lunedì 19 novembre 2007

Prima vera novità ecumenica

È abbastanza evidente come, finora, le pur lodevoli iniziative ecumeniche abbiano fruttificato assai poco. Constato, non giudico.
Il Concilio Vaticano II aveva preventivato un maggiore impegno a favore del riavvicinamento e della successiva unione - meglio: riunione - delle Chiese ortodosse e delle Confessioni cristiane protestanti alla Chiesa cattolica romana.


In merito alle Chiese ortodosse orientali, dopo lo storico abbraccio tra Paolo VI e Atenagora nel 1967, è come si fosse concordata una tacita prassi: ad ogni incontro tra il romano Pontefice ed un Patriarca dell'Oriente, veniva redatta una “dichiarazione comune”, nella quale erano riportate le comuni credenze di fede. Qualcosa del genere è avvenuto anche in relazione al Protestantesimo.

È però innegabile che, nel corso di quest'ultimo quarantennio, alle ripetute aperture, concessioni e “alleggerimenti” (per non dire aggiustamenti) dottrinari da parte della Chiesa di Roma, non sono corrisposte altrettante iniziative simili da parte della restante cristianità.
Anzi, bisogna dire con triste evidenza che, ortodossi e protestanti, non solo non hanno abbandonato quanto di errato vi è nelle loro pur nobili tradizioni, ma non si sono discostati nemmeno di una letterina dalle proprie posizioni originarie.


Non se ne sono discostati, fino al 13 ottobre di quest'anno.
Fino al Documento di Ravenna, titolato “Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa: comunione ecclesiale, conciliarità e autorità”, redatto a cura dei membri della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa.


Successivamente (prossimamente su Sivan) mi occuperò del principio di autorità e di conciliarità (da non confondere con il conciliarismo, che è un'eresia).
Adesso mi limito ad andare al nocciolo. Innanzitutto la Chiesa ortodossa riconosce la validità del concetto di taxis, ovvero dell'ordine canonico d'importanza delle cinque maggiori sedi episcopali dell'antichità: Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Il documento ritiene valida l'opinione di Sant'Ignazio di Antiochia, secondo il quale la Chiesa di Roma «presiede nella carità». Pertanto, il Documento di Ravenna considera Roma al «primo posto nella taxis» e «il vescovo di Roma è pertanto il protos tra i patriarchi» (n. 41).


Non solo: al n. 42 del Documento si ribadisce che «la conciliarità [...] nei concili ecumenici, implica un ruolo attivo del vescovo di Roma, quale protos tra i vescovi delle sedi maggiori [...]».
Detto in altre parole, gli ortodossi - per la prima volta dopo parecchi secoli - riconoscono al romano Pontefice una supremazia d'autorità su tutti i vescovi dell'ecumene. Ovvero lo riconoscono quale primo Patriarca. Questa dichiarazione è notevolissima e costituisce una novità ecumenica assoluta, almeno rispetto agli ultimi due secoli.


Strada spianata, allora, verso la riunificazione? No. Primariamente perché è da specificare che il Papa è sì il primo Patriarca, ma lo è “tra pari”.
Si deve, dunque, chiarire quale dovrebbe essere il compito specifico del Papa, in una Chiesa riunificata. E questo chiarimento si avrà verosimilmente - sempre che si avrà - dopo parecchie discussioni (e scontri).
Una cosa però è già chiara: l'unità ha come maggior nemica la sete del potere, che riesce a tacitare anche l'evidenza teologica di un primato petrino.


Ulteriori approfondimenti qui e qui.
***
Silvio

Nessun commento: