Luigi Ferdinando Marsili |
di Francesco Agnoli
Il Papa, alcuni giorni fa, ha raccontato un episodio
accaduto in Argentina, di una bimba di 7 anni ammalata cui i medici davano
poche ore di vita, guarita tra lo stupore dei medici dopo che il padre era
corso a pregare al Santuario mariano di Lujan: “Questo succede ancora, eh? I
miracoli ci sono!”. Effettivamente ai miracoli ci crediamo un po’ tutti: quando
arriva una malattia grave, quando desideriamo fortissimamente qualcosa, viene
spontaneo affidarsi a Dio. Ci sembra normale, giusto, insomma, che Dio, che è
Padre, debba talora intervenire per cambiare il corso delle cose. Tanto che, se
non interviene, si arrabbiano tutti, atei e indifferenti compresi (non è
proprio il suo presunto non intervenire contro il male, il motivo fondamentale
dello scetticismo di tanti?). Credere ai miracoli fa dunque parte della fede,
così come saperne fare a meno, fidando nella presenza di Dio anche quando essa
è più discreta, meno eclatante, ma non meno profonda.
I miracoli, insegna la dottrina, avvengono per intercessione
di Maria, o di un santo. Fu Papa Benedetto XIV, nel 1750, con la De servorum Dei, a volere per la prima
volta nella storia della chiesa che il riconoscimento di un miracolo fosse
elemento indispensabile per la canonizzazione di un uomo dalle “virtù eroiche”.
Benedetto XIV fu, nello stesso tempo e come tanti altri papi, un grande
sostenitore degli studi, dell’arte, della cultura, e un forte promotore delle
scienze sperimentali.
Bologna, oggi impegnata nel tentativo di uccidere gli asili
cattolici, colpevoli soltanto di essere nati prima di quelli statali e di
costare assai meno di quelli pubblici, potrebbe forse placare i bollenti ardori
giacobini, se solo ricordasse, appunto, alcune pagine gloriose della sua storia
cristiana. Ma cosa fece, in concreto, il Lambertini, per la sua Bologna?
Nel 1711 Luigi Ferdinando Marsili, oceanografo e
naturalista, aveva fondato nella città felsinea, nell’attuale Palazzo Poggi, l’Istituto
delle Scienze, un ambizioso progetto “volto a contenere entro le stanze di
un’antica dimora senatoria della città l’intera enciclopedia del sapere
scientifico moderno”. Lo scopo dell’Istituto era anche quello di supportare con
ricerche e lezioni pratiche l’Università di Bologna. Ma presto l’Istituto entrò
in crisi: fu allora il cardinal Lambertini, prima come arcivescovo e poi come
pontefice, “a sostenere e a rilanciare nell’Europa dei lumi l’impresa di
Marsili”.
All’Istituto delle Scienze il Lambertini donò vari strumenti
di fabbricazione olandese e inglese, telescopi e microscopi. Inoltre dotò
l’Istituto di entrate per i professori; ne ampliò la biblioteca, aprendola al
pubblico; promosse una nuova classe di Accademici, i Benedettini e infine si
adoperò per valorizzare figure che sarebbero diventate famose in tutta Europa:
a lui si deve la decisione dell’Istituto di ammettere, nel 1732, tra i suoi
membri, Laura Bassi, “prima donna nel mondo a ottenere una cattedra
all’università per l’insegnamento della ‘filosofia universa’ (1732) e poi della
‘fisica sperimentale’”.
La Bassi, che ebbe tra i suoi allievi il cugino don Lazzaro
Spallanzani, ricordato come uno dei padri della biologia, divenne presto famosa
in tutta Europa, tanto che lo stesso Voltaire, ebbe a scriverle: “Non c’è una
Bassi in Londra, e io sarei molto più felice di essere aggregato alla sua
Accademia di Bologna, che a quella degli inglesi…”. Dopo la Bassi l’Istituto
accolse altre sette donne, tra cui Maria Gaetana Agnesi (1748), la celebre
“matematica di Dio”.
Sempre Benedetto XIV fu colui che, dopo aver visto le tavole
dell’anatomista Ercole Lolli, lo incaricò di preparare per l’Istituto una
Camera dell’Anatomia con splendidi e innovativi modelli anatomici in cera. Alla
collezione del Lolli si aggiunsero le riproduzioni dei ceroplasti Giovanni
Manzolini e Anna Morandi Manzolini. Proprio la Morandi, dopo che il marito
cadde nella malattia, trovò nel Pontefice un caloroso sostenitore e divenne
modellatrice in cera presso la cattedra di anatomia dell’Università, mentre la
sua fama raggiungeva Caterina di Russia e la Royal Society in Inghilterra (“Laura
Bassi”, a cura di L. Cifarelli e R. Simili, Editrice Compositori, Bologna,
2012).
Se ciò non bastasse, Benedetto XIV, come ricorda Miriam
Focaccia nel suo “Luigi Galvani. Un
laboratorio sperimentale di ostetricia” (Pendragon, Bologna, 2009), fu
anche il promotore della prima cattedra pubblica di ostetricia in Italia, nel
1757. A insegnarvi chiamò Giovanni Antonio Galli, un medico che per istruire
nell’arte dei parti aveva creato un vero e proprio laboratorio didattico, unico
in Europa, in cui a fianco di modelli in cera, abbondavano modelli di utero a
grandezza naturale, in argilla, per mostrare le fasi della gravidanza e le
evoluzioni fetali.
Vi era anche una “macchina” formata da un utero di cristallo
apribile, contenente un finto feto, “in modo da far esercitare gli studenti e
le levatrici, appositamente bendati, nelle manovre di manipolazione ed
estrazione fetale”. Successore di Galli, in perfetta sintonia con il progetto
del Pontefice di promuovere la salute delle partorienti, sarebbe stato, di lì a
poco, il terziario francescano e padre dell’elettricità animale, Luigi Galvani,
anche lui in certa misura figlio della rigogliosa stagione benedettina.
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