martedì 7 maggio 2013

“Fu Giulio il vero artefice del Concordato del 1984”


A Vatican Insider l’amico cardinale Silvestrini “Con quel documento l’Italia non era più un paese confessionale, ma si garantivano spazi e diritti alla Chiesa"

di Giacomo Galeazzi

"E' stato un grande statista, non si capisce la storia d'Italia del Novecento senza il ruolo fondamentale di Giulio Andreotti". A rendere omaggio al politico-simbolo della Dc è l'amico di una vita, il cardinale Achille Silvestrini, ex ministro vaticano degli Esteri e prefetto delle Chiese orientali, che per mezzo secolo è stato il più fedele referente Oltretevere del sette volte presidente del Consiglio. Un amico, un consigliere, un interlocutore, quasi una persona di famiglia. "Il mio primo pensiero oggi è stato per la carissima moglie Livia, che è stata sempre il suo angelo custode", afferma il diplomatico di lungo corso della Santa Sede.

Eminenza, chi è stato davvero Giulio Andreotti?

"Un eccellente esponente del cattolicesimo politico italiano. Un vero servitore dello Stato e un fedele figlio della Chiesa. Da quando era il braccio destro di De Gasperi e fino all'epilogo della Guerra Fredda, Andreotti ha elaborato e attuato una coerente strategia politica fondata sul senso dello Stato e la fedeltà ai valori cristiani. Mai in Vaticano sono venute meno la stima e la fiducia nei suoi confronti. E' stato l'uomo che avuto il coraggio e la forza, a cavallo tra i turbolenti anni '70 e '80, di condurre in porto il nuovo Concordato tra Stato italiano e Vaticano, il documento che ha sostituito quello del 1929, e che ha ridefinito il quadro dei rapporti tra le due sponde del Tevere".

Qual è il suo merito maggiore?

"Durante la Guerra fredda è stata determinante la sua vasta rete di contatti internazionali. Sullo scacchiere e negli annali resterà sopratutto quello che ha costruito nella storia tra Italia e Santa Sede. Ma fu molto importante anche la funzione discreta e competente svolta negli anni della ostpolitik come cerniera tra Oriente e Occidente. Conosceva personalmente tutti da Kissinger ai capi di governo dell'Europa comunista". 

Lei, come contatto-chiave nella città leonina dei governi italiani che si sono succeduti nel secondo dopoguerra, conosceva Andreotti dal 1953. Quando cominciò la vostra frequentazione?

"Nell'ultima parte del pontificato di Pio XII. Andreotti era collaboratore di De Gasperi e spesso interloquiva in Vaticano per conto del presidente del Consiglio. Io prestavo servizio in Segreteria di Stato. Da allora ci siamo sempre sentiti con regolarità e con crescente familiarità. Il suo capolavoro fu appunto la revisione del concordato, firmata il 18 febbraio del 1984. Fu decisivo il lavoro di quasi otto anni voluto tenacemente da Andreotti".

Nel post-sessantotto della legge sul divorzio e sull'aborto, il vecchio concordato appariva superato, ammuffito. Come intervenne Andreotti?

"Ha adeguato l'intesa ai tempi mutati senza stravolgerne lo spirito. Se nella forma e nel preambolo del protocollo, cadeva ogni riferimento all'Italia come Stato confessionale cattolico, nei diversi paragrafi del testo si garantiva spazi e diritti alla Chiesa e si apriva la strada al successivo accordo per il finanziamento al clero, attraverso l'otto per mille dell'Irpef. Mi vengono alla mente tanti ricordi personali che desidero tenere per me. Con il concordato del 1984, entrava in scena anche un nuovo protagonista, l'episcopato italiano, con il quale da allora lo Stato avrebbe dovuto trattare. E' merito di Andreotti aver voltato pagina. L'assoluta fiducia della Santa Sede nei suoi confronti trovò palese espressione nel pubblico abbraccio di Giovanni Paolo II durante la beatificazione di Padre Pio, quando Andreotti viveva il periodo più buio per le vicende giudiziarie poi terminate a suo favore. E, come lui stesso disse, trovò grande conforto in quel segno di vicinanza e apprezzamento del Pontefice".

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