di Guido Vignanelli
[...] Senza avere la pretesa
di valutare tecnicamente la situazione attuale, possiamo comunque ricordare i
principi basilari della dottrina sociale della Chiesa, stranamente dimenticati
dalla pastorale odierna, rispondendo ad alcune domande generali che possono
aiutare il contribuente a trovare una soluzione concreta.
Può lo Stato tartassare i
cittadini per assicurare l'assistenzialismo?
Dato che il fine delle
pubbliche finanze sta nell'assicurare le condizioni economiche del bene comune,
la quantità e la gravità delle imposte hanno la loro giustificazione solo nella
misura in cui corrispondono equamente all'ampiezza e alla qualità dei servizi
assicurati dallo Stato.
Nondimeno, anche ammettendo
che il fisco aumenti le tasse solo per ampliare o migliorare i servizi sociali,
si pone comunque un problema: fino a che punto lo Stato può accentrare e
monopolizzare tali servizi, per poi chiedere ai cittadini un aumento della
contribuzione? E' chiaro, infatti, che quanto più numerosi e complessi saranno
i servizi accentrati dallo Stato, tanto più onerosi ne saranno i costi sociali,
sotto forma appunto di tasse. Se l'autorità politica s'incarica di gestire non
solo l'ordine pubblico e la pubblica amministrazione, ma anche scuola, sanità,
previdenza sociale, poste, trasporti e addirittura attività industriali e
agricole, ha poi diritto di chiedere ai cittadini tasse esose per mantenere
questo carrozzone? [leggi
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© Cristianità,
20 (1992) novembre, n. 211, p. 3-4
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