La ricaduta mediatica del Caminetto
della settimana scorsa
DIFFILE CHE UN LAICATO ALL’ALTEZZA DELLE SFIDE
DI OGGI NASCA DA QUESTE IDEE
La replica di Luigi Alici
Ha avuto una ricaduta mediatica molto forte il Caminetto
dell’Arcivescovo della Settimana scorsa. Ripreso da numerose testate nazionali
e blog, è rimbalzato moltissimo sui social networks. Luigi Alici ha risposto
alle rilevazioni dell’Arcivescovo nel proprio blog. Riportiamo qui la
controcritica del Prof. Alici e un intervento di replica del nostro Direttore.
Sono costretto, mio malgrado, a entrare in dialogo a
distanza con l’arcivescovo di Trieste, mons. Crepaldi, dopo l’intervista da lui
rilasciata al giornale della sua diocesi. Lo faccio malvolentieri: lo stile
ecclesiale che preferisco è quello di un dialogo diretto, volto a chiarire
eventuali fraintendimenti e incomprensioni. Debbo però fare i conti con la
ricaduta mediatica dell’intervista, che mi attribuisce posizioni non
corrispondenti allo spirito e alla lettera del mio libro I cattolici e la politica, e che per puro amore di verità debbo
chiarire pubblicamente.
Desidero anzitutto precisare che l’affermazione di essere «a
favore del riconoscimento delle convivenze tra omosessuali» non corrisponde
minimamente al mio pensiero. In passato sono state criticato da associazioni
gay per aver coniato l’acronimo OSGM (= organismi sociali geneticamente
modificati) a proposito delle convivenze tra omosessuali. Nel libro mi chiedo
se sia possibile collocare le unioni civili a un livello più alto di un
individualismo atomistico, continuando a riconoscere la differenza sessuale
come un dato «che non può essere declassato a pura preferenza soggettiva». Ho
aggiunto che «pretendere uguali diritti rispetto a una “famiglia naturale” …
equivarrebbe a neutralizzare la differenza sessuale».
Non è altresì esatto quanto mons. Crepaldi mi attribuisce:
«Secondo lui una coppia di omosessuali non ha diritto ad essere considerata
famiglia in quanto non lo è, ma ha diritto ad essere considerata qualcosa di
più di due studenti che condividono lo stesso appartamento». Ho scritto invece,
cercando di identificare i termini del problema: «Due gay che vogliono vivere insieme non accetterebbero mai di essere
posti, in termini di diritti sullo stesso piano di due single o di un gruppo di studenti universitari che condividono per
motivi puramente economici lo stesso appartamento». La differenza di
attribuzione mi pare sostanziale.
Riconosco, è vero, l’importanza di convenire su una “logica
graduata dei diritti” entro una differenza di fondo tra pubblico e privato
(questo è il capitolo in cui affronto la questione), concludendo – in modo a
mio giudizio inequivocabile – con queste parole: «Qualcuno vorrà forse
rinunciare all’idea della famiglia naturale come culla della vita? Con quale
altro modello intende sostituirla? Vorremmo vedere le carte, please». Ammetto invece una differenza
di approccio alla questione, ritenendo che un credente debba ricercare dei
margini di confronto e di dialogo entro questo intervallo tra pubblico e
privato. La stessa citazione del cardinale Martini (che mons. Crepaldi sembra
singolarmente contrapporre ai “Vescovi italiani”) va in questa direzione:
«gerarchia di valori», non «parità di diritti».
A un livello più generale, non mi riconosco in un
atteggiamento che consisterebbe nell’«affermare i principi nello stesso momento
in cui si aprono fessure per non rispettarli» e mi sento personalmente ferito
nel leggere che la mia esposizione sarebbe «sempre volutamente ambigua». Due
avverbi che pesano.
L’ambiguità può essere il risultato di affermazioni
oggettivamente equivoche, ma la pretesa di giudicare in modo così assertorio l’intentio auctoris, senza la benché
minima presunzione del dubbio, mi lascia stupito. Non ho nessuna intenzione di
essere un apostolo dell’ambiguità e non sto girando «tutta l’Italia»; ho fatto
solo cinque o sei presentazioni del libro, tenendole sempre ben distinte da
altri interventi, frutto di inviti a livello ecclesiale, in molti casi
sollecitati da Vescovi, che non sarei propenso a ritenere tutti degli sbadati o
peggio sostenitori di un cristianesimo equivoco del “Sì, ma…”.
Mons. Crepaldi giustamente mette in guardia contro il
pericolo di un’adesione condizionata alla fede, espressa efficacemente nella
formula del “Sì, ma…”. Personalmente ritengo che l’adesione incondizionata al
patrimonio irrinunciabile della tradizione cristiana non solo non escluda ma
addirittura richieda, proprio in nome di tale fedeltà, che si cerchi
continuamente di purificare tale patrimonio da infiltrazioni improprie. Come
credente debbo essere disposto a dire un sì senza riserve – anche a costo della
vita – nell’obbedienza alla fede, mentre forse è il caso di continuare a dire
dei “ma…” dinanzi a una richiesta diversa di obbedienza: alle cordate, alle
consuetudini e ad ogni sovrastruttura disciplinare opinabile che tende fare
corpo unico con il depositum fidei (come,
ad esempio, le preferenze politiche di un pastore).
Un valore ben più importante hanno invece le parole di mons.
Crepaldi sull’Azione Cattolica, che a mio giudizio debbono essere tenute ben
distinte da quelle che egli ha ritenuto di dedicare al mio libro. Il profilo
istituzionale ed ecclesiale è completamente diverso e sono dispiaciuto che una
valutazione su un libro (intenzionalmente non pubblicato con la casa editrice
dell’Ac) possa riverberarsi negativamente sull’associazione. In ogni caso, come
semplice socio di Azione Cattolica, quale sono ora, m’interroga profondamente
il fatto che un vescovo, anziché cercare forme d’interlocuzione diretta nelle
sedi più proprie, preferisca rilasciare una intervista pubblica in cui afferma
che l’Ac «abbia bisogno di riconsiderare la propria linea e il proprio ruolo».
Infine, come non riconoscere, con mons. Crepaldi, che
«questa è l’ora del laicato in modo particolare»? Le sue parole attestano una
richiesta di laici “all’altezza”, che c’interpella tutti ma lascia aperta una
domanda che non si può eludere: quali laici? Una domanda che dobbiamo altresì
contestualizzare: nel frattempo, si dà il caso che nella Chiesa stia accadendo
qualcosa. Non possiamo far finta di nulla dinanzi al processo di rigenerazione
profonda, iniziato con la rinuncia di papa Benedetto e proseguito con l’elezione
di papa Francesco, che segna – com’è ovvio – per noi tutti un “nuovo inizio”.
Al magistero di papa Francesco, che ci sta richiamando all’essenziale della
fede e che non vuole “dogane” improprie sulla strada che collega miseria e
misericordia, dobbiamo assicurare tutti un “sì senza se e senza ma”. Sono certo
che, su questo punto, mons. Crepaldi sia d’accordo con me.
Luigi Alici
***
La replica del nostro Direttore
Inaccettabile quella contrapposizione tra Papa Francesco e Papa
Benedetto
Ho letto il libro di Luigi Alici, il Caminetto
dell’Arcivescovo e, infine, la replica di Alici che pubblichiamo qui sopra.
Faccio alcune osservazioni.
Partiamo da un caso concreto. Come può dire Alici che non
c’è contraddizione tra quanto dichiarato dai Vescovi nella Nota del 2007 ai
tempi dei Dico e quanto proposto dal Cardinale Martini (e fatto proprio da
Alici stesso) nel libro-intervista “Conversazioni notturne a Gerusalemme”? Là i
Vescovi chiariscono che eventuali diritti delle persone omosessuali devono
essere soddisfatti nell’ambito del diritto privato, qui invece il Cardinale
Martini apre alla possibilità di riconoscere la coppia, ed anche la coppia gay.
E’ una differenza abissale. Come ha chiarito proprio in questi giorni il
Cardinale Ruini: «Tutti i diritti che si dice di voler tutelare possono
benissimo essere tutelati – e in gran parte già lo sono – riconoscendoli come
diritti delle persona e non delle coppie». Nel libro di Alici ci sono parole
molto belle sulla famiglia naturale. Ma poi c’è il riconoscimento della
convivenza, anche omosessuale. Insomma c’è il “sì… ma”. Gerarchie di valori e
non di diritti, le chiama Alici, ma l’omosessualità non è un valore. Sulla base
di quello che si legge nel suo libro, se domani ci fosse un nuovo Family Day,
Alici non vi parteciperebbe.
Il Prof. Alici riconosce e accetta i principi non
negoziabili – è inutile che qui sopra ce lo ricordi, lo abbiamo letto -, ma poi
afferma (p. 30) che essi devono essere «rilegittimati, rivisitati,
rettificati». Il diritto alla vita e la famiglia fondata sul matrimonio devono
essere “rettificati”? E chi rettifica i Comandamenti? Alici? Ecco un altro
formidabile “Sì … ma”. Ecco un’altra fessura, un’altra ambiguità.
L’Arcivescovo Crepaldi aveva quindi ragione. Inutile
offendersi. Bisognava aver scritto cose diverse. Tutto il libro del Professore
è costruito su dei né … né che lasciano spazio a mille compromessi. Faccio
qualche esempio tra i tanti. Il contributo della fede cristiana non può essere
“quello integralistico dell’egemonia e della rivalsa”, ma nemmeno “quello
disincarnato del disinteresse e della diaspora” (p. 26). Il cristiano non può
“arrendersi ad una visione machiavellica” ma nemmeno ad una “concezione
evasivamente spiritualistica” (p. 130). Il rapporto tra fede e politica non
deve né essere fatto di “nostalgie anacronistiche di regimi di cristianità
perduta”, né di “forme di disimpegno sociale e scetticismo politico” (p.
132). E così via. Parlando così, ci si lascia le mani libere su quasi tutto.
Nel suo libro, Alici dice che la politica ha la «responsabilità
del bene possibile» (p. 31). Questa è la Madre di tutti i “tuttavia”, la
fessura di tutte le fessure. Da qui passa di tutto. Benedetto XVI aveva invece
insegnato che «se il compromesso può costituire un legittimo bilanciamento di
interessi particolari diversi, si trasforma in male comune ogni qualvolta
comporti accordi lesivi della natura dell’uomo» (24 marzo 2007). Il bene
possibile è lecito, quando si tratta del bene.Ma quando comporta la negazione
di principi della legge naturale si trasforma in male comune.
La cosa decisamente inaccettabile nella replica di Alici è
tuttavia la sua conclusione. Questa idea – irriverente per Benedetto XVI ma
anche, e forse ancor di più, per Papa Francesco – che con quest’ultimo ci sia
un “nuovo inizio” piuttosto che una continuità nella trazione, è assolutamente
da respingere. Come se Papa Francesco insegnasse qualcosa di diverso da
Benedetto XVI. Come se ora ci fossimo liberati di Benedetto XVI.
Nel Caminetto della settimana
scorsa, l’Arcivescovo aveva preso il libro di Alici solo come esempio per fare
un discorso molto più ampio e profondo, che aveva esteso all’Azione cattolica e
al laicato organizzato in genere. Difficile che un laicato all’altezza nasca da
queste idee.
Stefano Fontana
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