domenica 31 ottobre 2010

RINASCE L'ASSOCIAZIONE CULTURALE “CARLO E GIULIA DI BAROLO”

 Torino 23 settembre 2010

L'Associazione culturale “Giulia di Barolo” è stata rifondata da un gruppo di nuovi soci che ne hanno modificato il nome e lo statuto risalente al 2002. Ora si chiama “Carlo e Giulia di Barolo” e si presenta alla comunità del quartiere Vanchiglia (Torino) con una rassegna di proposte culturali di vario tipo intitolata: “La cultura conta”. 
Il titolo è ispirato a un saggio di uno dei più interessanti filosofi contemporanei: Roger Scruton, La cultura conta. Fede e sentimento in un mondo sotto assedio, ed. Vita e Pensiero, 2008. Egli scrive che “le culture sono gli strumenti tramite cui le civiltà prendono coscienza di se stesse, e sono intrise dalla forza e dalla debolezza delle forme di vita che hanno ereditato. Esistono tante culture quante civiltà, anche se è possibile appartenere a una civiltà e sapere poco o niente della sua cultura – e questa è la condizione attuale della maggior parte degli occidentali”.
Pertanto lo scopo fondamentale dell'associazione sarà proprio quello di cercare di opporsi a questa deriva dell'ignoranza su noi stessi, sulla nostra storia e sulla bellezza della tradizione cristiana, a partire dall'immenso bene compiuto a Torino dai marchesi di Barolo per arrivare ad abbracciare la storia universale della Chiesa, capace di prendersi cura del bene sociale, morale e spirituale di ogni uomo. Il nostro sarà il tentativo di vivere quella che il beato Rosmini chiamava “carità intellettuale” per aiutarci non solo a 'fare il bene' ma anche a 'pensare bene', secondo il pensiero di Cristo e della sua Chiesa.
Certamente è per noi essenziale la collaborazione con la parrocchia di Santa Giulia (Torino) dove l'Associazione è nata, grazie anche al sostegno fiducioso di don Primo che ci permetterà di utilizzare il teatro “Giulia di Barolo”.
Fin da ora invitiamo tutti coloro che sono interessati alla nostra proposta a pubblicizzare la rassegna ed eventualmente ad associarsi.
Preghiamo affinché ciascuno di noi riesca davvero a mettersi sulle orme dei marchesi di Barolo.

Per informazioni  -   marchesidibarolo@gmail.com
Il Presidente  Luca Finatti

L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
CARLO E GIULIA DI BAROLO

PRESENTA LA RASSEGNA


LA CULTURA CONTA

PROGRAMMA 2010/11
GLI INCONTRI SI TERRANNO NEL TEATRO “GIULIA DI BAROLO”
IN PIAZZA SANTA GIULIA 2/BIS


Giovedì 28 ottobre
Ore 20.45

John Henry Newman.
Profilo di un cercatore di verità

Incontro con l'autore Paolo Gulisano

***

Giovedì 18 novembre
Ore 20.45

Dentro la storia.
Carlo Tancredi testimone di speranza

Incontro con l'autore Domenico Agasso jr.

***

Giovedì 25 novembre
Ore 20.45

«mi raccomando... guagliò!»
La solitudine degli umili

Incontro con l'autore Giovanni Berardi
e con il giornalista Domenico Agasso

***

Mercoledì 8 dicembre
ore 15.30
Chiesa Santa Giulia V. e M.

Canti di Natale
Coro della parrocchia Madonna del Pilone

***

Giovedì 20 gennaio
Ore 20.45

I marchesi di Barolo e Silvio Pellico
dalla Restaurazione alla deriva del Risorgimento

Conferenza di Marco Albera
Presidente dell’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino

***

Giovedì 17 febbraio
Ore 20.45

Avatar”: film New Age ?

Incontro con Massimo Introvigne
autore del saggio Il cortile dei gentili.
La Chiesa e la sfida della nuova religiosità: «sette», nuove credenze, magia

***

Giovedì 24 marzo 2011
Ore 20.45

La questione cattolica nel Risorgimento

Conferenza di Marco Invernizzi
conduttore di Radio Maria

***
roberto

venerdì 29 ottobre 2010

L’illuministico correttivo della tolleranza!

Si discute, e purtroppo si litiga, sulla costruzione di una moschea a Milano. Di moschee si parla a Roma, a Torino e in molte altre città. Aumenta il numero di islamici nel nostro paese ed è normale che desiderino avere un luogo di culto. Proprio come ebrei, cattolici e protestanti erigono nuove chiese quando la loro comunità è abbastanza numerosa da farne sentire l’esigenza. Il problema non dovrebbe essere la moschea ma il fondamentalismo religioso in generale, non solo islamico. Per loro natura le religioni, specie se monoteiste, si pongono come verità assolute, e quindi negano legittimità alle altre per imporre a tutti la propria verità. Se si supera questa posizione con l’illuministico correttivo della tolleranza (che peraltro per molte religioni è un valore) non esistono problemi.qui l'articolo completo
Piero Bianucc
(direttore Tuttoscienze-La Stampa)
«La questione centrale in gioco, dunque, è la seguente: dove può essere trovato il fondamento etico per le scelte politiche? La tradizione cattolica sostiene che le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione. Secondo questa comprensione, il ruolo della religione nel dibattito politico non è tanto quello di fornire tali norme, come se esse non potessero esser conosciute dai non credenti – ancora meno è quello di proporre soluzioni politiche concrete, cosa che è del tutto al di fuori della competenza della religione – bensì piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi. Questo ruolo "correttivo" della religione nei confronti della ragione, tuttavia, non è sempre bene accolto, in parte poiché delle forme distorte di religione, come il settarismo e il fondamentalismo, possono mostrarsi esse stesse causa di seri problemi sociali. E, a loro volta, queste distorsioni della religione emergono quando viene data una non sufficiente attenzione al ruolo purificatore e strutturante della ragione all’interno della religione. qui l'articolo intero
Benedetto XVI
*** 
roberto

“Nella prospettiva cristiana, la politica è un’arte nobile, nobilissima”

È stato presentato a Trieste l’ultimo libro del nostro arcivescovo mons. Giampaolo Crepaldi “Il cattolico in politica. Manuale per la ripresa” (Cantagalli, 2010). Lo consiglio vivamente, perché è una delle più lucide ed originali esposizioni del Magistero petrino di questi ultimi anni.
Qua c’è il mio articolo sull’incontro, al quale hanno partecipato l’on. Paola Binetti (UDC), l’on. Giuseppe Fioroni (PD) ed il consigliere regionale Mario Sala (PdL).
Anche il mio amico Marco Gabrielli, responsabile del Centro Culturale “Mons. Lorenzo Bellomi”, ha partecipato all’organizzazione dell’evento. Marco ha pure intervistato la Binetti privatamente.
***
silvio

Ricerche e dimostrazioni gödeliane

Euripide
Il simpatico Piergiorgio Odifreddi ha un blog, Il non-senso della vita, per dimostrare che la vita non ha senso.
William Shakespeare diceva, magari più poeticamente, che «la vita è la storia raccontata da un idiota, piena di rumore ed ira, che non significa niente».
Euripide, contro il principio di non contraddizione, si chiede se «la vita non sia morte e la morte non sia vita per noi quaggiù».
Lev Tolstoj vede l’obbrobrio del non senso, ma intuisce che il non senso… non ha molto senso: «Può essere che la vita sia così priva di senso, così schifosa? E se è stata davvero così priva di senso e così schifosa, allora perché morire e perché morire soffrendo? C’è qualcosa che non torna» - sì, c’è qualcosa che non torna. Fuochino.
Ma una ricerca sul non senso della vita può essere insensata o non esserlo. Se è insensata allora è assurdo cercare il non senso della vita. Se è sensata è vero che la vita non ha senso. Ma questa è una contraddizione, perché c’è almeno qualcosa di sensato nella vita, ovvero cercarne il non senso.
Ah, il caro Gödel…
***
silvio

giovedì 28 ottobre 2010

FAMIGLIE AL CINEMA

             

In  America

Regia di Jim Sheridan
Usa, 2002
Sceneggiatura:
Naomi Sheridan ,Kirsten Sheridan ,Jim Sheridan
Interpreti principali: Sarah (Samantha Morton), Johnny (Paddy Considine),
Christy e Ariel (Sarah ed Emma Bolger)


Ecco un film per famiglie, diretto da un padre che lo ha scritto insieme alle sue due figlie e dedicato   alla memoria di Frankie, il fratello del regista stroncato da un tumore al cervello a 17 anni. Nel racconto in parte autobiografico, Frankie è invece il nome dell'infante cerebroleso caduto dalle scale accidentalmente e della cui morte i genitori non riescono a farsi una ragione. Johnny e Sarah, insieme alle figlie Christy e Ariel, decidono di lasciare l'Irlanda e di partire per gli Stati Uniti, alla ricerca di una vita nuova. Le periferie americane della New York degli anni '80 sono raccontate attraverso lo sguardo onnipresente della piccola Christy, munita di telecamera sempre accesa e pronta a cogliere i segni dell'angoscia circostante. Il racconto si snoda attraverso le vicende quotidiane della famiglia immigrata che deve sopportare diffidenza, povertà e degrado sociale, nella più radicale solitudine, fino a quando non comparirà, provvidenzialmente, Mateo. La notte di Halloween le due bambine vestite da angioletti bussano alla porta di un omone dalla pelle scura che le accoglie gentilmente e mostra loro i suoi inquietanti dipinti. Abitando nello stesso condominio, nasce un'amicizia anche con i genitori che saranno aiutati a elaborare il lutto e a riscoprire la gioia del parto (l'uomo nero, come un oracolo, continua a ripetere: “Il bambino porterà la sua fortuna”). L'idea che sorregge magistralmente tutta l'opera è questa: la famiglia è un'alleanza d'amore unica, la sola capace di rimarginare le ferite più profonde del nostro animo. A una condizione però, che divenga spazio di accoglienza, incontro anche con tutto ciò che famiglia non è: senzatetto, drogati, malati di aids, disperati d'ogni risma con cui gli irlandesi entrano in contatto e ai quali sanno sempre donare attenzione e affetto. Il regista cattolico Jim Sheridan, emigrato in USA a 32 anni, restituisce i colori, i suoni e le emozioni della scoperta dell'America attraverso la memoria delle figlie piccole e mostra come una famiglia unita possa, anche nell'ambiente più triste, stringere legami e tessere relazioni. A parte una scena di ritrovata passione tra i coniugi, girata con poco pudore e non adatta ai bambini, la qualità della pellicola, giudicata troppo sentimentale da certi critici senza cuore alla Anton Ego, sta soprattutto in uno stile realistico che non si ferma al fatto bruto ma ne sa cogliere i risvolti simbolici e metafisici. Christy, la cui radice del nome non è casuale, considera ormai Frankie un angelo che li assiste dal Paradiso e lo prega. Sempre lei dona il sangue per la sopravvivenza del nuovo fratellino, dopo aver rimproverato il padre della scarsa attenzione nei suoi confronti perché troppo chiuso nel suo dolore. Dice infatti a un certo punto di sé stessa: “Da anni porto il peso di questa famiglia!”. Dopo aver esorcizzato il misterioso Mateo semplicemente con un sorriso, è ancora l'undicenne Christy a indicare al padre la via per liberarsi dal senso di colpa, puntando il Cielo dove Frankie vive. Come ci ricorda il Papa: “La famiglia è fondamento della società anche per questo: perché permette di fare determinanti esperienze di pace. Ne consegue che la comunità umana non può fare a meno del servizio che la famiglia svolge. Dove mai l'essere umano in formazione potrebbe imparare a gustare il «sapore» genuino della pace meglio che nel «nido» originario che la natura gli prepara? Il lessico familiare è un lessico di pace”(Giornata Mondiale della Pace 2008).
***
Luca

mercoledì 27 ottobre 2010

L’architetto (sempre più) di Dio

Veniamo ora alla sempre più vicina beatificazione di un santo vero: Antoni Gaudí i Cornet (1852-1926).
Buone nuove: innanzitutto il Papa, tra poco (il 7 novembre), dedicherà la Sagrada Familia. Trattasi di una preghiera a forma di pietra. Invito chiunque a precipitarsi a Barcellona il prima possibile e godersi non solo la Sagrada Familia, ma anche le più suggestive opere architettoniche di Gaudí - il parco e la casa Güell, le case Calvet, Batllò, Vicens, Milà.
Altra buona nuova è la succitata beatificazione, che potrebbe avvenire il 10 giugno 2016.
Di Gaudí se ne parla troppo poco e, se lo si fa, se ne parla grossolanamente. Si va ripetendo che la sua arte è della corrente del modernismo, ad esempio, favorendo l’equivoco che il nostro catalano avesse simpatie per il modernismo religioso. Ma nemmeno per sogno. Si sta parlando di modernismo architettonico, altrimenti detto liberty.
Gaudí fu piuttosto grande mistico, uomo di preghiera, artigiano al modo di San Giuseppe, teologo dell’arte sacra, eremita.
***
silvio

venerdì 22 ottobre 2010

Due parole su don Tonino Bello

È proprio il fantasma di don Tonino Bello il problema.
Don Tonino è uno dei simboli della Chiesa postconciliare e relativi errori. Qua ne abbiamo parlato parecchio. «Rivoluzione: l'arte di sognare insieme» è quasi il suo programma. Non parlo di eresia, ma di errore. La rivoluzione è un errore - e dei più gravi.
Da qui una serie di frasi vuote e stereotipate.
Don Tonino si formò sotto Lercaro, amante dei preti operai. Prelevò danaro dal fondo per la costruzione di nuove chiese per darle alla causa degli operai. Anche Giuda Iscariota voleva vendere l’unguento della Maddalena e darne il ricavato ai poveri, piuttosto che versarlo sui piedi di Gesù. Errore grave per un sacerdote: San Francesco edificava chiese ed aveva a cuore la liturgia.
Bello fu un ottimo operatore sociale, un filantropo. Dio gliene renda merito. Ma il prete deve occuparsi prima di tutto di sfamare e dissetare l’anima, prima del corpo.
Fu vicino agli «ultimi». E i «primi», i ricchi, li vogliamo lasciare da soli, tutti immersi nei peccati? Sono i «primi» ad essere i più malati e bisognosi di carità cristiana e conversione. Altro grave errore.
Disse di San Francesco che andò tra i crociati col «segreto disegno di convertire i soldati a propositi di nonviolenza». Tutt’altro. Vi andò per convertire i saraceni. Basta leggere le fonti francescane con onestà e senza paraocchi ideologici.
Preferisco i santi confessori, o i santi curati d’anime. I santi pacifisti li vedrei adatti alla vendita di palloncini colorati.
***
silvio

mercoledì 20 ottobre 2010

Cristianesimo da fumetto

Mi arriva una pubblicità, via e-mail, che propone l’acquisto del libro Per una Chiesa scalza di Ernesto Olivero. Non occorre leggere il libro per intuirne il contenuto, banale e piatto ad un tempo. Azzardo la tesi dell’opera: la Chiesa dovrebbe spogliarsi dei propri beni e campare d’aria.
Olivero non propone nulla di nuovo. Avete presente i fumetti di Nick Carter e del suo acerrimo nemico Stanislao Moulinski, che viene smascherato dopo l’ennesimo dei suoi patetici travestimenti? Avete presente il Moulinski che confessava “Ebbene sì, maledetto Carter, hai vinto anche stavolta”?
Così Olivero ci rifila la consunta ideologia eretica e mimetizzata, che esige una Chiesa povera, esclusivamente spirituale, atemporale, non apostolica, leggera, soporifera… demineralizzata, insomma. Inodore, insapore e incolore. Vado sul sicuro senza leggere il libro. Sarebbe come sputare sul tempo prezioso che Iddio mi ha concesso.
Ma il grave non sta nel libro, ma nella presentazione che ne fa il Cardinale (Cardinale!) Angelo Comastri, Vicario Generale di Sua Santità (!!!) per la Città del Vaticano: «Il libro di Ernesto Olivero […] è una appassionata proposta di ritornare al Vangelo puro, al “Vangelo sine glossa”, come amava dire Francesco d’Assisi». Capito? Il Cardinale insinua sottovoce che la Chiesa non stia incarnando il Vangelo puro sine glossa (che solo Olivero, ovviamente, ha capito), ma che anzi vi dovrebbe ritornare.
Ma Francesco non c’entra nulla. Il porporato dimentica la scomunica dei francescani spirituali, comminata per manifesto fraintendimento della vocazione del Fondatore. Mai San Francesco si sognò di contestare la Chiesa, né pretese di toglierle autorità, danaro e possedimenti materiali.
Mai Gesù disse ai discepoli di liberarsi della cassa a disposizione della comunità dei fedeli.
***
silvio

martedì 19 ottobre 2010

FAMIGLIE AL CINEMA


L'ATTIMO FUGGENTE
(DEAD POETS SOCIETY)
regia di Peter Weir, Usa, 1989
Attori principali: Robin Williams (prof. Keating); Ethan Hawke (Neil)


“Diceva di condividere la stessa passione per l'insegnamento che aveva il protagonista del film. Diceva che quel film gli aveva mostrato cosa era venuto a fare su questa Terra. (Alessandro D'Avenia, Bianca come il latte, rossa come il sangue, 2010). Così si esprime il professore di uno dei romanzi più letti la scorsa estate, soprattutto dagli adolescenti. Sarebbe ormai tempo di guardare e riproporre questo famoso film senza quei paraocchi ideologici e sentimentali per cui il protagonista, il prof. John Keating, ora prefigura romanticamente la rivoluzione sessantottina in nome della libera espressione di sé contro la repressiva istituzione scolastica; ora diviene l'alfiere di una professione intesa innanzitutto come improvvisazione e arte, in cui l'esuberanza della personalità è indirettamente responsabile del suicidio di uno dei suoi allievi. Vermont, 1959, il prestigioso collegio Welton Academy  ricorda come sempre, a inizio d'anno scolastico, i cardini del metodo educativo proposto: Onore, Disciplina, Tradizione, Eccellenza. Gli studenti si preparano con spirito goliardico ma rassegnato alle solite noiose lezioni che però assicureranno loro una carriera certa ai più alti livelli dello Stato. Un nuovo professore di Lettere rimescola invece le carte e i cuori, osando, addirittura, insegnare a ragionare. “Ma come! A 17 anni un ragazzo non sa pensare, li prepari per l'università” esclama il preside rimproverando i metodi bizzarri del docente. Le azioni didatticamente creative del prof., più nei modi che nei contenuti, sono comunque  tanto efficaci da appassionare i giovani alla poesia. Nella seconda parte del racconto, la tragedia: Neil scopre la passione per il teatro e decide di recitare nonostante la contrarietà del padre molto severo ma anche preoccupato che il figlio venga distratto dai suoi impegni scolastici principali. Emersa la menzogna e dopo un rimprovero duro e ottuso del genitore, il ragazzo si suicida. Da questa scena nascono le interpretazioni ora innocentiste (la colpa è della famiglia autoritaria), ora demonizzanti (l'insegnante non ha saputo valutare le conseguenze delle sue parole, è un sognatore romantico e irresponsabile). Chissà perché invece non si cita mai la sequenza fondamentale: prima della recita Neil si confida con il prof. Keating che gli consiglia di parlare con il padre, di spiegargli ciò che sente per il teatro e, in ogni caso, di ascoltarlo e obbedirgli. Mai, nel corso della storia, il professor John Keating mette in discussione i quattro pilastri educativi tradizionali dell'istituzione. Quando alla fine verrà espulso ingiustamente, non compirà alcun gesto di ribellione, solo un dignitoso silenzio e l'accettazione sofferente di un dramma di cui comunque lui si sente responsabile, perché vuole bene ai suoi allievi e quindi non può non sentirne il peso. Certo il cinema di Peter Weir è spesso pervaso da un misticismo nebuloso che esalta ambiguamente l'individuo, però ciò che affascina del protagonista è il desiderio di educare, correndo anche il rischio del fallimento, com'è sempre possibile quando si educa davvero alla libertà. Il gesto finale degli allievi in piedi sui banchi è segno che la lezione esistenziale è stata imparata. La verità, l'altro corno dell'educazione, non è presente con la stessa chiarezza, ma in tempi in cui sembra che gli insegnanti sappiano solo lamentarsi, degli allievi ancor più che della riforma, sarebbe già molto ricominciare ad amare i propri ragazzi, ogni giorno, nonostante tutto.
***
Luca

domenica 17 ottobre 2010

Pensiero della Domenica - 122

A cura del sito “Vie dello Spirito

XXIX^ domenica del Tempo Ordinario

Una vedova diceva al giudice: "Fammi giustizia contro il mio avversario"

Ci avviciniamo ormai a grandi passi verso la fine dell’Anno Liturgico. Il grande insegnamento nella Liturgia della Parola di Dio, in questa domenica, si riassume nell’appello accorato del Cristo: “Pregate, chiedete con insistenza e sarete sempre esauditi”. Ammirevole la costanza di Mosè nella prima lettura. Intercede presso Dio ed ottiene la vittoria del suo popolo. Quando teneva le mani alzate in preghiera “Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva il nemico”. Proviamo anche noi a ripetere con fede, durante il salmo responsoriale: “Il mio aiuto viene dal Signore”. [leggi tutto]
***
Don Lucio Luzzi

venerdì 15 ottobre 2010

I due livelli del concetto di coscienza

Traggo da un articolo di Massimo Introvigne “In viaggio con il beato Newman. La visita di Benedetto XVI in Gran Bretagna”una parte molto utile a far chiarezza sul problema della Coscienza.


Commentando le famose – e per qualche aspetto controverse – parole del beato nella Lettera al Duca di Norfolk secondo cui «se fossi obbligato a introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo (il che in verità non mi sembra proprio la cosa migliore), brinderò, se volete, al Papa; tuttavia prima alla coscienza, poi al Papa» (Newman 1999, 237), il cardinale Ratzinger commenta che la frase va inquadrata nel complessivo pensiero di Newman e nella sua fedeltà alla «tradizione medioevale [che] giustamente aveva individuato due livelli del concetto di coscienza, che si devono distinguere accuratamente, ma anche mettere sempre in rapporto l’uno con l’altro. Molte tesi inaccettabili sul problema della coscienza mi sembrano dipendere dal fatto che si è trascurata o la distinzione o la correlazione tra i due elementi» (Ratzinger 1991, 89).
Il Medioevo parlava di sinderesi e coscienza; il cardinale Ratzinger precisa questi due termini come «anamnesi della creazione» (ibid.) e «anamnesi della fede» (ibid.). La prima, l’anamnesi della creazione, deriva dal fatto che con la creazione «è stato infuso in noi qualcosa di simile ad una originaria memoria del bene e del vero» (ibid.). La seconda, l’anamnesi della fede, nasce dalla redenzione a opera di Gesù Cristo «il cui raggio a partire dal Logos redentore si estende oltre il dono della creazione» (ibid.) la cui memoria è custodita dalla Chiesa e, nella Chiesa, dal Papa. Cronologicamente, l’anamnesi della creazione viene prima: «si identifica col fondamento stesso della nostra esistenza» (ibid.) e fonda la possibilità anche dell’anamnesi della memoria. Come la creazione precede storicamente la redenzione, così perché ci sia una coscienza formata e illuminata dalla Chiesa e dal Papa occorre prima che ci sia una coscienza. In questo senso «siamo ora in grado di comprendere correttamente il brindisi di Newman prima per la coscienza e solo dopo per il Papa» (ibid.). I due brindisi stanno in sequenza, non in contrapposizione.
Se invece si ritiene che l’appello alla coscienza sia solo una giustificazione per seguire il proprio arbitrio – «Fai ciò che vuoi sarà tutta la legge» (Crowley 1938, cap. I, v. 40), secondo la celebre formula dell’esoterista inglese Aleister Crowley (1875-1947), il quale non solo dava a questa proposizione un fondamento specificamente magico, ma in essa catturava l’essenza stessa della magia come primato del potere – il passaggio successivo non può che essere l’abolizione della coscienza. Per fare quel che si vuole non c’è bisogno della legge, né della coscienza. Il relativismo liberale evolve così naturalmente verso il relativismo aggressivo delle ideologie del secolo XX fino all’affermazione del gerarca nazional-socialista Hermann Göring (1893-1946), citata dal cardinale Ratzinger: «Io non ho nessuna coscienza! La mia coscienza è Adolf Hitler [1889-1945]» (Ratzinger 1990, 432). La nozione relativista della coscienza porta ultimamente all’eliminazione della coscienza.
Il cattolico, nota il cardinale Ratzinger, non adotta certamente la formula di Göring mettendo il Papa al posto di Hitler. Questa sarebbe una versione caricaturale del cattolicesimo: «una simile concezione moderna e volontaristica dell’autorità può soltanto deformare l’autentico significato teologico del papato» (Ratzinger 1991, 89). Il cattolico dirà al contrario di avere una coscienza, e di trovare in essa una memoria del bene originario e l’apertura alla «possibilità» (ibid.) di una rivelazione di Dio, che di quel bene è fondamento. Nel momento in cui accetta per fede che Dio si è rivelato in Gesù Cristo, è pronto ad accogliere la tesi che il Papa è «garante della memoria» (ibid.) della rivelazione cristiana. Il Magistero del Papa entra così nella coscienza, per così dire, dall’interno: «tutto il potere che egli [il Papa] ha è potere della coscienza» (ibid.).
Il cardinale Ratzinger cita come prova del carattere tutt’altro che soggettivo e arbitrario dell’idea di coscienza nel beato Newman precisamente la sua conversione dalla Comunione Anglicana alla Chiesa Cattolica del 1845. «Proprio perché Newman spiegava l’esistenza dell’uomo a partire dalla coscienza, ossia nella relazione tra Dio e l’anima, era anche chiaro che questo personalismo non rappresentava nessun cedimento all’individualismo, e che il legame alla coscienza non significava nessuna concessione all’arbitrarietà – anzi che si trattava proprio del contrario. Da Newman abbiamo imparato a comprendere il primato del Papa: la libertà di coscienza – così ci insegnava Newman – non si identifica affatto col diritto di “dispensarsi dalla coscienza, di ignorare ilLegislatore e il Giudice, e di essere indipendenti da doveri invisibili”. In tal modo la coscienza, nel suo significato autentico, è il vero fondamento dell’autorità del Papa. Infatti la sua forza viene dalla Rivelazione, che completa la coscienza naturale illuminata in modo solo incompleto, e “la sua [del Papa] raison d’être è quella di essere il campione della legge morale e della coscienza” (J. H. Newman, Lettera al Duca di Norfolk, Coscienza è libertà, a cura di V. Gambi, Paoline, Milano 1999, p. 226)» (Ratzinger 1990, 433-434).
«Questa dottrina sulla coscienza – continuava nel 1990 il cardinale Ratzinger – è diventata per me sempre più importante nello sviluppo successivo della Chiesa e del mondo. Mi accorgo sempre di più che essa si dischiude in modo completo solo in riferimento alla biografia del Cardinale, la quale suppone tutto il dramma spirituale del suo secolo. Newman, in quanto uomo della coscienza, era divenuto un convertito; fu la sua coscienza che lo condusse dagli antichi legami e dalle antiche certezze dentro il mondo per lui difficile e inconsueto del cattolicesimo. Tuttavia, proprio questa via della coscienza è tutt’altro che una via della soggettività che afferma se stessa: è invece una via dell’obbedienza alla verità oggettiva. Il secondo passo del cammino di conversione che dura tutta la vita di Newman fu infatti il superamento della posizione del soggettivismo evangelico, in favore d’una concezione del Cristianesimo fondata sull’oggettività del dogma […]. E solo così, attraverso il legame alla verità, a Dio, la coscienza riceve valore, dignità e forza» (ibid., 434).
Quando a proposito della conversione al cattolicesimo ricordiamo che il beato Newman fu «mosso dal seguire la propria coscienza, anche con un pesante costo personale» (Benedetto XVI 2010g), o che san Tommaso Moro (1478-1535), giustiziato per ordine del re Enrico VIII (1491-1547), di cui era stato Lord Cancelliere ma che non aveva voluto seguire nella sua rivolta contro il Papa, «fu capace di seguire la propria coscienza, anche a costo di dispiacere al proprio sovrano, di cui era “buon servitore”» (Benedetto XVI 2010h), non ci riferiamo a opzioni o semplici preferenze soggettive ma a un rapporto con la verità oggettiva – «quella verità [che ultimamente] è nient’altro che Gesù Cristo» (Benedetto XVI 2010g) – così forte da rendere disposti a sacrificare affetti, amicizie e perfino la proprio stessa vita. E la questione della coscienza ha un diretto collegamento con il rapporto fra fede e ragione. Il beato Newman, insegna Benedetto XVI, fu insieme «intellettuale e credente, il cui messaggio spirituale si può sintetizzare nella testimonianza che la via della coscienza non è chiusura nel proprio “io”, ma è apertura, conversione e obbedienza a Colui che è Via, Verità e Vita» (Benedetto XVI 2010v).
***
roberto

Teologia fuzzy, eterologhe e visite papali

Ultimissime da Trieste.
Il nostro Arcivescovo non le manda a dire e mette a posto un teologo molto moderno, molto fuzzy, molto dialogante, ma con un’identità confusa. Mio articolo, purtroppo abbastanza piatto.
Il direttore torna sulla Legge 40.
Poi i vescovi del Friuli Venezia Giulia annunciano l’arrivo di Benedetto XVI ad Aquileia, la prossima primavera.

***
silvio