Inedito di Aleksandr Isaevič
Solženicyn
Era uscito allora un romanzo intitolato
Avanti, tempo!, e perfino il Piano Quinquennale si dispiegava, tra rulli di
tamburo, in Quattro Anni. E all’Istituto pedagogico inculcavano ai futuri
insegnanti che la letteratura sovietica – e quindi anche loro – non dovevano
rimanere indietro rispetto alle esigenze del Periodo della Ricostruzione.
Neanche a farlo apposta, nel
mese in cui Nastja stava per dare le sue prime lezioni in classe,
l’Associazione russa degli Scrittori proletari aveva adottato e resa pubblica
una risoluzione: riguardava il modo di rappresentare i personaggi in
letteratura e lanciava un appello ai «lavoratori d’assalto» dei cantieri a
farsi essi stessi scrittori, affinché l’arte riflettesse in tempo reale le
esigenze della classe operaia. E prese corpo anche una nuova concezione: la
letteratura veramente rappresentativa dei tempi nuovi è quella che passa per il
giornale murale o il manifesto di propaganda e assolutamente non quella dei
romanzi.
Beh, un po’ troppo
precipitoso, no?, c’era da restare senza fiato; come sarebbe «non quella dei
romanzi»? e i romanzi che fine facevano? [...]
Ad Anastasija Dmitrievna
vennero assegnati cinque gruppi di quinta, di dodicenni, con l’incarico di
insegnante principale nella quinta A.
La sua prima lezione! Ma era
la prima anche per gli scolari, che si erano appena lasciati alle spalle le
classi iniziali per entrare al secondo livello: erano ormai «grandi» e ne
potevano andar fieri! Quel primo settembre fu una radiosa giornata di sole.
Uno dei genitori aveva
portato in classe dei fiori. Anche Anastasija Dmitrievna si era messa un
vestito chiaro di seta grezza, le ragazze avevano degli abitini bianchi e anche
molti dei ragazzi la camicia bianca delle feste. E questi musetti, questi occhi
raggianti le davano la carica: finalmente, finalmente il suo sogno si era
realizzato e poteva procedere per la stessa via di Marija Feofanovna… (E, di
più, poteva adoperarsi affinché in questi tempi di imperante volgarità, quei
ragazzi, crescendo, diventassero degli uomini di nobili sentimenti, non come
quelli d’oggi). Si riprometteva, con molte, molte lezioni, di trasfondere nelle
loro teste tutto ciò che lei stessa aveva preservato della grande e munifica
letteratura russa!
E invece no!, nessuna
possibilità, almeno adesso, di avviarsi in quella direzione: il programma di
studio era rigidamente definito; in quattro parole: «Le gru rombanti / Davanti agli scavi…» e
ad ogni momento ti poteva capitare un ispettore
mandato dalle autorità scolastiche della provincia a controllare lo svolgimento
delle lezioni. Bisognava cominciare dalla Turksib – allora in via di
completamento, e far imparare a memoria come i treni s’erano messi a
percorrere il deserto «… avanti e
indietro, a spaventare / Uomini e armenti, / E a non farli andare / Per le lor
vie carovaniere».
Poi, da programma, si doveva
continuare con Magnitogorsk, quindi il cantiere della grande diga sul Dnepr’ e,
appunto, il poema di Bezymenskij, dove si metteva in ridicolo un professore
candidato al suicidio, in quanto esponente delle classi «uscenti» e superate. E
ancora il poema sul ragazzetto indiano che ha sentito parlare di Lenin, la
guida luminosa di tutti gli oppressi del mondo, e che va a piedi dall’India a
Mosca per vederlo. [...]
Il programma del secondo
anno contemplava il «nocciolo duro» della letteratura sovietica: La disfatta, Pietre da levigare (sulla
collettivizzazione), Cemento (spaventoso, perché vi si proponevano a bambini di tredici anni
impressionanti scene di possesso sessuale).
Tuttavia, ad esempio,
nel Torrente di ferro venivano restituite con notevole laconicità ed efficacia le
azioni delle masse nel loro insieme; e c’era forse mai stato qualcosa di simile
nella letteratura russa? E ne La
settimana il personaggio di Robejko
suscitava simpatia quando, sforzando la voce minata dalla tubercolosi, esortava
i contadini ad abbattere un boschetto appartenente al monastero, per potere col
legname così ottenuto alimentare la locomotiva che avrebbe trasportato le
sementi sui campi. (Solo un dubbio: l’anno precedente avevano dunque loro
confiscato per l’ammasso tutte le riserve di sementi?).
E ogni giorno quelle quaranta
paia di occhi infantili che fissavano Anastasija Dmitrievna, come avrebbe
potuto non sostenere la loro fede? Sì, ragazzi, perdite e sacrifici sono
inevitabili. Del resto tutta la nostra letteratura ha sempre esortato allo
spirito di sacrificio. Qua e là, certo, si verificano atti di sabotaggio, ma
l’inaudito slancio industriale in atto porterà a una felicità altrettanto
inaudita. Quando crescerete ne potrete godere anche voi.
Ogni episodio, anche il più
negativo, dovete considerarlo allo stesso modo del poeta che ne ha tanto
giustamente colto la prospettiva. «Non
è da meno al tempo che viviamo / E ci è compagno sulla via stessa, / Colui che
in ogni dettaglio sa vedere / Della Rivoluzione Mondiale la promessa».
Quindi avevano soppresso
anche i nuovi manuali adottati, riconoscendoli erronei e superati dalla realtà.
Cominciarono a stamparne del tipo «a fogli volanti», vale a dire testi non
rilegati su temi di stretta attualità e validi soltanto nel semestre in corso,
che diventavano inutilizzabili già l’anno successivo. Gor’kij pubblicò su un
giornale l’articolo «Agli umanisti», dove smascherava i suddetti e li esecrava,
articolo che fu immediatamente inserito nel manuale a fogli volanti successivo:
«È perfettamente naturale che il potere operaio e contadino schiacci i propri
nemici come pidocchi!».
Spavento, sconcerto,
senso di soffocamento: come proporre una cosa del genere ai bambini? E a che
pro?
Ma Gor’kij era un grande
scrittore, un classico russo anche lui conosciuto a livello mondiale, e come
puoi pensare col tuo piccolo intelletto di poterti mettere a discutere con una
simile autorità? E poi lui stesso scrive qualche riga più in là degli ignavi e
dei benestanti: «Che cosa vuole dunque questa classe di degenerati?… unicamente
una vita sazia, senza senso, sfrenata e irresponsabile». E ti viene in mente:
«Alla larga dalla gente che si compiace delle proprie vacue chiacchiere e non
fa nulla…». E non esortava forse Cechov a vigilare ogni giorno, armati di un
piccolo martello, sulla nostra coscienza assopita? [...]
Poi arrivò un trimestre in
cui non furono distribuiti fogli volanti per il manuale e neppure programmi
obbligatori. L’inattesa vacanza di direttive sprofondò nello sconcerto le
autorità scolastiche cittadine: significava un cambiamento di linea? E in
attesa di chiarimenti ognuno venne autorizzato a insegnare quel che voleva,
beninteso sotto la propria responsabilità.
La loro direttrice didattica
nonché preposta all’educazione civica si mise a spiegare alle quinte, seste e
settime dei passi scelti dal Capitale.
Ma allora anche Anastasija Dmitrievna poteva
scegliere a suo piacimento qualcosa tra i classici russi? Ma come scegliere la
cosa giusta, per non sbagliare? Dostoevskij, no, non si poteva e poi per loro
era ancora presto. Neanche Leskov, però, impossibile. Lo stesso per Aleksej Tolstoj
– le tragedie La morte del Terribile e
Lo zar Fëdor.
E anche di Puškin non tutto,
naturalmente. Così come di Lermontov. (E quando i bambini le avevano chiesto di
Esenin, aveva cambiato discorso e non aveva risposto, era severamente proibito).
D’altra parte, lei stessa non
era più abituata a tanta libertà. Non riusciva più a esprimere i sentimenti di
un tempo. L’incrollabile unitarietà e levigata coerenza della letteratura russa
ora le appariva come screpolata da tutto ciò che lei stessa aveva letto,
conosciuto e imparato a vedere in quegli ultimi anni. Ormai aveva paura a
parlare di un autore o di un libro senza darne la caratterizzazione dal punto
di vista classista. Compulsava dunque il Kogan e ci trovava «per quali aspetti
quest’opera poteva considerarsi cooperante».
Ma al tempo stesso apparivano
nuovi numeri delle riviste letterarie sovietiche e i giornali tributavano lodi
a questa o quella nuova opera. E lei si sentiva stringere il cuore: non aveva
davvero il diritto di far restare indietro degli adolescenti, era in quel mondo
che essi avrebbero dovuto vivere e quindi bisognava aiutarli a entrarci.
© Avvenire
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