martedì 21 aprile 2009

Teologia anselmiana

Non sono mai stato un accanito sostenitore dell’«argomento unico», proposto da Sant’Anselmo d’Aosta: se nella mente umana è concepibile un essere del quale non è pensabile il maggiore (Dio), applicare quest’idea alla realtà sarebbe come ammettere l’esistenza di qualcosa superiore ad essa e - pertanto - si cadrebbe in un’evidente contraddizione.

Preferisco le dimostrazioni tommasiane che partono dalle perfezioni naturali e risalgono alla ragionevolezza di una perfezione massima (Dio).

Segnalo però due interessanti articoli de L’Osservatore Romano, nel primo dei quali emerge un Sant’Anselmo un po’ troppo caro a Cartesio, Scoto ed Hegel. Il problema, infatti, è che un uso equivoco della teologia anselmiana può portare - così come ha portato - a grossi malintesi.

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silvio

2 commenti:

Sivan ha detto...

Caro Silvio, mi azzardo in qualche pensiero, consapevole del mio linguaggio filosofico un po’ all’amatriciana.
Cercando di capire Anselmo, mi è sempre sembrato difficile giustificare in maniera convincente il suo salto logico da una realtà puramente mentale elaborata dall’uomo a una verità oggettiva, per cui una realtà solamente pensata – Dio in tal caso – debba poi essere necessariamente trasferita su un piano oggettivo ed esterno alla mente stessa.
In definitiva, ragionando contro Anselmo, perché, immaginandoci Dio come qualcosa di cui non si può pensare nulla di più grande, noi si debba poi PER FORZA uscire dalla dimensione del pensiero per trasferire Dio in una realtà superiore necessariamente esterna alla mente e “oggettiva”, che non è solo il frutto del nostra mente ma una realtà che esiste a prescindere da essa?
Il discorso di Anselmo su Dio non mi pare implichi un salto logico comunque stringente e necessario, e tutto potrebbe benissimo rimanere a livello della mente. Pensare l’esistenza di una cosa non implica necessariamente che questa cosa poi esista oggettivamente. Questo, a parte Gaunilone, mi pare lo osservasse anche San Tommaso.
Altra cosa. Visto che il punto di partenza di Anselmo è la mente umana, la visione ad esempio di un Cartesio, per cui la conoscenza dell’essere deriva – se non erro - dal puro pensiero (cogito ergo sum) e, quindi, tutto ciò che è esterno ad esso non è conoscibile se non attraverso una pura elaborazione mentale, può essere equivocamente letta da alcuni come affine, sotto qualche aspetto, a quella di Anselmo. E’ qui l’ambiguità della lettura di Anselmo di cui parlavi?
Poi: L’approccio di Cartesio ha come base il puro pensiero, mentre non è così per Tommaso, che parte invece dal dato della realtà esistente esterna all’uomo per risalire fino a un principio ultimo, che è Dio.
Infatti, sarei d’accordo con te nel preferire Tommaso, che parte dalla realtà data ed esterna all’essere umano per risalire a Dio, con le sue “vie”( non prove costringenti, come spesso si legge, tant’è vero che sulla via ci si può fermare quando si vuole). Invece che partire dalla mente, parte dalla realtà della natura, proponendo “vie”comunque accettabili universalmente dalla ragione umana, esterne al processo della mente e da tutti percorribili.
Ciao.

silvio ha detto...

Molta carne al fuoco.
Preparo un post.
Ottimi spunti.
ciao