Mons. Lefebvre al Concilio Vaticano II era un componente del Coetus Internationalis Patrum... che raggruppava quei Vescovi e padri conciliari che intendevano vigilare nei confronti di quei “credenti che si vergognano” dei quali abbiamo parlato qui ,onde ottenere che i documenti finali fossero redatti nel modo più possibile chiaro e comprensibile. All’interno del Coetus, mons. Lefebvre non era la personalità di maggior spicco, il suo ruolo venne esaltato dai media con i quali abilmente intratteneva relazioni , comprendendo prima di altri l’enorme influenza che essi esercitavano sull’opinione pubblica. E’ da ricordare che tutti i documenti del Concilio furono firmati dai componenti del Coetus compreso mons. Lefebvre.
E’ a partire da metà degli anni settanta che la posizione di mons. Lefebvre si modifica e si irrigidisce e passa dal porre legittime domande circa l’interpretazione dominante dei documenti conciliari a dare egli stesso le risposte, concludendo che tra i documenti del C.V.II e la tradizione, i Concili e Magistero precedenti non vi era continuità ma rottura. Sin da subito - nell’omelia nel primo anniversario della chiusura del C.V.II (8/12 /66)- il servo di Dio Papa Paolo VI mise in guardia contro l’errore di supporre che il -C.V.II - rappresenti una rottura con la tradizione precedente. Sono passati cinqunt’anni di pastorale, documenti magisteriali e ben cinque diversi pontefici che si sono sempre presentati come Papi del Concilio.
L’obiezione più ricorrente è quella secondo cui il Concilio era pastorale perciò non abbia voluto enunciare definizioni infallibili. E’ di nuovo il servo di Dio Papa Paolo VI a ricordare nel discorso all’udienza generale del mercoledì del (12 01 68) che il - C.V.II - ha munito i suoi insegnamenti dell’autorità del supremo Magistero ordinario. Ai pignoli che distinguono Magistero ordinario e straordinario tra fallibile e infallibile si può rispondere come il card. Leo Scheffczyk (1920-2005), secondo il quale per costoro la fallibilità apparterrebbe al Magistero ordinario come un abito permanente. La questione diventa, allora, quella di voler dilatare in modo improprio la sfera dell’infallibilità, invece bisogna chiedersi se tutto quanto nel Magistero non è infallible possa essere confinato in una sfera fallibile e in un secondo tempo dichiarato fallito quindi rifiutato e amputato dal corpo dottrinale. Così procedono per un verso i progressisti nel caso dell’enciclica Humanae vitae e per l’altro gli anticonciliaristi nei confronti dei testi del C.V.II su ecumenismo e libertà religiosa.
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Tratto da Cristianita-358
roberto
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