giovedì 13 marzo 2008

Moratoria contro l’aborto - 04

Quando sono di malumore dò sempre un’occhiata al giornale La Repubblica, perché mi garantisce qualche attimo di serena allegria.
Per leggere La Repubblica, infatti, non occorre usare il cervello, perché offre tutti i vantaggi di una salubre e spensierata attività ricreativa.

Anche quando la notizia è grottesca, come il suicidio del ginecologo abortista di Rapallo.
Grottesca sì, ma non per il suicidio in sé stesso (atto sacro, piuttosto, o sacrilego), quanto per il distillato di conformismo ipocrita che ne fa la succitata rivista.
Suicidarsi per avere eseguito normali interventi di appendicite?
Essì, perché - per gli abortisti - l’eliminazione di un embrione equivale all’asporto di un frammento intestinale.

Tutto in questa vicenda è grottesco e stoltamente interpretato dalle grancasse dell’ateismo di massa.
Grottesco è il menefreghismo per la sorte eterna del ginecologo, che potrebbe anche essersi dannato. Quello sì sarebbe un vero disastro.
Grottesche le motivazioni che hanno portato le due donne intervistate all’omicidio del proprio figlio. Non sono parole mie, beninteso, ma di una delle due protagoniste: «Non è stato facile, ma alla fine ho deciso che quel figlio non lo volevo».

Avete letto bene: la donna non parla di appendicite, o di “grumo di cellule”, o di “ootide”, o di qualche altra sciocchezza orwelliana.
La donna parla di «figlio». Scandisco labiale: f-i-g-l-i-o.
Questo è il vero dramma, che l’ipocrisia di La Repubblica non può nemmeno ipotizzare.
I suicidi, le disperazioni post abortive, sono da imputare all’orrendo omicidio perpetrato durante l’aborto.

Io prego per tutte le morti. In modo specialissimo, spero che l’omicida (il ginecologo) si sia pentito durante la caduta.
Se così fosse, potrebbe essersi salvato. Però bisogna pregare.
Non sto scherzando. È già successo.
***
silvio

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