Quelli che riflettono sull'invisibile
di Inos Biffi
«Elaborare una teologia per il nostro tempo, che risponda alle attese del mondo, che ne assuma il linguaggio e le aspirazioni: è l’incombenza abitualmente assegnata a quanti fanno di professione il teologo.
Intanto giustifichiamo questo modo di esprimersi: fare di professione il teologo. Qualcuno parla di carisma o di ministero del teologo, il che può anche aver senso, se si intende mettere in luce che la teologia è un servizio nella Chiesa. Solo che si deve subito aggiungere che non si diventa teologi per grazia o per una speciale missione ricevuta, ma perché si ha una particolare capacità e attitudine a riflettere sulla fede o a esplorare il mistero cristiano; se a questo ci si dedichi assiduamente come a un lavoro arduo ed esigente, facendone una laboriosa scelta di vita.
Oggi si è molto larghi e facili nel concedere o nel concedersi il titolo di teologo: nella storia della teologia troviamo un criterio ben differente.
Tommaso d’Aquino era di parere diverso. Egli riteneva che la professione del teologo - o, come egli la definisce, l’officium sapientis - sia impresa che oltrepassa le possibilità umane (proprias vires excedit) e può esercitarsi solo affidandosi alla bontà divina (assumpta ex divina pietate fiducia).» [leggi tutto]
© L’Osservatore Romano
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silvio
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