È sacrosanto marciare contro la legge 194. Però serve
di più: è un infanticidio e chi lo istiga deve essere denunciato
di Giuliano Ferrara
Voglio denunciare per
istigazione a delinquere (articolo 414 codice penale) due ricercatori italiani
che lavorano a Melbourne. Odio i reati di opinione, a meno che siano reati di
tipo omicidario.
Detesto le persecuzioni
giudiziarie di chi dica quel che pensa, a meno che il pensiero espettorato a
mezzo bocca o a mezzo stampa non sia il riflesso del pensiero dominante,
nichilista, nella forma più cinica e moralmente sordida. Il reato istigato è
l'infanticidio (articolo 578 codice penale, nel testo modificato dalla legge 5
agosto 1981, numero 442).
Sulla morte dei bambini non
nati o appena nati, morte procurata per ideologia, si può marciare, chiedere
moratorie, digiunare, presentare liste alle elezioni politiche, invocare
referendum, proporre nuove norme di diritto in Italia e nel mondo, fare tante
altre commendevoli cose e prendersi le sassate del tempo, ma non si può tacere.
E, forse, bisogna procedere in giudizio. Specie ora che la linea rossa del
rispetto della vita altrui, già violata ampiamente dalla sordità morale in
materia di aborto, è riclassificata nel pensiero eugenetico più radicale e
moderno, quello che ancora non si porta tra la gente perbene, ma tra poco sarà
una moda prêt-à-porter. Nel nome
della differenza di genere, della libertà procreativa, del diritto a un bimbo
sano e bello e della equiparazione logica dell'aborto prima della nascita con
l'infanticidio dopo la nascita.
Alberto Giubilini e Francesca
Minerva, in un recente articolo scientifico del Journal of medical ethics, sostengono, in quello che definiscono un
«articolo accademico», la seguente tesi: abbiamo stabilito che per ragioni
varie, dalle cattive condizioni economiche e psicologiche della gestante e
della sua famiglia alla eventuale disabilità potenziale o effettiva del feto, è
moralmente giustificabile annientare un non ancora nato; il corollario della
tesi è che anche i neonati condividono la statuto di non persona, in senso
razionale e volitivo, e quindi, sulla base delle stesse identiche ragioni, ciò
che è possibile per i non nati, l'aborto, è possibile e moralmente giustificato
anche per neonati, abortion after birth.
Questi ricercatori non sono
isolati nel loro pensiero omicidario detto «utilitaristico», fanno parte di una
Università e di un centro diretto da un filosofo o eticista che si chiama Peter
Singer, uno che è generalmente stimato come una voce importante nel nostro
panorama culturale, uno che chissà come, chissà quando, magari potrebbe vedersi
rifilato un Nobel. Il principio da cui partono questi medici che tolgono la
vita o istigano a togliere la vita, il che è moralmente lo stesso e
giuridicamente è un sostegno a comportamenti annichilatori aggravato dalla
competenza della fonte e dal suo rilievo sociale (lo scienziato), è lo stesso
da cui mi è capitato di partire nella mia lotta contro l'aborto seriale, di
massa, eugenetico e selettivo.
Polemizzando con il senatore
Luigi Manconi, dissi una volta che nel caso dell'aborto di massa oggi
legittimato si tratta in realtà di infanticidio, perché lo statuto di persona
umana del feto, dal momento del concepimento e poi nella crescita intrauterina,
è dimostrato dalla ricerca empirica sui cromosomi e poi, in modo spettacolare e
insostenibile, dalla capacità di fotografarlo in pancia addirittura con mezzi
tridimensionali. Fui oggetto di una dura reprimenda per il paragone.
Ora questa equiparazione, che
per me ovviamente valeva in quanto dissuasiva dell'aborto, è usata a mani
basse, con le tutele della ricerca scientifica, ma nel senso opposto. Se c'è
equiparazione, niente vieta che, in relazione non soltanto a eventuali
disabilità, ma anche alle altre ragioni sociali e psicologiche «soppressive» di
una discendenza generata nell'amore o comunque nell'atto sessuale, si proceda
liberamente all'eliminazione della vita. Non quella nascente, quella nata o
neonatale.
Brava gente orante e sincera
ha sfilato per le vie di Roma contro la manipolazione indifferente della vita
umana. Ciascuno ha le sue idee, le sue sensibilità, ci sono gli individui, le
famiglie, le donne cariche di speranza e di libertà, i maschi che capiscono il
carattere maschio e arrogante del fenomeno della indifferenza all'aborto, c'è
la chiesa cattolica, ci sono i movimenti pro life. La mia è una sensibilità del
tutto laica, del tutto razionale, moralmente giustificata dal rigetto della
casistica più infame dai tempi in cui Pascal la denunciava nel Seicento come
obbrobrio della cristianità ovvero dell'umanità nelle sue lettere dette le
Provinciali.
Bisogna tornare non tanto a
indignarsi, a scandalizzarsi, a ribellarsi, ma ad agire in modo coerente e
congruo contro l'istupidimento criminale del pensiero e della prassi umana
moderne e post-moderne. Bisogna ribadire che nessuna donna deve essere
penalmente perseguita per un aborto, e nessun medico, ma al di là dell'obiezione
di coscienza e del foro interiore, esiste in termini espliciti e pubblici, in
punto di diritto, un dovere di intervento, chiamatelo umanitario se volete, che
porta inevitabilmente a battersi con ogni mezzo lecito contro la peste del XXI
secolo: l'offesa concettuale e pratica alla vita degli altri, ai deboli, ai
poveri dei poveri, ai senza potere.
Ha senso considerarsi esseri
razionali e animali politici e non capire che, comunque giustificato,
l'infanticidio, variante postmodernista dell'aborto di massa, è un delitto
contro la nostra comune natura umana?
Nessun commento:
Posta un commento