venerdì 11 maggio 2012

Intervista a Andrea Tornielli


di Silvio Brachetta

Più che saggi, il cronista e scrittore cattolico Andrea Tornielli, produce tomi di giornalismo d’inchiesta: quasi un nuovo genere letterario, almeno da quando Vittorio Messori fece scuola con il suo “Ipotesi su Gesù” (1976) e ridestò l’apologetica. Attività meritoria e tutt’altro che statica, quella di Tornielli, che è riuscito a pubblicare una cinquantina di libri. E sono scritti di puro contenuto: vite di papi, inchieste sui miracoli, su Gesù o sui luoghi di devozione mariana.
Lo abbiamo intervistato a proposito dell’opera in due volumi “Gesù di Nazaret” di Benedetto XVI.

Dott. Tornielli, Benedetto XVI si è avvalso, nella redazione dei libri su Gesù, anche del metodo storico-critico, che è un approccio al testo di tipo scientifico, mediante discipline filologiche o papirologiche. Quali sono i limiti e i meriti che il Papa riconosce a questa metodologia?

Per certi versi, questo metodo, è anche una conquista. Ricordiamoci dell’Enciclica “Divino afflante Spiritu” (1943) del Pontefice Pio XII, che apre al metodo storico-critico. Ma, allo stesso tempo, Benedetto XVI dice che non può bastare semplicemente questo approccio, perché c’è anche una conoscenza del mistero di Cristo e della figura di nostro Signore che passa attraverso un incontro reale con Lui, nella nostra vita. La cosa interessante del secondo libro, come anche del primo, è che si tratta di un’opera scritta da un innamorato. Per questo, allora, non è un lavoro esclusivamente scientifico - e, di certo, seriamente scientifico. Si può considerare, lo ripeto, un’opera scritta appunto da un innamorato. Quella che coinvolge l’amore è una conoscenza che va oltre il metodo scientifico.

In che modo le discipline filologiche o storiografiche possono offrire argomenti portanti alla storicità di Gesù Cristo?

Il metodo storico-critico è una metodologia di approccio al testo evangelico. I Vangeli, al di là del metodo che si è scelto di adottare, contengono tanti indizi importanti di storicità. Innanzi tutto, è da evidenziare che non si è trovato nemmeno un mezzo versetto del Vangelo che sia stato contraddetto da una qualche scoperta storica, archeologica o papirologica. Anzi, più ci si addentra nelle conoscenze offerte da queste scienze, che non sono propriamente attinenti all’esegesi [interpretazione del testo, ndr], maggiori sono le conferme al fatto che il racconto dei Vangeli è perfettamente calato nel proprio tempo. E, per tale motivo, il racconto è perfettamente coerente con quel tempo. Quindi, parallelamente al procedere della ricerca scientifica, si trovano più numerosi riscontri alla storicità dei Vangeli.

Qual è il capitolo o l’argomento che più l’ha interessata?

Le pagine che mi hanno maggiormente colpito sono nel capitolo sulla Resurrezione, dove il Papa parla della novità del risorgere dai morti: ovvero, di ciò che potremmo chiamare un grande big bang. Credo valga la pena di leggere i libri anche solo per questo capitolo.

E qual è la peculiarità dell’opera, di fronte ad altre importanti “vite di Gesù” di altri autori?

Non è una “vita di Gesù” del tipo, ad esempio, di quella dell’abate Giuseppe Ricciotti. È piuttosto un libro fatto da un sacerdote che vuole mostrare come il modo più ragionevole per presentare il Cristo della fede è indicare il Gesù della storia. Cioè le due figure coincidono. I libri sono stati scritti dal Papa per recuperare la frattura tra le due figure; frattura che in realtà non c’è. È questo il modo più ragionevole per leggere il Gesù della storia e il Cristo della fede.

© Vita Nuova

Nessun commento: