mercoledì 27 luglio 2011

Equivoci della teologia moderna

Xavier Tilliette
Prendo Xavier Tilliette, filosofo e teologo gesuita, come esempio per dire qualcosa sul malinteso a fondamento della teologia cattolica del XX secolo.
Il giornalista Francesco Tomatis domanda a Tilliette qualcosa sull’«intuizione intellettuale». Il teologo risponde di credere che il «mistero, il segreto, l’ignoto faccia parte della filosofia». Certamente - e anche della scienza in generale. Ma alla domanda di Tomatis «È il culmine del sapere come dotta ignoranza?», Tilliette risponde: «O come ignoranza senza essere dotta. Bisogna […] vedere la filosofia come una scienza sempre in ricerca, in divenire». Qua invece si manifesta il malinteso, l’equivoco.
È vero che nei filosofi pagani la speculazione ha pure un significato di ricerca. Ma, soprattutto, i filosofi volevano donare al mondo una soluzione e non tanto inaugurare l’esordio di una discussione infinita. Cioè i filosofi - e massimamente Eraclito, Pitagora, Socrate, Platone e Aristotele - cercavano il modo di comunicare la scoperta dell’esistenza di un fondamento; di un Logos; della sostanza sulla quale sussiste la realtà.
Tanto più i filosofi cristiani annunciarono al mondo che il Logos della realtà è Gesù Cristo: la loro vocazione fu di esprimersi su un Qualcuno reale, incontrato, vissuto e conosciuto intimamente. Non intesero, questi Dottori, fare della Trinità un oggetto di ricerca, se non traducendo razionalmente quanto del Mistero andava disvelandosi alla fede.
Come dice Teodorico Moretti-Costanzi, grande interprete di San Bonaventura, la vecchina che prega più del Dottore di teologia, conosce anche più di quel Dottore. L’ignoranza dell'autentico fedele, cioè, è sempre “dotta”. Se un teologo fa le lodi dell’«ignoranza non dotta», è meglio che cambi mestiere.
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silvio

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