venerdì 5 luglio 2013

San Tommaso e gli altri apostoli

di Silvio Brachetta

«Era un testardo. Ma, il Signore ha voluto proprio un testardo per farci capire una cosa più grande». Il testardo in questione, secondo Papa Francesco, è San Tommaso Apostolo, del quale oggi (3 luglio) ricorre la festa liturgica. Il Santo Padre, presso la cappella della Domus Santa Marta, ha commentato estesamente il brano evangelico noto come l’«incredulità di San Tommaso» (Gv 20, 24-29): solo quando l’Apostolo (conosciuto anche con il nome di Dìdimo) si ritrovò dinnanzi Gesù Cristo risorto, lo riconobbe come Signore e come Dio.

Ma il San Tommaso, su cui riflette il Papa, è forse assai meno incredulo di quanto possa sembrare o, comunque, superata l’incredulità, è «il primo dei discepoli» che confessa la divinità di Cristo, dopo la Risurrezione. Non si è limitato, cioè, come gli altri Apostoli, a constatare la Risurrezione di Gesù, ma - dice il Pontefice - «è andato più oltre. Ha detto: “Dio!”». A ciascuno il Signore, nella propria sapiente Provvidenza, concede il tempo sufficiente alla conversione e, nel caso di San Tommaso, «ha voluto che aspettasse una settimana».

Nessuno è in grado di valutare il criterio con cui Dio sceglie i tempi e le persone, ma è anche erroneo credere che Egli voglia lasciare l’uomo nelle tenebre dell’ignoranza: e, difatti, si comprende - dice il Santo Padre - «qual era l’intenzione del Signore nel farlo aspettare» e, cioè, evidenziarne l’«incredulità per portarla» all’«affermazione della sua divinità». In ogni caso, l’attenzione deve andare verso le piaghe di Gesù. Anzi, il «cammino per l’incontro con Gesù-Dio sono le sue piaghe. Non ce n’è un altro».

Eppure molti si sono incamminati su strade differenti e non hanno considerato a fondo il valore salvifico, beatificante, delle piaghe di nostro Signore. Papa Francesco ha elencato alcuni «sbagli» nei quali possono incorrere coloro che cercano Dio con sincerità. C’è, ad esempio, il «cammino della meditazione», perseguito dagli gnostici, ovvero da coloro che reputano sufficiente la propria intelligenza per conoscere pienamente il vero Dio. O la «strada della penitenza» - soltanto della penitenza - per cui molti digiunano e compiono ogni sacrificio, credendo di poter incontrare Dio sostenuti dalle sole proprie forze materiali o spirituali. Fu il caso dei Pelagiani, che proposero un cammino di conversione fondato sulla volontà umana, convinti di poter fare a meno della Grazia, dello Spirito Santo.

Non che meditazione e penitenza siano d’ostacolo all’autentica conversione. Tutt’altro. Ma nulla è sufficiente - afferma il Papa - senza le «opere di misericordia» a favore «del tuo fratello», perché «piagato, perché ha fame, perché ha sete, perché è nudo, perché è umiliato, perché è schiavo, perché è in carcere, perché è in ospedale». Queste - dice - «sono le piaghe di Gesù oggi». Per cui il Signore, tramite queste piaghe, «ci chiede di fare un atto di fede» e di non rimanere, però, solo sul piano filantropico, della buona azione per se stessa.

L’obiettivo è un altro: «toccare le piaghe di Gesù», carezzarle, curarle con tenerezza, baciarle - «letteralmente», soggiunge. Così come accadde a San Francesco e, prima ancora, allo stesso Dìdimo. Entrambi cambiarono vita solo dopo l’abbraccio con il lebbroso o con l’ammalato che, in realtà, è lo stesso Gesù piagato e ferito.

Del tutto concorde su tali questioni è l’insegnamento dei Dottori della Chiesa, tra i quali si potrebbe citare San Gregorio Magno (Papa): alla fede devono seguire le opere, poiché «crede infatti davvero colui che mette in pratica con la vita la verità in cui crede» (dalle “Omelie sui Vangeli”, Om. 26, 7-9). Per provare tale affermazione San Gregorio cita San Paolo - «[gli ipocriti] dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti» (Tt 1, 16) - e San Giacomo - «la fede senza le opere è morta» (Gc 2, 26).

San Gregorio, inoltre, rileva il ruolo della Provvidenza nella vicenda di San Tommaso: «No, questo non avvenne a caso, ma per divina disposizione. La clemenza del Signore ha agito in modo meraviglioso, poiché quel discepolo, con i suoi dubbi, mentre nel suo maestro toccava le ferite del corpo, guariva in noi le ferite dell’incredulità. L’incredulità di Tommaso ha giovato a noi molto più, riguardo alla fede, che non la fede degli altri discepoli» (ibidem.).


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