giovedì 23 aprile 2009

Teologia anselmiana - 02

Continuo ad occuparmi di Sant'Anselmo assieme a Paolo a mo' di carteggio, nel senso che riporto una sua ed una mia elucubrazione nel merito:


Cercando di capire Anselmo, mi è sempre sembrato difficile giustificare in maniera convincente il suo salto logico da una realtà puramente mentale elaborata dall’uomo a una verità oggettiva, per cui una realtà solamente pensata - Dio in tal caso - debba poi essere necessariamente trasferita su un piano oggettivo ed esterno alla mente stessa.

In definitiva, ragionando contro Anselmo, perché, immaginandoci Dio come qualcosa di cui non si può pensare nulla di più grande, noi si debba poi PER FORZA uscire dalla dimensione del pensiero per trasferire Dio in una realtà superiore necessariamente esterna alla mente e “oggettiva”, che non è solo il frutto del nostra mente ma una realtà che esiste a prescindere da essa? [leggi tutto]

10 commenti:

roberto ha detto...

Cari amici,vorrei rispondere alla difficiltà di Paolo; Pensare l’esistenza di una cosa non implica necessariamente che questa cosa poi esista oggettivamente.Effettivamente io posso pensare,un coniglio alato dotato di corna e coda di cavallo,perchè nella realtà, sia il coniglio,le corna, la coda di cavallo, ecc. esistono.Non posso pensare a qualcosa che nella realtà non esista.Il fatto che tale mostro poi non esista in quanto somma di tutto, è dovuto alla corruzione umana dovuta al peccato originale però è indubbio che una realtà esista oggettivamente al di fuori di noi.

Paolo ha detto...

Però, in questo caso, mi pare che il massimo che si possa arrivare a constatare razionalmente è che certamente esistono nella realtà esterna alla mente corna, code e conigli presi separatamente, ma l'esistenza della cosa in sè - il mostro come totalità di singoli elementi componenti, che dovrebbe essere oggetto della dimostrazione - è ben lungi in realtà dall'essere dimostrata.
Tutto sommato, forse è preferibile osservare con Anselmo che obiezioni simili a quella di Gaunilone - il quale parlava di un'isola perfetta dove regna la felicità, invece che di un mostro -non sono pertinenti all'oggetto trattato, in quanto l'isola è sì la più grande tra tutte le isole, ma sempre relativamente ad esse; non è la cosa più grande pensabile in assoluto, come invece è Dio. Dio è Dio, e un'isola è un'isola, anche se la più grande di tutte. Quindi, dice Anselmo, la sua prova ontologica vale solo se riferita a Dio, e l'obiezione di Gaunilone non è quindi attinente all'argomento Dio, che rimane unico in sé stesso. Un argomento quindi, quello di Anselmo, creato ad hoc e valido solo se si parla di Dio.
Introdurre l'idea del peccato originale, cosa che Anselmo giustamente non fa, mi pare complichi ulteriormente le cose di fronte all'ateo, introducendo un elemento estraneo e indimostrabile in un percorso puramente razionale che non ricorra alla fede.
Comunque, l'argomento è stimolante.

silvio ha detto...

L’equivoco di Cartesio è questo: non ha più importanza se il coniglio alato dotato di corna esiste solo nella mia testa e se il coniglio, le corna e le ali siano realtà oggettive. Tutto è uniformato, tutto diventa “idea” creata/fabbricata dal pensiero umano. O, per lo meno, tutto deve sottostare al filtro del soggetto che pensa. Dio compreso.
La domanda è: come si è giunti a questo? Se o fino a che punto Anselmo ha ispirato ciò?
La conseguenza di quello che annotava Paolo nell’articolo è che anche per Tommaso la prova di Anselmo è debole per ragioni simili in fondo a quelle di Gaunilone: può essere ragionevole per chi già crede in Dio, per chi ha fede. D’altronde lo ammette lo stesso Anselmo: non comprendo per credere, ma credo per comprendere. Ossia, viene prima la fede (“se prima non crederò, non potrò intendere”).
E’ poi scontata in Anselmo una gnoseologia classica: esiste una realtà oggettiva distinta dalla dimensione soggettiva (realismo forte). Come altrimenti sarebbe stato modello per San Bonaventura, che conferma le “ragioni eterne” (approfondimento delle idee oggettive platoniche)? Non è quindi da ricercare nella dottrina della conoscenza anselmiana la strada che porta all’idealismo cartesiano e postcartesiano.
Mi sembra, allora, che tutto nasca dal metodo della prova ontologica: se la Rivelazione è un movimento dall’esterno (realtà oggettiva) all’interno, è stata una buona idea fare il movimento opposto (dall’interno all’esterno)? Comunque un certo modo di fare filosofia o teologia, non è esclusivo di Anselmo.
Saluti

roberto ha detto...

Passare dall'idea all'esistenza significa creare dal nulla,prerogativa divina.Dio pensa e crea e lo vediamo nell'ordine del creato,dall'ordine del creato si alimenta anche la nostra fantasia,ovvero le composizioni,(i mostri)che per fortuna rimangono solo in potenza.Quind non è la fantasia a creare Dio ma bensì il contrario

Anonimo ha detto...

Quando studiavo filsofia in Cattolica, nonostante il filotomismo ivi imperante, ebbi la ventura di imbattermi in un corso di teoretica del compianto Prof. Bausola, sostanzialmente a favore dell'argomento ontologico. Ne uscì una dispensa che da qualche parte dovrebbe ancora essere nella mia libreria, ma sepolta chissà dove.
Di fatto si rilevava il valore moderno di un argomento che fa della mancata distinzione Sogg/ogg il proprio fondamento. Non è stata una dimenticanza quell'omissione, almeno nella lettura bausoliana, ma una mossa teoretica.
In altri termini, con Anselmo, a monte di tutti i sucessivi dualismi, si scopriva nell'uomo un'esuberanza ontologicamente significativa, che per forza propria apre al riconoscimento della trascendenza.
Non fu poco, nè fu formalmente equivoco.
Soprattutto poneva le basi per un'antropologia permeabile alla rivelazione, ma sostenibile per via razionale.

Ciao

Giampaolo

silvio ha detto...

@ Roberto: mi pare anche questa una buona dimostrazione dell'esistenza di Dio. Solo che mi sembra che Anselmo apra la (lunga) strada che porta alle conclusioni di Kant: va in crisi ogni dimostrazione dell'esistenza di una realtà oggettiva (noumeno).

@ Giampaolo: grazie di questo prezioso contributo. Se ho capito bene, già in Anselmo il soggetto gode di un'autonomia che può prescindere dalla mediazione delle creature. In fondo mi interessava sapere questo: se la non distinzione soggetto/oggetto anselmiana fosse intenzionale o meno. Quindi fu intenzionale.

Anonimo ha detto...

Solo una postilla sugli esiti "kantiani" della via anselmiana.

E' senz'altro vero che sotto una certa prospettiva storica in Anselmo stiano i prodromi dell'idealismo trascendentale, con i problemi ad esso connesso. Il problema principale di questa teoresi è quello per cui, se Dio diviene la condizione di possibilità dell'uomo, una volta negato l'uomo, si nega anche Dio, detto molto all'ingresso.
Insomma, se si lega troppo l'esistenza di Dio a quella umana, ancorchè lo si facesse nei termini di cui s'è detto, poi si giunge sempre ad un punto di non ritorno in cui la contingenza sommerge tutto.

Anselmo, però, diversamente da questi esiti, sosteneva una prospettiva diversa, più semplice e al tempo stesso più profonda. Non vincolava cioè Dio all'uomo, ma, semplicemente scavando "in interiore homini", trovava in questi una traccia di Dio, che impropriamente oggi definiamo idea, e a partire da quel vestigium Dei giungeva a riconoscere la necessaria esistenza di Dio.

L'antropologia anselmiana, sotto questo profilo, è molto simile a quella agostiniana, e affatto diversa da quella cartesiano-kantiana.
Per certi versi nella prova anselmiana si sente l'eco delle prove platoniche sull'immortalità dell'anima.
Certo l'approccio tomista ha una forza persuasiva superiore, perchè più facilmente fruibile, ma l'attacco anselmiano ha un rigore più fine.
L'accusa di fallacia logica: l'impropria inferenza dal piano ideale a quello ontologico, fallisce il bersaglio, poichè la presenza del Dio in interiore homini non è un'idea, ma qualcosa di ben diverso. L'analogia tra l'isola, di gauniloniana memoria, e Dio, è forviante.
La capacità stessa di pensare l'infinito, non già come negazione del finito, ma come negazione della negazione, ovvero come positiva affermazione dell'assoluto è il vero motore logico della speculazione anselmiana, e gli permette di riconoscere una dimensione della realtà esuberante la contingenza umana, ancorché da questa coglibile. Qui sta il pregio della teoresi anselmiana, a mio avviso.

Il fatto da essa siano poi derivati impropri ontologismi, è vero, ma i padri non sono responsabili di tutti i figli. E del resto anche le vie a posteriori tommasiane sono state poi usate impropriamente.
Io difendo il valore probativo di entrambe le prospettive, che sono per un certo verso convergenti (la IV via tommasiana è una riedizione dell'argomento ontologico, e secondo Fabro è l'ossatura teoretica delle altre 4).

Scusandomi per la lunghezza vi saluto e mi complimento per la sensibilità nell'interessarvi a temi così.. desueti, ma senz'altro appassionanti e centrali.

Cordialità

Giampaolo

silvio ha detto...

Hai ragione: Anselmo fu un ottimo maestro e padre. Una delle cose che apprezzo in lui è il discorso sul libero arbitrio, che ha condizionato Bonaventura verso - a mio parere - una delle analisi migliori attorno alla tematica volontà/libertà (ne riparliamo).
La mia diffidenza è confinata unicamente alla metodologia dell'argomentare a partire dal soggetto (“in interiore homini”). Certamente Anselmo non poteva trovare nel pensiero idee di tipo cartesiano, convinto realista qual'era. Il suo intento è quello che hai ricordato: cogliere le vestigia di un Dio oggettivissimo anche nel principio di non contraddizione.
Questo è il lato positivo dell'argomento ontologico. Quello negativo lo relego nella nota questione soggettivismo/oggettivismo, che però ai miei occhi è di un'importanza capitale. Prediligo un approccio “naturalista” non tanto perchè più fruibile o persuasivo, ma perchè è sostanzialmente oggettivo.
Né questo mi può portare ad una sorta di antipatia nei confronti di Anselmo: così come tu ricordi che la IV via tommasiana è una riedizione dell'argomento ontologico, viceversa anche Anselmo ha proposto 4 “vie” o “prove” a posteriori che potremmo dire di tipo tomista.
Il problema, quindi, non è prediligere Anselmo o Tommaso (soggettivo), ma è concentrato esclusivamente sull'oggetto della questione. E l'oggetto è... l'oggetto.
Insomma, caro Giampaolo, Anselmo era solo un pretesto per manifestare una mia schizofrenia: sono nauseato dalla moderna filosofia che è naufragata nell'idealismo soggettivo e ha redatto il certificato di morte della verità.
Cercherò di farmi perdonare da Anselmo scrutando quella certa questione della libertà anselmiana, se Dio me ne darà il necessario discernimento.
Un saluto

Anonimo ha detto...

Concordo su tutto, nausea per la modernità compresa, che diventa disgusto quando declinata in salsa iberica come notato nel post di oggi.

Aspetto le prossime puntate e nel frattempo vi raccomando tutti alle preghiere della Madonna.

Un Caro saluto Giampaolo

silvio ha detto...

Grazie per la preghiera e per l'aiuto.