di Giancarlo Cerrelli
Credo che ormai non ci
siano più dubbi sull’esistenza di una strategia che mira ad attuare il
matrimonio gay anche in Italia; la considererei più propriamente “la via
italiana al matrimonio gay”. Alcune forze culturali e politiche, che lavorano
da qualche tempo, per rivoluzionare anche in Italia l’istituto familiare, hanno
compreso che, per arrivare al matrimonio gay nel nostro paese, serve una
procedura più articolata di quella attuata in altri stati, in quanto in Italia
si riscontrano più resistenze che altrove.
Negli ultimi giorni
“la via italiana al matrimonio gay” ha subìto un’accelerazione. Il pretesto è
stato fornito dalla lettera accorata di un ragazzo omosessuale diciassettenne
al quotidiano la Repubblica, con la quale lo stesso ha rivendicato la
sua libertà di esistere, come persona omosessuale. Questa rivendicazione
indubbiamente merita rispetto, perché nessuna persona può negare a un’altra il
diritto di esistere, ma mi chiedo: una legge può come d’incanto risolvere
l’inadeguatezza che lamenta questo ragazzo? Che cosa cambierebbe nella sua
vita?
Chi tuttavia ha,
invece, artatamente sfruttato il provvidenziale assist è stato il mondo politico, con posizioni ideologiche che non
convincono e da cui si intravede il percorso strategico che si vuole compiere:
una è quella della presidente della Camera dei deputati, l’onorevole Laura
Boldrini, che ha dichiarato di volersi impegnare per fare approvare, al più
presto, dal Parlamento la legge sull’omofobia. Poi ci sono le prese di
posizione ingenue e maldestre di alcuni esponenti del Pdl (Bondi, Galan e
Capezzone) che, invece di sostenere la famiglia così come riconosciuta dalla
nostra Costituzione, chiedono a gran voce una legge che riconosca i diritti
civili delle unioni tra persone omosessuali, con la debole motivazione che la
maggioranza dell’opinione pubblica è favorevole (vedi intervista a Sandro
Bondi, la Repubblica, 27 maggio 2013). Queste posizioni, com’era
prevedibile, hanno trovato una piena condivisione nei partiti di sinistra.
È dunque chiara, dopo
questi proclami, la strategia che sarà attuata per giungere al matrimonio gay
in Italia, che, come detto, sarà articolata e necessita di alcuni step. Il primo step è quello annunciato dalla presidente della Camera, cioè
l’approvazione in tempi rapidi della legge sull’omofobia. Viene da chiedersi
che senso possa avere una legge sull’omofobia. Una tale legge, difatti, appare
del tutto inutile vista anche l’esiguità dei casi denunciati (si pensi che al numero
verde per la segnalazione dei casi di omofobia presso l’Unar, Ufficio nazionale
anti-discriminazioni razziali) i casi segnalati nel 2012 sono stati soltanto
135); ma soprattutto una tale legge è inutile, perché il nostro codice penale
prevede già, per eventuali abusi in tal senso, il reato di ingiuria e sanziona
chi lede l’onore e il decoro di una persona (art. 594), la diffamazione (art.
595), la diffamazione per mezzo stampa (art. 596 bis) e, inoltre, prevede
l’aggravante comune per aver agito per motivi abietti o futili (art. 61).
Perché l’offesa
rivolta ai danni dell’omosessuale deve giuridicamente avere una diversa valenza
dell’offesa a un eterosessuale? La ragione di una legge in tal senso, invero,
sembra essere quella di voler eliminare gli ostacoli posti da eventuali
oppositori sulla strada dell’approvazione di una disciplina sulle unioni gay. In
poche parole la legge sull’omofobia avrebbe un carattere intimidatorio nei
confronti di chi osasse opporsi alla strategia che vuole portare, finalmente,
all’approvazione dei matrimoni gay. In una tale legge, facilmente, saranno
inserite sanzioni penali nei confronti di chi dovesse proferire qualsiasi
giudizio non lusinghiero nei confronti dell’omosessualità e sui pretesi diritti
degli omosessuali.
Così si giungerebbe
facilmente al secondo step che sarà
quello di approvare una legge che riconosca i diritti civili alle unioni tra
persone omosessuali. È superfluo evidenziare che questa fase è soltanto un
passaggio per giungere al vero obiettivo previsto dal terzo step: il matrimonio
tra omosessuali e l’adozione dei minori da parte di questi. È successo così in
Francia, con i Pacs (Patti civili di solidarietà), approvati nel 1999, per
giungere, dopo qualche anno, al matrimonio tra omosessuali e al loro diritto di
adottare minori.
Il senso comune ci
dice, però, che non si possono disciplinare in egual modo fattispecie diverse
tra loro, si rischierebbe di commettere una palese ingiustizia. La cultura
contemporanea favorisce indiscriminatamente l’esaltazione di alcuni diritti,
che, molto spesso, sono privi di un vero fondamento ontologico e, perciò, non
appare congruo e opportuno che per la loro attuazione si deturpi l’istituto del
matrimonio, che ha una funzione e uno scopo sociale ben chiaro, quello di dare
ordine alle generazioni. Ciò non significa attuare una discriminazione, ma si
tratta di prendere atto della differenza. La differenza è ricchezza, non lo è
l’omologazione che rende insignificante la bellezza della varietà!
È importante, per i
cattolici e non solo per loro, meditare le mirabili e illuminanti parole che il
presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco,
ha pronunziato durante la prolusione all’assemblea generale della Cei il 20
maggio scorso:
«La famiglia non
può essere umiliata e indebolita da rappresentazioni similari che in modo
felpato costituiscono un vulnus progressivo alla sua specifica identità, e che
non sono necessarie per tutelare diritti individuali in larga misura già
garantiti dall’ordinamento. Il grave problema demografico – che in alcuni paesi
europei è stato affrontato con buoni risultati – quando sarà preso in seria
considerazione senza rimandi o depistaggi che nulla hanno a che fare con le
urgenze reali?».
Ritengo, pertanto, che
i temi etici, che inevitabilmente sono divisivi, non debbano diventare la
priorità del nostro Parlamento. Ci sono ben altri problemi, che incombono sulle
famiglie: problemi di sussistenza, problemi di lavoro, problemi di assistenza,
problemi di discriminazione fiscale della famiglia, così come prevista dalla
Costituzione rispetto ad altre forme di unione. Gli italiani si aspettano
risposte su questi problemi e non su questioni che non hanno alcuna urgenza sociale,
ma solo una finalità ideologica e simbolica. Il nostro paese non ha bisogno di
provvedimenti che hanno il solo scopo di depotenziare l’istituto della famiglia
mutandone la struttura, che da sempre, invece, ha sostenuto e dato forza alla
vita e alla convivenza della nostra nazione.
© Tempi