venerdì 25 febbraio 2011

Fare domande e dare risposte

                                                   
Mons. Lefebvre al Concilio Vaticano II era un componente del Coetus Internationalis Patrum... che raggruppava quei Vescovi  e padri  conciliari che intendevano vigilare nei confronti di quei “credenti che si vergognano” dei quali abbiamo parlato qui ,onde ottenere che i documenti finali fossero redatti nel modo più possibile chiaro e comprensibile. All’interno del  Coetus, mons. Lefebvre non era la personalità di maggior spicco, il suo ruolo venne esaltato  dai media con i quali abilmente  intratteneva relazioni , comprendendo prima di altri l’enorme influenza che essi  esercitavano sull’opinione pubblica. E’ da ricordare che tutti i documenti del Concilio furono firmati dai componenti del Coetus compreso mons. Lefebvre.
E’ a partire  da metà degli anni settanta che la posizione di mons. Lefebvre si modifica e si irrigidisce e passa dal porre legittime domande circa l’interpretazione  dominante dei documenti conciliari  a dare egli stesso le risposte, concludendo che tra i documenti del C.V.II e la tradizione, i Concili  e Magistero precedenti non vi era  continuità ma rottura. Sin da subito - nell’omelia nel primo anniversario della chiusura del C.V.II (8/12 /66)- il servo di Dio Papa Paolo VI mise in guardia contro l’errore  di supporre che il -C.V.II - rappresenti  una rottura con la tradizione precedente. Sono  passati cinqunt’anni  di pastorale, documenti magisteriali e ben cinque diversi  pontefici che si sono sempre presentati come Papi del Concilio.
L’obiezione più ricorrente è quella secondo cui  il Concilio era pastorale perciò non abbia voluto enunciare definizioni infallibili. E’ di nuovo il servo di Dio Papa Paolo VI a ricordare nel discorso all’udienza generale del mercoledì del (12 01 68) che il - C.V.II - ha munito i suoi insegnamenti dell’autorità  del supremo Magistero ordinario. Ai pignoli che distinguono Magistero ordinario e straordinario tra fallibile e infallibile si può rispondere come  il card. Leo Scheffczyk (1920-2005), secondo il  quale  per costoro  la fallibilità apparterrebbe al Magistero ordinario come un abito permanente. La questione diventa, allora, quella di voler dilatare in modo improprio la sfera dell’infallibilità, invece bisogna chiedersi se tutto quanto nel Magistero non è infallible possa essere  confinato in una sfera fallibile e in un secondo tempo dichiarato fallito quindi rifiutato e amputato dal corpo dottrinale. Così procedono  per un verso i progressisti nel caso dell’enciclica Humanae  vitae e per l’altro gli anticonciliaristi nei confronti dei  testi del C.V.II  su ecumenismo e libertà religiosa.
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Tratto da Cristianita-358
roberto

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