sabato 30 luglio 2011

Nuova concezione dei «diritti umani» e sue ricadute

Part. IV
 La relativizzazione della vita: le conseguenze sul piano della tutela giuridica.

 Come già osservato, la concezione postmoderna dei «diritti fondamentali» relativizza la tutela della vita. La protezione più ampia è assicurata ai soggetti  capaci di atti spontanei di autodeterminazione. Agli altri soggetti, incapaci di tali atti, non è garantita la piena tutela da parte del diritto. Con particolare riferimento alla condizione giuridica del nostro paese questo è lo scenario attuale di relativizzazione della tutela della vita e della riduzione della persona a cosa.
Gli obiettivi della rivoluzione antiumana si muovono in due direzioni.

- In primo luogo, assistiamo all’approfondimento e all’attuazione, fino alle estreme conseguenze logiche, del concetto di diritto come espressione di autodeterminazione assoluta. Chi non è in grado di esprimere atti di coscienza è fuori dal circuito della protezione giuridica; simmetricamente, ogni evento che sorge da un atto spontaneo della coscienza sveglia è giuridicamente consentito, in quanto espressione di un «diritto fondamentale» del soggetto.
 A questa stregua, l’aborto deve diventare, anche normativamente, un «diritto» della donna,  Le previsioni limitatrici previste attualmente dalla legge 22.5.1978, n. 194 debbono essere rimosse o, comunque, aggirate attraverso il tendenziale passaggio all’aborto precoce e all’aborto chimico, in ottemperanza alla direttiva sull’aborto «sicuro» di cui alla risoluzione del Cairo del 1994. Qualcuno si è stupito della particolare acrimonia con cui gli esponenti della cultura radicale hanno aggredito le autorità politiche che hanno inteso recentemente garantire il rispetto dei requisiti della legge n. 194/1978 anche con riferimento all’uso dell’abortivo chimico denominato RU 486. Lo stupore nasce dall’ignoranza dello stato di avanzamento del processo rivoluzionario e dalla attribuzione di un carattere «normativo» alle risoluzioni delle Conferenze del Cairo e di Pechino. Ogni atto contrario all’intronizzazione dell’aborto come «diritto fondamentale» è, allo stato, eroico atto di resistenza all’ingiustizia immanente ai falsi princìpi viventi nello pseudo diritto internazionale delle organizzazioni che si ispirano alle agenzie dell’ONU.

Sul versante del termine della vita umana, forti pressioni massmediatiche, alimentate da una parte cospicua degli scienziati e dei giuristi, inducono a iscrivere come «diritto fondamentale» nel catalogo dei diritti il «diritto» a mettere fine alla propria vita, con la correlativa previsione dell’obbligo dei terzi, in particolare, dei medici e del personale sanitario, di aiutare il soggetto, liberamente autodeterminatosi alla morte, ovvero autonomamente candidatosi ad essere ucciso attraverso l’espressione di un consenso anticipato alla propria morte, a morire in attuazione del suo «diritto fondamentale». Le resistenze a una simile progettualità, che si sono concretizzate in atti legislativi di un ramo del Parlamento, sono presentate pubblicamente dai sostenitori dell’ideologia radicale come contrarie agli obblighi internazionali dell’Italia ovvero come contrarie alle decisioni giurisdizionali asseritamente assunte alla luce del diritto costituzionale vigente, in virtù del rilievo che l’art. 32 della Costituzione;
(La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.)


contrariamente alla sua lettera, alla sua storia e alla sua ratio, costituirebbe la fonte del «diritto assoluto all’autodeterminazione». Sul fronte degli «unfit» ,(coloro che non riescono ad autodeterminarsi) sempre più periclitante è la condizione dei bambini anencefalici e dei soggetti decorticati, la cui esistenza in vita, ancora garantita dalla legge, è contestata in forza di un concetto di morte che dovrebbe ricomprendere tutte le situazioni in cui è persistentemente assente la funzione della coscienza.

 - La seconda direzione in cui si muove la rivoluzione antiumana è l’attuazione di tutte le pretese discendenti dal «diritto al genere». L’orizzonte giuridico ultimo di queste pretese è la separazione tra la generazione, da un canto e, dall’altro, l’incontro unitivo dei corpi sessuati come «maschio» e come «femmina».  L’individuo, ridotto nella sua soggettività di «genere», di «molti generi» potrà pensare a soddisfare ludicamente le proprie fantasie di  «genere», senza alcuna preoccupazione per i problemi implicati dalla generazione. Essa non è affar loro. Tale compito spetta alla scienza e alle tecnologie che ne derivano. Certo, l’idea trascendentale «etero», che ritorna, quasi come anamnesi incancellabile della legge inscritta nella natura dell’uomo, costituisce un ostacolo allo sviluppo integrale dell’ideologia radicale. Essa ritorna sempre a imbrogliare le carte e a «eterosessualizzare» la sessualità, con l’inconveniente di una possibile generazione causata dall’incontro unitivo del «maschio» e della «femmina». Per evitare ciò occorre, come  si è già detto , «omosessualizzare» la sessualità con dispositivi sempre più invasivi, che condizionano psicologicamente, economicamente e culturalmente le maggioranze ancora eterosessuali. Ma ciò non basta. Contro la minaccia incombente proveniente dall’idea trascendentale «etero» occorre l’intervento della scienza, che alimenta il timore per il rischio che, con la procreazione per via unitiva dei sessi, gli uomini diano l’esistenza a soggetti «unfit», consentendo così a una razza umana geneticamente imperfetta di perpetuarsi indefinitamente. Affinché la scienza possa svolgere appieno il suo compito purificatore dei difetti della natura – si ricordi sempre che, in questa prospettiva, la natura è malvagia, perché creata dal demiurgo cattivo – dunque, affinché la scienza possa attuare la liberazione dell’individuo dal giogo della natura, occorre guadagnare una condizione giuridica di libera produzione e di piena disponibilità degli embrioni umani. Su questa base elementare e minimale di materia umana la scienza ricercherà i dispositivi tecnici migliori grazie ai quali la tecnologia provvederà alla generazione di soggetti «fit»(idonei,abili)

Come è evidente, il nuovo fronte di lotta – e, correlativamente, di protezione della persona – si sposta sul piano dell’embrione. La condizione degli embrioni umani è anch’essa a rischio sotto la minaccia della scienza e della giurisprudenza. La legge 19.2.2004, n. 40, che detta norme in materia di procreazione medicalmente assistita, pur avendo superato indenne la prova di un referendum abrogativo, è sottoposta a colpi di scure da parte di giudici, ordinari e costituzionali, che vedono impedito dalle sue norme il pieno espletamento dei «diritti fondamentali». Questa legge è particolarmente odiata dalla rivoluzione radicale per una serie di ragioni:
- 1. perché assicura i diritti del concepito, dunque, dell’embrione;
- 2. perché limita il ricorso alla procreazione medicalmente assistita ai casi in cui non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità;
- 3. perché vieta la procreazione medicalmente assistita «eterologa», preservando in qualche modo il significato procreativo alla coppia unita da un vincolo stabile;
- 4. perché vieta la procreazione medicalmente assistita ai single, nonché alle coppie i cui componenti non siano entrambi viventi, alle coppie composte da soggetti dello stesso sesso, alle coppie che non siano unite da coniugio o da una convivenza accertata;
- 5. perché vieta la organizzazione, la pubblicizzazione e la commercializzazione di gameti o di embrioni e la surrogazione di maternità;
-6. perché vieta i processi volti a realizzare la clonazione;
-7. perché vieta la sperimentazione su ciascun embrione umano;
- 8. perché limita la ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano al perseguimento di finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche volte alla salute e allo sviluppo dell’embrione stesso;
- 9. perché vieta la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione;
-10. perché vieta ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti, nonché interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminare caratteristiche genetiche.

Le disposizioni della legge n. 40/2004 costituiscono lo sbarramento estremo contro le pretese ultimative provenienti dalla proclamazione del «diritto alla salute riproduttiva» e del «diritto al genere». L’obiettivo delle correnti culturali che hanno imposto la loro agenda ai Governi consiste nella riduzione dell’umano a res e nella separazione «normativa», e non solo fattuale, tra generazione e unione sessuale, privando la donna e l’uomo della loro «maternità» e «paternità». Il passaggio più urgente che ora deve essere compiuto, secondo queste correnti, è la libera produzione, manipolazione e distruzione degli embrioni. Il secondo passaggio sarà la colpevolizzazione, per motivi eugenistici, di coloro che oseranno continuare a generare attraverso l’unione sessuale o, almeno, di coloro che si rifiuteranno di sottoporre gli embrioni alla selezione preventiva, per il rischio che diano la nascita a soggetti «unfit». Un passaggio ulteriore, che si intravede in lontananza, è la clonazione umana, che sancirebbe definitivamente l’appropriazione della generazione da parte della scienza.

Il  Magistero della Chiesa, con mirabile antiveggenza, che costituisce il segno evidente della permanente assistenza dello Spirito alla sua Chiesa, ha profetizzato, con un insegnamento integrante uno splendente mosaico d’oro zecchino, che l’unione dei sessi, inscritta nell’ordine della creazione come dono di Dio all’uomo, deve restare aperta alla fecondità -enciclica Humane Vitae- e che la generazione dei figli deve realizzarsi attraverso l’unione dei corpi, come frutto di un amore tra l’uomo e la donna che costituisce simbolo del mistero grande dell’amore di Cristo per la sua Chiesa, mistero rimasto per lunghi secoli nascosto e rivelato nei tempi ultimi come il «mistero della salvezza delle nazioni».

Tratto da Cristianità n.359
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roberto

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