domenica 6 maggio 2012

Teodicea nel lager


«Stanno giocando un bel giochetto con noi, ma noi lo consentiamo, e la nostra vergogna rimarrà incancellabile per tutte le generazioni future».
Esther Hillesum, detta Etty (1914-1943)

Ho finito di leggere Lettere 1942-1943 di Etty Hillesum (Adelphi, 2001). Nella riflessione che ho riportato, il giochetto è la persecuzione dei nazionalsocialisti ai danni degli ebrei. Qua l’ebrea olandese Etty fa un’autocritica al suo popolo.
Per il resto, più diario che corrispondenza di una cronista non piagnucolosa. Terrore genuino ricamato con eleganza sul racconto del proprio sopravvivere al centro smistamento di Westerbork. Non ci sono ciminiere, ma fili spinati e sadismo. Le persone vengono colpite non a botte, ma rovinando loro la vita. Sei ad Amsterdam? Ti devi presentare al lager. Qua vivrai in povertà e in ansia. Sei al lager? Devi subito partire, anche con la febbre, su di un treno per bestiame. Gli spostamenti continui servono a rammentare di continuo ai prigionieri che il loro tempo dev’essere sempre da considerare a disposizione dei padroni.
È chiaro che l’obiettivo è la morte interiore, la disperazione del recluso. Il problema non è tanto passare le ore, avere paura della morte o paura di essere picchiati, ma non sapere nulla del proprio destino, già deciso da un altro e taciuto intenzionalmente.
Forse nelle Lettere manca un po’ più di ricerca sul senso di quanto è capitato. Sì, in privato s’intende che Etty preghi, aiutandosi pure con la Bibbia. Ma i riferimenti a Dio, nel testo epistolare, non sono moltissimi. Però la prosa è talmente perspicace, che il senso sublima spontaneamente nel senno di chi legge.

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silvio

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