A Vatican Insider l’amico cardinale Silvestrini
“Con quel documento l’Italia non era più un paese confessionale, ma si
garantivano spazi e diritti alla Chiesa"
di Giacomo Galeazzi
"E' stato un grande statista, non si capisce la storia
d'Italia del Novecento senza il ruolo fondamentale di Giulio Andreotti". A
rendere omaggio al politico-simbolo della Dc è l'amico di una vita, il
cardinale Achille Silvestrini, ex ministro vaticano degli Esteri e prefetto
delle Chiese orientali, che per mezzo secolo è stato il più fedele referente
Oltretevere del sette volte presidente del Consiglio. Un amico, un consigliere,
un interlocutore, quasi una persona di famiglia. "Il mio primo pensiero
oggi è stato per la carissima moglie Livia, che è stata sempre il suo angelo
custode", afferma il diplomatico di lungo corso della Santa Sede.
Eminenza, chi è stato davvero Giulio Andreotti?
"Un eccellente esponente del cattolicesimo politico
italiano. Un vero servitore dello Stato e un fedele figlio della Chiesa. Da
quando era il braccio destro di De Gasperi e fino all'epilogo della Guerra
Fredda, Andreotti ha elaborato e attuato una coerente strategia politica
fondata sul senso dello Stato e la fedeltà ai valori cristiani. Mai in Vaticano
sono venute meno la stima e la fiducia nei suoi confronti. E' stato l'uomo che
avuto il coraggio e la forza, a cavallo tra i turbolenti anni '70 e '80, di condurre
in porto il nuovo Concordato tra Stato italiano e Vaticano, il documento che ha
sostituito quello del 1929, e che ha ridefinito il quadro dei rapporti tra le
due sponde del Tevere".
Qual è il suo merito maggiore?
"Durante la Guerra fredda è stata determinante la sua
vasta rete di contatti internazionali. Sullo scacchiere e negli annali resterà
sopratutto quello che ha costruito nella storia tra Italia e Santa Sede. Ma fu
molto importante anche la funzione discreta e competente svolta negli anni
della ostpolitik come cerniera tra Oriente e Occidente. Conosceva personalmente
tutti da Kissinger ai capi di governo dell'Europa comunista".
Lei, come contatto-chiave nella città leonina dei governi italiani
che si sono succeduti nel secondo dopoguerra, conosceva Andreotti dal 1953.
Quando cominciò la vostra frequentazione?
"Nell'ultima parte del pontificato di Pio XII.
Andreotti era collaboratore di De Gasperi e spesso interloquiva in Vaticano per
conto del presidente del Consiglio. Io prestavo servizio in Segreteria di
Stato. Da allora ci siamo sempre sentiti con regolarità e con crescente
familiarità. Il suo capolavoro fu appunto la revisione del concordato, firmata
il 18 febbraio del 1984. Fu decisivo il lavoro di quasi otto anni voluto tenacemente
da Andreotti".
Nel post-sessantotto della legge sul divorzio e sull'aborto, il
vecchio concordato appariva superato, ammuffito. Come intervenne Andreotti?
"Ha adeguato l'intesa ai tempi mutati senza
stravolgerne lo spirito. Se nella forma e nel preambolo del protocollo, cadeva
ogni riferimento all'Italia come Stato confessionale cattolico, nei diversi
paragrafi del testo si garantiva spazi e diritti alla Chiesa e si apriva la
strada al successivo accordo per il finanziamento al clero, attraverso l'otto
per mille dell'Irpef. Mi vengono alla mente tanti ricordi personali che
desidero tenere per me. Con il concordato del 1984, entrava in scena anche un
nuovo protagonista, l'episcopato italiano, con il quale da allora lo Stato
avrebbe dovuto trattare. E' merito di Andreotti aver voltato pagina. L'assoluta
fiducia della Santa Sede nei suoi confronti trovò palese espressione nel
pubblico abbraccio di Giovanni Paolo II durante la beatificazione di Padre Pio,
quando Andreotti viveva il periodo più buio per le vicende giudiziarie poi
terminate a suo favore. E, come lui stesso disse, trovò grande conforto in quel
segno di vicinanza e apprezzamento del Pontefice".
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