di Silvio Brachetta
Più che saggi, il
cronista e scrittore cattolico Andrea Tornielli, produce tomi di giornalismo
d’inchiesta: quasi un nuovo genere letterario, almeno da quando Vittorio
Messori fece scuola con il suo “Ipotesi su Gesù” (1976) e ridestò
l’apologetica. Attività meritoria e tutt’altro che statica, quella di
Tornielli, che è riuscito a pubblicare una cinquantina di libri. E sono scritti
di puro contenuto: vite di papi, inchieste sui miracoli, su Gesù o sui luoghi
di devozione mariana.
Lo abbiamo
intervistato a proposito dell’opera in due volumi “Gesù di Nazaret” di
Benedetto XVI.
Dott. Tornielli,
Benedetto XVI si è avvalso, nella redazione dei libri su Gesù, anche del metodo
storico-critico, che è un approccio al testo di tipo scientifico, mediante
discipline filologiche o papirologiche. Quali sono i limiti e i meriti che il Papa
riconosce a questa metodologia?
Per certi versi, questo metodo, è anche una conquista.
Ricordiamoci dell’Enciclica “Divino afflante Spiritu” (1943) del Pontefice Pio
XII, che apre al metodo storico-critico. Ma, allo stesso tempo, Benedetto XVI
dice che non può bastare semplicemente questo approccio, perché c’è anche una
conoscenza del mistero di Cristo e della figura di nostro Signore che passa
attraverso un incontro reale con Lui, nella nostra vita. La cosa interessante
del secondo libro, come anche del primo, è che si tratta di un’opera scritta da
un innamorato. Per questo, allora, non è un lavoro esclusivamente scientifico -
e, di certo, seriamente scientifico. Si può considerare, lo ripeto, un’opera
scritta appunto da un innamorato. Quella che coinvolge l’amore è una conoscenza
che va oltre il metodo scientifico.
In che modo le
discipline filologiche o storiografiche possono offrire argomenti portanti alla
storicità di Gesù Cristo?
Il metodo storico-critico è una metodologia di approccio al
testo evangelico. I Vangeli, al di là del metodo che si è scelto di adottare,
contengono tanti indizi importanti di storicità. Innanzi tutto, è da
evidenziare che non si è trovato nemmeno un mezzo versetto del Vangelo che sia
stato contraddetto da una qualche scoperta storica, archeologica o
papirologica. Anzi, più ci si addentra nelle conoscenze offerte da queste
scienze, che non sono propriamente attinenti all’esegesi [interpretazione del
testo, ndr], maggiori sono le
conferme al fatto che il racconto dei Vangeli è perfettamente calato nel
proprio tempo. E, per tale motivo, il racconto è perfettamente coerente con
quel tempo. Quindi, parallelamente al procedere della ricerca scientifica, si
trovano più numerosi riscontri alla storicità dei Vangeli.
Qual è il capitolo o
l’argomento che più l’ha interessata?
Le pagine che mi hanno maggiormente colpito sono nel
capitolo sulla Resurrezione, dove il Papa parla della novità del risorgere dai
morti: ovvero, di ciò che potremmo chiamare un grande big bang. Credo valga la pena di leggere i libri anche solo per
questo capitolo.
E qual è la
peculiarità dell’opera, di fronte ad altre importanti “vite di Gesù” di altri
autori?
Non è una “vita di Gesù” del tipo, ad esempio, di quella
dell’abate Giuseppe Ricciotti. È piuttosto un libro fatto da un sacerdote che
vuole mostrare come il modo più ragionevole per presentare il Cristo della fede
è indicare il Gesù della storia. Cioè le due figure coincidono. I libri sono
stati scritti dal Papa per recuperare la frattura tra le due figure; frattura
che in realtà non c’è. È questo il modo più ragionevole per leggere il Gesù
della storia e il Cristo della fede.
© Vita Nuova
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