta “capo scout” ha dichiarato al Daily Telegraph di essere intervenuta perché pensava che fosse meglio che «le armi fossero puntate su una sola persona» (Omicidio Londra, la donna che ha sfidato gli attentatori, in la Repubblica.it, 23 maggio 2013).


domenica 26 maggio 2013

«Non accetteremo mai un simile stravolgimento di civiltà»

Pubblichiamo, in una nostra traduzione, il Messaggio “A tutti i Francesi” del Movimento di opposizione alla legge del governo Hollande sul “Matrimonio per tutti”. Il Messaggio è stato diffuso il 18 maggio scorso, in concomitanza con la promulgazione della ingiusta legge. Per domenica 26 maggio è prevista un’altra giornata di speciale mobilitazione.

Oggi, 18 maggio 2013, la legge denominata «Mariage pour tous» (Matrimonio per tutti) è stata promulgata dal presidente della Repubblica.
Questa legge consacra l’abolizione del principio fondamentale del matrimonio uomo-donna; e implica, per l’adozione per tutti, che un bambino possa essere presunto nato da due uomini o da due donne; consacra la legge del genere a scapito del carattere universale delle identità sessuali femminile e maschile. Si tratta di uno stravolgimento della civiltà!

Non abbiamo mai smesso, lungo questi mesi, di avvertire il signor Hollande su queste sfide.
Siamo rimasti fortemente colpiti dall’arroganza e dal disprezzo manifestati in questi mesi dal Presidente della Repubblica, dal Governo e dai Parlamentari.
Dopo essere stati eletti da noi, cittadini francesi, coloro che dovrebbero essere nostri rappresentanti hanno totalmente ignorato l’opposizione della maggioranza dei Francesi a questa legge ingiusta.

Nella loro superbia, essi hanno anche ignorato i numerosi corpi intermedi che hanno espresso la loro opposizione, tra i quali l’Union Nationale des Associations Familiales, l’Académie de médecine e l’Académie des Sciences morales et politiques.
Questo abuso di potere da parte di un esecutivo nelle mani di una lobby ultraminoritaria indebolisce le istituzioni della Quinta Repubblica.
Questa legge, presentata come un progresso per gli omosessuali, produrrà invece omofobia perché li fa passare come responsabili del «diritto al figlio» che implica «l’adozione per tutti».
Oggi la legge viene promulgata: è detta così l’ultima parola? Dovrà la speranza disperare? La sconfitta è definitiva? No!

Il nostro movimento di opposizione, come una immensa onda, non si fermerà, perché esso è nato dal rifiuto innato, profondo, di una legge fondata sulla menzogna che consiste nel far credere che un bambino possa avere come genitori due uomini o due donne.
Contrariamente a quanto è stato detto – menzogna tra le altre –, questa legge riguarda tutti i Francesi perché qualunque essere umano, domani, potrà essere privato di un padre o di una madre.

Il nostro movimento è l’espressione profonda di quanto un numero enorme di francesi sanno: la successione delle generazioni, l’avvenire dell’umanità non possono che fondarsi sul riconoscimento della realtà dell’uomo.
Per questo, noi, Francesi, non accetteremo mai una legge che pretenda che si possa avere delle generazioni spontanee!
Non accetteremo mai una legge che crea degli orfani o di padre o di madre.
Non accetteremo mai che il signor Hollande utilizzi le istituzioni francesi a servizio dell’ideologia del genere, fondamento della legge sul “matrimonio per tutti”.

Rifiutiamo che la politica francese sia dettata da una lobby che non rappresenta l’insieme delle persone omosessuali ed ancora meno l’insieme del popolo francese.
Rifiutiamo che la politica francese si distolga dall’essenziale: le preoccupazioni urgenti dei cittadini che, oggi, affrontano una situazione economica e sociale drammatica.
Noi difendiamo il rispetto per la vera democrazia: un simile sconvolgimento di civiltà ha potuto essere fatto rifiutando il dibattito con l’insieme del popolo francese. Perché è chiaro che il solo confronto tra i parlamentari e dentro circoli ristretti non è sufficiente per temi di questo genere.

Nella storia recente, leggi votate e promulgate sono state poi ritirate oppure non sono mai state applicate.
Invitiamo tutti i cittadini francesi a mobilitarsi più che mai affinché questa legge venga ritirata: domenica 26 maggio è assolutamente necessaria la presenza di tutti. Nessun Francese cosciente dello scandalo di questa legge può mancare all’appello!

Noi continueremo senza sosta a difendere il matrimonio uomo-donna, la filiazione padre-madre-bambino, e le famiglie, cellule fondamentali di tutta la società, luoghi di solidarietà per eccellenza, fonti di tutte le ricchezze umane ed economiche della società.
La battaglia perduta oggi non sarà che una tappa verso la vittoria!
Le future generazioni contano su di noi.

Viva la Francia!

La Manif Pour Tous


giovedì 23 maggio 2013

Miracoli a Bologna

Luigi Ferdinando Marsili
di Francesco Agnoli

Il Papa, alcuni giorni fa, ha raccontato un episodio accaduto in Argentina, di una bimba di 7 anni ammalata cui i medici davano poche ore di vita, guarita tra lo stupore dei medici dopo che il padre era corso a pregare al Santuario mariano di Lujan: “Questo succede ancora, eh? I miracoli ci sono!”. Effettivamente ai miracoli ci crediamo un po’ tutti: quando arriva una malattia grave, quando desideriamo fortissimamente qualcosa, viene spontaneo affidarsi a Dio. Ci sembra normale, giusto, insomma, che Dio, che è Padre, debba talora intervenire per cambiare il corso delle cose. Tanto che, se non interviene, si arrabbiano tutti, atei e indifferenti compresi (non è proprio il suo presunto non intervenire contro il male, il motivo fondamentale dello scetticismo di tanti?). Credere ai miracoli fa dunque parte della fede, così come saperne fare a meno, fidando nella presenza di Dio anche quando essa è più discreta, meno eclatante, ma non meno profonda.

I miracoli, insegna la dottrina, avvengono per intercessione di Maria, o di un santo. Fu Papa Benedetto XIV, nel 1750, con la De servorum Dei, a volere per la prima volta nella storia della chiesa che il riconoscimento di un miracolo fosse elemento indispensabile per la canonizzazione di un uomo dalle “virtù eroiche”. Benedetto XIV fu, nello stesso tempo e come tanti altri papi, un grande sostenitore degli studi, dell’arte, della cultura, e un forte promotore delle scienze sperimentali.
Bologna, oggi impegnata nel tentativo di uccidere gli asili cattolici, colpevoli soltanto di essere nati prima di quelli statali e di costare assai meno di quelli pubblici, potrebbe forse placare i bollenti ardori giacobini, se solo ricordasse, appunto, alcune pagine gloriose della sua storia cristiana. Ma cosa fece, in concreto, il Lambertini, per la sua Bologna?

Nel 1711 Luigi Ferdinando Marsili, oceanografo e naturalista, aveva fondato nella città felsinea, nell’attuale Palazzo Poggi, l’Istituto delle Scienze, un ambizioso progetto “volto a contenere entro le stanze di un’antica dimora senatoria della città l’intera enciclopedia del sapere scientifico moderno”. Lo scopo dell’Istituto era anche quello di supportare con ricerche e lezioni pratiche l’Università di Bologna. Ma presto l’Istituto entrò in crisi: fu allora il cardinal Lambertini, prima come arcivescovo e poi come pontefice, “a sostenere e a rilanciare nell’Europa dei lumi l’impresa di Marsili”.
All’Istituto delle Scienze il Lambertini donò vari strumenti di fabbricazione olandese e inglese, telescopi e microscopi. Inoltre dotò l’Istituto di entrate per i professori; ne ampliò la biblioteca, aprendola al pubblico; promosse una nuova classe di Accademici, i Benedettini e infine si adoperò per valorizzare figure che sarebbero diventate famose in tutta Europa: a lui si deve la decisione dell’Istituto di ammettere, nel 1732, tra i suoi membri, Laura Bassi, “prima donna nel mondo a ottenere una cattedra all’università per l’insegnamento della ‘filosofia universa’ (1732) e poi della ‘fisica sperimentale’”.

La Bassi, che ebbe tra i suoi allievi il cugino don Lazzaro Spallanzani, ricordato come uno dei padri della biologia, divenne presto famosa in tutta Europa, tanto che lo stesso Voltaire, ebbe a scriverle: “Non c’è una Bassi in Londra, e io sarei molto più felice di essere aggregato alla sua Accademia di Bologna, che a quella degli inglesi…”. Dopo la Bassi l’Istituto accolse altre sette donne, tra cui Maria Gaetana Agnesi (1748), la celebre “matematica di Dio”.
Sempre Benedetto XIV fu colui che, dopo aver visto le tavole dell’anatomista Ercole Lolli, lo incaricò di preparare per l’Istituto una Camera dell’Anatomia con splendidi e innovativi modelli anatomici in cera. Alla collezione del Lolli si aggiunsero le riproduzioni dei ceroplasti Giovanni Manzolini e Anna Morandi Manzolini. Proprio la Morandi, dopo che il marito cadde nella malattia, trovò nel Pontefice un caloroso sostenitore e divenne modellatrice in cera presso la cattedra di anatomia dell’Università, mentre la sua fama raggiungeva Caterina di Russia e la Royal Society in Inghilterra (“Laura Bassi”, a cura di L. Cifarelli e R. Simili, Editrice Compositori, Bologna, 2012).

Se ciò non bastasse, Benedetto XIV, come ricorda Miriam Focaccia nel suo “Luigi Galvani. Un laboratorio sperimentale di ostetricia” (Pendragon, Bologna, 2009), fu anche il promotore della prima cattedra pubblica di ostetricia in Italia, nel 1757. A insegnarvi chiamò Giovanni Antonio Galli, un medico che per istruire nell’arte dei parti aveva creato un vero e proprio laboratorio didattico, unico in Europa, in cui a fianco di modelli in cera, abbondavano modelli di utero a grandezza naturale, in argilla, per mostrare le fasi della gravidanza e le evoluzioni fetali.
Vi era anche una “macchina” formata da un utero di cristallo apribile, contenente un finto feto, “in modo da far esercitare gli studenti e le levatrici, appositamente bendati, nelle manovre di manipolazione ed estrazione fetale”. Successore di Galli, in perfetta sintonia con il progetto del Pontefice di promuovere la salute delle partorienti, sarebbe stato, di lì a poco, il terziario francescano e padre dell’elettricità animale, Luigi Galvani, anche lui in certa misura figlio della rigogliosa stagione benedettina.


Dopo la petizione anche una denuncia contro l’atto blasfemo del 1° maggio

di Giuseppe Brienza

L’Associazione cattolica “Luci sull’Est” (http://www.lucisullest.it/), per iniziativa del suo direttore Silvio Dalla Valle, ha aperto una petizione online come segno di riparazione e condanna del gesto blasfemo compiuto dal cantante Luca Romagnoli, leader del gruppo “Management del Dolore Post Operatorio”, durante lo scorso concerto del primo maggio in piazza San Giovanni (cfr. «Concerto 1° maggio, gesto vergognoso contro il cristianesimo», in Zenit.org, 07 Maggio 2013).

La petizione indirizzata al card. Vallini

Ecco di seguito il testo della petizione, che può essere sottoscritta al link https://sites.google.com/site/ilconcertodellavergogna/:

«Eminenza reverendissima,
Io protesto veementemente per il gesto blasfemo compiuto dal cantante Luca Romagnoli davanti alla cattedrale di Roma, facendo una oltraggiosa e ignobile parodia del momento più santo della Messa. Con questa mia nota, voglio ribadire a Sua Eminenza la mia fede eucaristica, la mia unione spirituale ai sacerdoti che celebrano il Sacrificio della Messa, il mio fermo e deciso atto di sdegno e riparazione per l’accaduto, la mia adesione al Vescovo di Roma, il Papa Francesco, indirettamente ma indubbiamente colpito dalla deprecabile esibizione durante il concerto del primo Maggio 2013.

La ringrazio inoltre per le parole ferme e profonde che la Santa Sede ha pronunciato a commento di quanto accaduto.»

La sottoscrizione, corredata dalle sottoscrizioni ricevute, sarà sottoposta nei prossimi giorni all’attenzione del cardinale vicario del Santo Padre per la Diocesi di Roma, cardinale Agostino Vallini, che ha comunque già condannato con parole molto severe l’accaduto. L’iniziativa è anche destinata a sensibilizzare, in particolare il servizio pubblico radiotelevisivo, al rispetto della religiosità del popolo italiano. Infatti, durante la diretta del primo maggio, è stato solo dopo il compimento del gesto blasfemo, quando il cantante Romagnoli si accingeva a “perfezionarlo” calandosi i pantaloni in segno di ulteriore scherno verso l’Eucaristia, che la direzione di Rai 3 ha interrotto alla fine il collegamento, mandando in onda degli spot pubblicitari, come se nulla fosse successo, senza proiettare quindi un messaggio di condanna o di scuse riguardo all’accaduto.

«Il gesto del cantante è di inaudita gravità – ha commentato il direttore di “Luci sull’Est” Dalla Valle – non soltanto per l’atto blasfemo in sé, ma anche per il luogo in cui è stato compiuto. Infatti è stato colpito un luogo rappresentativo di tutta la cristianità, la piazza antistante la Basilica di San Giovanni in Laterano, che di recente è stata protagonista dell’ingresso di Papa Francesco nella sua sede propria, la cattedrale di Roma. L’insieme di monumenti e spazi aperti che si trovano in questo luogo costituiscono un simbolo per il cristianesimo e quindi l’atto di blasfemia compiuto dal cantante deve essere annoverato fra i molti episodi di cristianofobia che si stanno verificando nel mondo. Il fatto è ancora più grave se si pensa che il concerto del primo maggio viene trasmesso integralmente dalla televisione di Stato, finanziata da innumerevoli cittadini contribuenti di fede cattolica» (art. cit.).

La denuncia al Tribunale di Roma di “Giuristi per la Vita

Nei giorni immediatamente successivi all’iniziativa di “Luci sull’Est”, esattamente il 9 maggio, l’avv. Gianfranco Amato, in qualità di Presidente e legale rappresentate dell’associazione “Giuristi per la Vita”, ha presentato presso il tribunale di Roma denuncia-querela contro il gesto del leader dei “Management del Dolore Post Operatorio”, il cui testo integrale è stato pubblicato dal rivista “Tempi”, nella versione on line (cfr. Il testo della denuncia-querela per il gesto blasfemo al concerto del primo maggio, in Tempi.it, 10 maggio 2013- http://www.tempi.it/il-testo-della-denuncia-querela-per-il-gesto-blasfemo-al-concerto-del-primo-maggio#.UZzskMqC3QE-).

La “riparazione” al Santuario di Gimigliano (CZ)

Nelle stesse ore in cui nella piazza di San Giovanni in Laterano si compiva il grave gesto contro la Fede cattolica, nell’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace si riparava idealmente in qualche modo al gesto clamoroso d’irreligiosità amplificato nei nostri media nazionali. Infatti, nella stessa giornata del primo maggio, con una cerimonia presieduta dal Cardinale Antonio Caňizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il Santuario diocesano “Madonna di Porto” di Gimigliano, era elevato a “Basilica minore”, rafforzando così uno dei cardini della tradizione cattolica del nostro Paese con l’importante elevazione del Culto mariano. Nella sua Omelia il Cardinale Caňizares si è rivolto a tutt’altra platea di giovani, con queste parole: «Dio è amore ed è speranza per i giovani. L’onorificenza che oggi questo Santuario riceve non deve significare solo prestigio, ma essere occasione di conversione e di progresso spirituale. In questo luogo di grazia la Madre di Dio splende come segno di consolazione e di speranza ferma per tutti e riflette l’inesauribile tenerezza di Dio. Ella ci ha portato il Salvatore e tutta la gioia della sua materna intercessione è mediare per portarci a Lui. Abbiamo bisogno di imparare a dire di sì al Signore. Un sì pieno di gioia e di fiducia, come quello di Maria». Per una cronaca e photo gallery dell’evento cliccare suhttp://www.diocesicatanzarosquillace.it/news/news_2013/santuario_madonna_porto_basilica_minore/index.htm.


mercoledì 22 maggio 2013

22 Maggio 1978 - 22 Maggio 2013. Legge 194, Trentacinque anni di crimine legalizzato

di Paolo Deotto

Oggi, 22 maggio, Santa Rita da Cascia, ricorre l’anniversario dell’approvazione della legge con cui l’Italia decise di vendere l’anima al diavolo. Legge 22 maggio 1978 num. 194: ormai è come il titolo del peggior libro dell’orrore mai scritto nel nostro Paese.
22 maggio 1978. La legge proclama che la madre ha il diritto di uccidere il figlio che porta in sé. Una legge sciagurata, voluta da sciagurati inebriati da pensieri di morte e approvata da politici pusillanimi, che anteposero la stabilità delle loro poltrone governative alla difesa della vita.

Da allora, e non sono numeri nostri, ma dati del Ministero della Salute, oltre 5 milioni di bimbi sono stati soppressi. Una strage spaventosa della quale non sta bene parlare. Già disse uno dei più grandi criminali del XX secolo, Stalin, che uccidere un uomo è omicidio, ucciderne milioni è scrivere la Storia. È più difficile fare il conto delle coscienze uccise, perché naturalmente diverse donne hanno abortito più volte nel corso degli anni. La legge 194 ha anche corrotto un’intera Nazione, perché inevitabilmente la mentalità popolare considera “giusto” ciò che è solo “legittimo”.

Legge 22 maggio 1978 num. 194: il trionfo del più aberrante egoismo, quello che arriva alla soppressione di chi può dar fastidio, essere di troppo. Madre Teresa di Calcutta disse, con la sua consueta chiarezza: “Se una madre può uccidere il proprio figlio, allora non c’è nulla che possa impedire a me di uccidere te, o a te di uccidere me”. È un caso che la nostra Società sia sempre più intrisa di violenza? È ridicolo pensare di rimediare a questa violenza con strane liturgie pagane, fatte di fiaccolate, magliette con scritte varie (“io non ho paura”, “no alla mafia”, e così via), treni, navi, pullman della “legalità”. E la Giustizia, dov’è andata?
Oggi i difensori della sciagurata legge si dolgono del fatto che il Servizio Sanitario non è in grado di assicurare in tutti gli ospedali il “servizio”, perché il numero dei medici obiettori è via via aumentato negli anni. Né questi medici sono tutti cattolici. Sono medici che hanno ancora una coscienza che funziona e un cervello che ragiona, che si ricordano del fatto che il loro divinum opus è salvare la vita, non sopprimerla.

La prossima offensiva degli amici della morte sarà proprio in questa direzione: restringere, fino ad annullarlo, il diritto all’obiezione. Tutti boia, tutti disponibili all’aborto libero e gratuito. Il delirio di morte non si ferma.

Non si ferma nemmeno, e ringraziamo il Signore, il lavoro quotidiano di migliaia e migliaia di persone, uomini e donne che hanno aiutato e aiutano tante donne in difficoltà e che hanno salvato un gran numero di vite. Non si ferma nemmeno il grande risveglio che sta avvenendo nel Paese e che ha consentito eventi eccezionali come la Marcia per la Vita.
22 maggio 2013. A trentacinque anni dalla nascita dell’infame legge di morte, preghiamo la Madonna, perché illumini i cuori di chi si è perso e continui a dare la forza necessaria a quanti si oppongono al dilagare della barbarie.