di Roberto de Mattei
Può darsi che, se si vuole evitare ad ogni costo il ritorno
alle urne, il nuovo esecutivo sia, come ha dichiarato il Presidente Napolitano,
«l’unico governo possibile». Ma, d’altra parte, il fallimento di questo
governo, malgrado il vasto consenso parlamentare e mediatico che lo sostiene,
appare più che possibile, certo. La prima ragione di questo fallimento
obbligato è politica.
Il governo Napolitano-Letta si ispira alla stessa filosofia del governo
Napolitano-Monti che lo ha preceduto e non può che conoscere un’analoga
débacle. Il primo si presentava come un governo di tecnici, sostenuto, dai voti
dei due principali partiti di opposizione; il secondo è un governo non tecnico,
ma tecnocratico, in cui i due partiti, obbligandosi ad uno spurio compromesso,
entrano a far parte della medesima compagine governativa e seguono la stessa
agenda, dettata dalla Banca Centrale Europea e dai custodi dell’utopia
europeista, come Angela Merkel.
La democrazia rappresentativa è fondata sul rapporto
dialettico tra il governo, espressione della maggioranza dei cittadini, e
l’opposizione, che rappresenta coloro che nel governo non si riconoscono. La tradizione
rappresentativa occidentale non nasce tuttavia con le democrazie moderne, ma è
un prodotto tipico del Medioevo, e ha le sue radici nei rapporti politici e
sociali del sistema feudale e corporativo, distrutto dalla Rivoluzione
francese. La democrazia del XIX e del XX secolo è invece evoluta in senso
anti-rappresentativo, per divenire una democrazia totalitaria, che fa tabula
rasa non solo dei principi che trascendono la politica, ma delle stesse
categorie di maggioranza e di opposizione che dovrebbero costituire l’essenza
del regime parlamentare.
Lo Stato italiano, fin dalla sua nascita, nel 1861, conobbe
la degenerazione del sistema parlamentare, contro cui sorse il fascismo, un
regime la cui vocazione totalitaria fu frenata dalle presenza istituzionale
della Chiesa e della Monarchia. Dopo la caduta del fascismo, si formò tra il
1943 e il 1944 un governo di “unità antifascista”, fondato sull’elevazione a
concetto metafisico di un fatto storico, la Resistenza. Negli anni ‘60 il
Concilio Vaticano II fu inteso da molti come l’inizio di quella purificazione
che avrebbe dovuto preludere all’incontro fra cattolici e comunisti.
Proprio in nome della Resistenza e dell’“unità nazionale” nacque il
progetto gramsciano-berlingueriano di compromesso storico, abortito nel 1978
per il rapimento e la morte di Aldo Moro. Il mito dell’“unità nazionale”
continuò però ad aleggiare, mentre i successivi tentativi della sinistra
comunista e postcomunista di conquistare il potere si infransero contro nuovi
ostacoli, a cominciare dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi, nel 1994.
Da allora il vero problema della sinistra italiana non è stato tanto di
arrivare al governo, ma di riuscire a mantenere il potere. La sinistra non è
riuscita ad abbattere Berlusconi né per via politica né per via giudiziaria, ma
è dovuta ricorrere ai poteri forti extra e sovranazionali, intervenuti in nome
di un crisi economica da essi stessi artificialmente alimentata, prima che la
situazione precipitasse realmente, proprio a causa della disastrosa politica
finanziaria del governo Monti.
Nelle elezioni del febbraio 2013, Berlusconi è ritornato in
campo e il novanta per cento degli italiani si è espresso contro il salvatore
della patria Mario Monti, la cui “Scelta civica” ha ottenuto alla Camera solo
il 10,5% dei voti. La situazione di ingovernabilità che è seguita avrebbe
dovuto portare alle elezioni anticipate e non certo alla riedizione di un
governo di “larghe intese” che oggi ingloba quelle stesse forze politiche che
avevano sostenuto Mario Monti.
Il governo Napolitano-Letta è una riedizione del precedente, spogliata di
qualche clamoroso errore come l’imposizione dell’IMU. Enrico Letta segue
attentamente le indicazioni del suo padrino Giorgio Napolitano e su tutti
vigilano con attenzione i poteri forti europei. Il cambiamento di parola
d’ordine, da “austerità” a “sviluppo”, segue le indicazioni ricevute da
Bruxelles e da Francoforte. Che sia così, lo conferma la scelta come premier
dello stesso Letta, proveniente dall’ala tecnocratica della sinistra
democristiana e la consegna del ministero chiave dell’Economia e delle Finanze
a Fabrizio Saccomanni, direttore generale della Banca d’Italia, e uomo di
fiducia della BCE.
La terza “icona” dell’esecutivo, dopo Letta e Saccomanni, è
Emma Bonino, che garantisce con la sua presenza al Ministero degli Esteri, la
amoralità, più ancora che l’immoralità del nuovo governo. La Bonino non
proporrà i matrimoni omosessuali, lasciando che a farlo provvedano i gruppi
parlamentari, ma sarà il volto ufficiale dell’Italia all’Estero: quell’Italia
laica e libertaria, che dal 1978 ad oggi ha ucciso quasi sei milioni di bimbi,
un decimo della sua popolazione, e che si è data come missione la dissacrazione
di tutti i princìpi e le istituzioni tradizionali su cui, nel corso dei secoli,
si è costruita la nostra nazione.
E che le tre “icone”, Letta, Saccomanno, Bonino, abbiano più di qualcosa
in comune ce lo conferma un comunicato stampa dell’Istituto Affari
Internazionali (IAI), che formula «al
premier Enrico Letta e ai ministri degli Esteri Emma Bonino e dell’economia
Fabrizio Saccomanni, tutti e tre membri del Consiglio direttivo dello IAI
l’augurio di buon lavoro dell’Istituto, con l’auspicio di riuscire a
interpretare le istanze di cambiamento italiane ed europee e a rafforzare la
credibilità dell’Italia nell’Ue e il processo di integrazione».
(http://www.iai.it/index_it.asp)
Lo IAI, fondato nel 1965, sul modello dei think tank anglosassoni, dall’eurocrate
comunista Altiero Spinelli, è la filiazione italiana di istituzioni mondialiste
come il “Council on Foreign Relations”
americano. Tra i suoi esponenti di punta fu l’ex governatore della Banca
d’Italia Guido Carli, firmatario italiano, nel 1992, del Trattato di
Maastricht, come Ministero degli Esteri nel settimo governo Andreotti. Il
salvataggio dell’euro e dell’Unione Europea resta un obiettivo primario del
nuovo governo tecnocratico Napolitano-Letta, che per sopravvivere ha bisogno
del mito totalitario dell’unità nazionale.
A chi si illude sul possibile buon esito di questa ricetta
bisogna ricordare che il bene comune di una nazione è sempre, prima di tutto,
morale e che le nazioni, come gli uomini hanno un’anima che le sostiene.L’Italia
per rinascere sul piano economico e politico, non ha bisogno di ridurre il suo
debito, ma innanzitutto di ritrovare la propria identità spirituale e morale.
Non c’è altra “emergenza” al di fuori di questa.
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