giovedì 24 febbraio 2011

FAMIGLIE AL CINEMA



IL DISCORSO DEL RE
(The King's Speech)
regia di Tom Hooper, GB, 2011
Interpreti principali: Colin Firth (Albert/Re Giorgio VI), Geoffrey Rush (Lionel Logue), Helena Bonham Carter (Elisabetta Bowes-Lyon)


Candidato a 12 premi Oscar, li merita tutti. Ispirato alla vita del duca di York Albert Windsor (1895-1952), secondogenito del re Giorgio V, salito al trono con il nome di Giorgio VI nel 1936 in seguito all'abdicazione del fratello che preferì il matrimonio con l'americana divorziata Wallis Simpson alle ragioni di stato, il film lascia la storia sullo sfondo e mette in primo piano la maestria e il fascino di due grandi attori provenienti dal teatro shakespeariano, Colin Firth e Geoffrey Rush. Affetto da balbuzie fin da bambino, il duca cerca di superare l'handicap in tutti i modi in vista dei ruoli di responsabilità che potrebbe ricoprire, dovendo adeguarsi anche ai nuovi mezzi di comunicazione come la radio, sapientemente utilizzata da politici emergenti e pericolosi come un certo Adolf Hitler. Risolve il problema grazie al logopedista australiano Lionel Logue, scovato dalla moglie Elisabeth sempre vicino al marito e partecipe della sua sofferenza. La storia si snoda a partire dalla strana relazione terapeutica che s'instaura tra paziente e dottore: i metodi di Lionel all'inizio paiono inconsueti e mettono in imbarazzo il futuro re costretto a recarsi in un'umile dimora e a sottostare a ogni regola stabilita dal bizzarro interlocutore. In realtà si comprende a poco a poco la strategia adottata: aiutare il nobile a correggere la rigida educazione ricevuta e liberarlo dal senso d'inferiorità nei confronti dell'ombra del padre e del fratello maggiore. Il signor Logue si comporta come un buon educatore, infondendo fiducia e assumendosi la responsabilità di guidare autorevolmente Bertie (così lo chiama, amichevolmente, come fanno i suoi familiari), senza arrendersi di fronte alle sue reazioni superbe. Più volte viene sottolineato il ruolo positivo della famiglia per entrambi i protagonisti: toccante la scena in cui le due mogli s'incontrano da Lionel e la padrona di casa invita sommessamente i sovrani a cena. Tra i due focolari vi è spesso una ricercata analogia come se dalla serenità e fermezza delle mogli e dal dialogo tra padri e rispettivi figli e figlie (ci sono pure due fugaci apparizioni della futura Elisabetta II bambina) dipendesse la riuscita della cura del re e quindi la saldezza della stessa nazione. Una regia asciutta e un'impeccabile ricostruzione scenografica, nella migliore tradizione britannica dell'eleganza formale e del realismo, rendono il film piacevolmente raffinato, nonostante la trama esilissima e i continui dialoghi, mai banali grazie a una sceneggiatura che esalta proprio l'importanza della parola, privata e pubblica, come esperienza di amicizia prima e poi di partecipazione a un comune sentire. Colin Firth ha interpretato il suo ruolo con naturalezza e dignità: “Quello che ho cercato di evitare ? Il lato ‘povero me’ del personaggio. Non volevo che fosse compatito; il pericolo era solamente l’autoindulgenza e il sentimentalismo, che avrebbero ucciso la storia. Io e Tom, il regista, abbiamo lavorato molto perché non ci fosse questo aspetto. Cercando di mettere insieme umanità e ironia”. In fondo c'è anche una grande lezione per la politica di ogni tempo: l'umiltà. Il futuro Giorgio VI si lascia guidare e accetta di confidare le sue debolezze a una persona semplice, senza titoli accademici né nobiliari. Il discorso con cui dichiara  guerra al nazismo è dunque frutto di un'autentica conquista interiore, di una battaglia vinta con sé stesso anzitutto, per poi essere un leader vero e credibile per condurre la nazione. 
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Luca 

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