mercoledì 27 luglio 2011

Nuova concezione dei «diritti umani» e sue ricadute

Part.II                                                         
Il «diritto al genere»

Poste nella Conferenza del Cairo del 1994 le basi del nuovo modello etico del «diritto alla salute riproduttiva», la conferenza di Pechino del 1995 sulle donne compì un passo ulteriore nella stessa direzione, erigendo il concetto di «genere»  Da allora molti Governi – fin dall’inizio, con grande dispendio di risorse economiche, l’Amministrazione Clinton, il Governo canadese e l’Unione europea – nonché la gran parte delle agenzie dell’ONU si sono impegnate a infondere nelle istituzioni la «prospettiva di genere». La «prospettiva di genere» è definita come l’azione volta a “[...] distinguere tra quello che è naturale e biologico da quello che è costruito socialmente e culturalmente, e nel processo rinegoziare i confini tra il naturale – e la sua relativa inflessibilità – e il sociale – e la sua relativa modificabilità”.

Monsignor  Michel Schooyans già nel 1997 ha messo in evidenza che in tale ideologia sono coalizzate, secondo una moderna rivisitazione, frammenti del socialismo e del liberalismo, volti a «giustificare» la decostruzione dei fondamenti della vita sociale nel disprezzo della vita umana: “Le due ideologie in oggetto sono coalizzate verso questo scopo; e ciò spiega la violenza, senza precedente nella storia, che si scatena contro la vita umana”
-Riprendendo i temi svolti da Friedrich Engels, con l’istanza socialistica viene posto al centro della dinamica sociale il nucleo originario della lotta di classe, che sarebbe costituita dall’antagonismo fra l’uomo e la donna, espresso nel matrimonio monogamico e nell’oppressione della donna da parte dell’uomo.
- Le correnti neomalthusiane d’impronta utilitaristica insistono sul «diritto» dell’uomo di esercitare il potere sulla trasmissione della vita, nonché sul «diritto» al piacere come bene per eccellenza.
-Va aggiunta a ciò l’influenza dello strutturalismo, che rifiuta di ragionare in termini di natura umana e vede in essa una semplice struttura, oggetto di scienza, costruita attualmente su elementi che debbono essere «decostruiti» per ricondurre l’uomo alle forme di vita animale e vegetale e, in ultima analisi, alla materia.
- Passaggio decisivo che l’umanità post-moderna deve compiere nell’opera di «decostruzione» è eliminare le differenze tra i sessi, che non sarebbero inscritte nella natura, ma sarebbero frutto esclusivo dello sviluppo culturale nella storia.

Secondo l’ideologia del «genere» spetta alla donna condurre in prima fila la lotta di liberazione, non soltanto con l’eliminazione dei privilegi maschili, ma, soprattutto, con l’abolizione di tutte le differenze tra uomini e donne. La donna, in particolare, dovrebbe rifiutare la sua vocazione di madre, perché in ciò si radica l’ingiustizia sociale che le impedisce di essere uguale all’uomo in termini di funzione sociale. Come dice Mons. Schooyans, “Né l’eterosessualità né la procreazione che vi è legata possono pretendere di essere «naturali»; essi sono prodotti culturali «biologizzati». E’ la società che ha inventato i ruoli maschile e femminile e la famiglia, che ne è conseguenza. Occorre dunque instaurare una cultura che nega una qualsivoglia importanza alle differenze genitali. Con la scomparsa di queste differenze spariranno il matrimonio, la maternità, la famiglia biologica radicata. Questa cultura ammetterà tutti i tipi di pratica sessuale, correlativamente, rifiuterà ogni forma di repressione sessuale”.

 Il «diritto al genere» è la distruzione della persona, come già detto per il "diritto alla salute riproduttiva", se il diritto non è una facoltà morale intrinsecamente inerente al soggetto per conseguire il bene conosciuto con la ragione, bensì l’autodeterminazione assoluta del soggetto, nell’impulso del soggetto a scegliere qualsiasi oggetto che egli di fatto sia capace di raggiungere o di produrre, senza alcun limite che non sia costituito dalla medesima libertà di scelta degli altri uomini, discende in modo logicamente necessario che i soggetti umani vanno distinti in due categorie:
- quelli pleno iure, in quanto capaci di esprimere e di attuare delle scelte,
- quelli con diritti limitati, in quanto incapaci attualmente di compierle.
Agli appartenenti a questa seconda categoria possono essere riconosciuti degli interessi, mai però tali da implicare la protezione assoluta della legge. Questi interessi sono, perciò, suscettibili di risultare subvalenti rispetto ai «diritti» di cui sono portatori i soggetti pleno iure.
 Essi non godono della protezione della legge in quanto titolari di una dignità inalienabile ricollegata alla loro natura umana, bensì di una protezione relativa e condizionata, quella che si riserva alle «cose» socialmente apprezzabili fin tanto che non urtano i «diritti» dei soggetti «forti».

Ci si avvia  così alla relativizzazione utilitaristica ed edonistica della tutela giuridica,
Non si protegge il soggetto, come suppositum o persona, bensì, esclusivamente, la sua libertà di scelta e di autodeterminazione.
Il paradosso consiste in ciò, che attraverso la promozione del «diritto alla scelta» viene negata la tutela della stessa persona umana.
Il processo che conduce alla scomparsa della tutela della persona è perfettamente analogo al processo che porta, con l’ideologia del «genere», alla scomparsa del sesso. Il concetto di «genere» non può essere spiegato se non per opposizione al concetto di sesso. 
 Come dice Reimut Reiche, sociologo e psicoanalista tedesco di formazione marxista, “[...] dove si parla di gender viene rimosso il sex”].
 L’eliminazione del sesso va di pari passo con l’eliminazione della generazione eterosessuale, in forza della convinzione che per distruggere il «primato dell’eterosessualità» – che ineludibilmente indica l’uomo essere «maschio» e «femmina» – occorre distruggere qualsiasi legame tra il sesso e la generazione.
Ma è cosa vecchia!
L’odio contro la generazione, che si espresse nei primi secoli del Cristianesimo come motivo comune alle varie eresie gnosticistiche, rivela una particolare malizia. Rifiutando, invero, il dono fatto da Dio agli uomini, di essere stati creati «maschio» e «femmina», respinge in radice il bene della complementarietà sessuale e del sostegno spirituale tra i sessi in vista della pro-creazione, cioè della vocazione, inscritta nella biologia, nella psicologia e nell’anima spirituale dell’uomo e della donna, a collaborare con Dio nella moltiplicazione del genere umano e nella partecipazione degli uomini alla vita divina. Nella generatività umana, dipendente dalla fusione in unum dei corpi, v’è un segno finito della infinita generatività di Dio, che è Amore infinito che genera dall’eternità il Figlio. Amore reciproco tanto grande che dal Padre e dal Figlio procede una terza persona, lo Spirito Santo. Dio avrebbe potuto creare l’uomo tutto intero, e non soltanto l’anima, in modo diretto, senza bisogno del suo apporto, facendolo gemmare dai fiori o spuntare dalle pietre. Egli ha voluto, invece, nella sua eterna sapienza, limitare la sua infinita potenza creativa ricollegandola all’atto generativo dell’uomo e della donna, affinché essi potessero, grazie a questo dono immenso, collaborare con lui nel dare la vita a nuovi uomini e donne, partecipando così alla sua opera creativa.

Ecco che  gli agenti della dissoluzione sono i corpi che si muovono «al di fuori della norma», che la femminista filosofo Judith Butler individua con le espressioni dello slang in drag (travestito), fag (checca) e queer (deviante). La lotta del femminismo radicale non si limita a indurre la società al riconoscimento giuridico dei «diritti delle minoranze sessuali», ma va oltre, fino a mostrare che l’identità non è più il «maschio» o la «femmina», bensì il «genere», come incessante decostruzione e ricostruzione, come qualcosa di sempre nuovo, come indefinitamente plurale, come qualcosa che va al di là del «2» dell’uomo e della donna. Il «genere», dunque, senza base nel sesso, come molti generi, in continua evoluzione, nel tempo, durante la medesima esistenza, in cui l’individuo via via si riconosce, senza riconoscersi in un sesso, essendo la sua identità null’altro che continua mutazione.

Tratto da Cristianità n.359

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roberto

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