Avvenire ha avuto il coraggio
di pubblicare un’intervista dal titolo “E il
latino rinacque dal Vaticano II”.
Ma il contenuto è l’esatta
negazione del titolo. Il cardinale Giovanni Coppa, esperto latinista al
Concilio, si contraddice di continuo.
Prima constata: «Vi fu molta
cura e ricercatezza nelle traduzioni. Penso ad alcuni documenti o dichiarazioni
come quello sulla libertà religiosa la Dignitatis Humanae o le costituzioni Dei Verbum, Lumen Gentium
o la Sacrosanctum Concilium. In
questi casi si legge un latino limpido, intriso
di reminiscenze bibliche e patristiche.»
Poi ammette: «La Costituzione
pastorale Gaudium et spes fu
tradotta troppo in fretta e alcuni decreti
lasciavano a desiderare riguardo al latino. […] Furono tanti [gli abusi
linguistici] soprattutto nei testi dove
vi erano parole presenti nelle lingue moderne, ma non in quella latina. Gli
esempi? Vennero fuori parole come Civilizatio,
dissensiones radiale o industrializatio, opinio publica che non avevano nulla a che vedere con il latino
autentico e con la sua costruzione sintattica. Per esempio la parola actuositas fu adoperata infinite volte per indicare l’attività generosa e zelante,
quando, a tale scopo, il latino aveva a disposizione un vocabolario più ricco
come industria, navitas o alacritas.»
La verità è che il Vaticano
II ha saccheggiato non solo la genuinità del latino, ma ha prodotto testi
stucchevoli dal punto di vista grammaticale, formale, strutturale e retorico.
La cosa che addolora di più è
quando il cardinale Coppa dice che «il passaggio dal latino alle lingue
volgari rappresentò per me, come credo per quelli della mia generazione una
benedizione perché capivamo forse più di altri l’anacronismo del latino nella
Messa che non veniva capita dal popolo.»
Uno che fa del latino la
passione della sua vita pensa sia una benedizione il passaggio alle lingue
volgari - dicasi “volgari” - nella liturgia?
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silvio