giovedì 19 febbraio 2009

Fratelli Maggiori?

A proposito del cosiddetto dialogo interreligioso, un rabbino ha confermato quello che già da tempo s’era intuito: il titolo “fratelli maggiori” è offensivo. È biblicamente offensivo.

Non so quale teologo aggiornato abbia consigliato Giovanni Paolo II ma, evidentemente, nel coniare il termine non aveva ben presente cosa combinarono i fratelli maggiori Esaù e Caino, tanto per citarne due.

Gli ebrei non si sono offesi. Hanno gradito la buona volontà. Ma da qua ad aspettarsi una loro improbabile conversione, spinta da cotanto discernimento, è una palese ingenuità. E' come pretendere di curare il cancro con l'alka seltzer.

***

silvio

12 commenti:

Anonimo ha detto...

Il rabbino ha visto giusto. L'infelice – per gli Ebrei - espressione “fratelli maggiori”, da un certo punto di vista, esprime la tanto vituperata teologia della sostituzione : la Chiesa come “Novus Israel”, nuovo popolo di Dio, che ha ricevuto l'eredità che parte di Israele ha rifiutato non accogliendo Cristo. Proprio come fece Esau, il fratello maggiore (Edom, ma anche figura dell'Israele secondo la carne), che rifiutò la primogenitura a favore del fratello minore Giacobbe (l'erede della promessa) per il famoso piatto di lenticchie. Episodio, questo, che la tradizione cristiana sostenuta da alcuni Padri – che si appoggiano anche a San Paolo (Rm 9) - ha letto anche come prefigurazione del passaggio dall'Antica alla Nuova e definitiva alleanza, leggendo nel rapporto tra Esau e Giacobbe la prefigurazione di quello tra la Sinagoga e la Chiesa, l'Israele secondo la carne e l'Israele spirituale erede della promessa fatta ad Abramo. La teologia della sostituzione del resto, checché se ne dica, ha sempre fatto parte dell'insegnamento tradizionale cattolico (es. San Paolo, nella già citata Lettera ai Romani e nella Lettera agli Ebrei) e non è stata mai stata cancellata dai documenti ufficiali (se non erro, qualche recente affermazione papale, comunque sempre molto sfumata e mirata al dialogo, l’ha mitigata). Sicuramente, una certa teologia cattolica ebraizzante la nega del tutto e la prassi dell’attuale Chiesa, dialogante con tutti, tende a rimuoverla per ragioni di buon vicinato con l’Ebraismo.
Però, nell’insospettabile documento conciliare "Nostra Aetate", anche se con un tono molto conciliante e quasi “en passant”, si riafferma che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, senza che per questo venga meno il rispetto e anche l'amore per chi ci ha trasmesso i Profeti, i Patriarchi e la promessa.
A suo tempo, quando Giovanni Paolo II usò l'espressione, gli ebrei più accorti rimasero stupiti e indignati.

Anonimo ha detto...

Ho l’impressione, caro Paolo, che la Chiesa, pur non rinnegando il termine “teologia della sostituzione”, l’abbia sostituito con qualcosa di simile a “teologia della continuazione”.
Nel senso che la Nuova Alleanza è una continuazione dell’Antica. In Nostra Aetate n.4 leggiamo: «La Chiesa crede, infatti, che Cristo, nostra pace, ha riconciliato gli Ebrei e i gentili per mezzo della sua croce e dei due ha fatto una sola cosa in se stesso».
Ovvero, per l’autentico ebreo (Pietro, Paolo, Maria, gli Apostoli, ecc…) non c’è stato alcun salto, alcuna sostituzione, ma solo una “continuazione”: per restare sé stessi (Israeliti) fu necessario adorare Dio con la nuova modalità (in spirito e verità, mediante il Cristo).
Se così fosse, non mi dispiacerebbe usare “continuazione” al posto di “sostituzione”. Però è necessario essere chiari con gli ebrei: la vecchia modalità di adorazione, legata alla circoncisione ed alla Legge, è totalmente abrogata, finita, inutile, non gradita. Ne consegue che l’unica via di salvezza è l’adesione a Cristo.
Se un ebreo accettasse questa nuova e definitiva modalità, è chiaro che “continuerebbe” ad essere ebreo (autentico israelita), a differenza di me (gentile) che sostituisco il vecchio uomo pagano con il nuovo cristiano.
Che ne pensi?
Ciao

Anonimo ha detto...

p.s. Insomma, io farei agli ebrei un discorso simile:
“Cari Fratelli” (né maggiori, né minori), oppure “cari primogeniti per vocazione, non vi chiediamo di convertirvi al cristianesimo o di aderire alla religione cattolica. Vi chiediamo di considerare l'ipotesi di rimanere esattamente quello che volete essere, cioè israeliti. Ma per continuare ad essere israeliti non potete più adorare Iddio come fecero i vostri, pur santi, padri. Dovrete usare di nuovo l'eccezionale discernimento che vi portò, in passato, a cogliere la vera realtà di Dio, riconoscendo ora l'incarnazione del Verbo - ovvero Gesù Cristo - come unico Salvatore di tutto il genere umano. Ci rivolgiamo a voi, prima che ad altri popoli perchè, come dice San Paolo, la vocazione di Dio (in questo caso la vostra) è irrevocabile. Non possiamo, però, non dirvi con franchezza che, dopo Cristo, non c'è alcuna altra modalità di adorazione che possa portare alla salvezza, se non quella propria della Chiesa”.
O qualcosa del genere.

Anonimo ha detto...

Senza dubbio i documenti conciliari come quello di cui parliamo, Silvio, hanno un linguaggio e un modo di porsi di fronte a diverse questioni che Amerio definirebbe "anfibologici" (interpretabili in maniera duplice)Citando la "Nostra Aetate", pensavo a quel passo in cui si dice che " e se è VERO che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio..." (4,4,6). Unendolo a quello che tu hai citato - che riecheggia le parole paoline sul fatto che in Cristo non esistono più né Giudei né greci - e alla premura di non voler rappresentare gli Ebrei come maledetti da Dio, scaturisce una complessiva poca chiarezza, con la necessità di dover produrre altri testi - i documenti su come dover leggere i documenti conciliari - per spiegare, definire, precisare, con un ulteriore profluvio di parole a scapito del "sì sì, no no".
Purtroppo, la situazione attuale è sulla linea della coesistenza a scapito dell’unicità : non più l'annuncio della Verità che salva, ma la coesistenza, o continuità in funzione salvifica tra Sinagoga e Chiesa. Voi avete la Vecchia, noi la Nuova Alleanza, ma Dio è in fondo lo stesso, ecc. ecc. Per non parlare dell’assurdità di esigere il ripudio di opinioni, anche discutibili, su fatti storici per essere un buon vescovo cattolico, come nel caso di Williamson.

Anonimo ha detto...

Sul fatto di rimanere buoni ebrei pur convertendosi al cristianesimo è interessante la testimonianza di Eugenio Zolli, l'ex rabbino capo di Roma, che esprime esattamente quello che tu dici. Mi pare che anche quella di Edith Stein sia su questa linea. La conversione dell'ebreo a Cristo porta a compimento, perfeziona senza abolire l'ebraicità.

Anonimo ha detto...

già, l'ambiguità dei documenti conciliari...
E non siamo solo noi a dirlo: lo dice per primo Paolo VI (o almeno lo fa capire) quando aggiunge la “nota praevia” alla Lumen Gentium. Il problema è chiaro. Il documento, almeno per il tema della collegialità, può essere interpretato male. Insomma, è ambiguo.
Paolo VI non si limita a questo: vede chiaramente il pericolo di una deriva e cerca in tutti i modi di far terminare il Vaticano II il prima possibile. E prima che si verifichino danni irreparabili.
Tornando agli ebrei: a quanto ho capito è soprattutto il cardinale Kasper che sembra voler prospettare una via di salvezza autonoma per il popolo ebraico. Ma poi difende il Papa e la preghiera del venerdì santo... E quindi cosa pensare? Ambiguità, ambiguità. Potrebbe starci anche della saggia prudenza, su questioni delicate. Ma quel che si gusta è il non-sapore del sale sciapito. Forse peggio dell'errore c'è l'ambiguità, la tiepidezza. Concordo con te circa il “sì sì, no no”. Prudenza, sì, ma se non è pretesto di accettazione della nostra tiepidezza, che invece dobbiamo combattere.

Anonimo ha detto...

Cari Sivio e Paolo
Spiega il teologo don Pietro Cantoni: “Se Israele esiste ancora, allora l'Alleanza non è venuta meno. Israele nasce da una convocazione, la convocazione di Dio. Se il risultato (l’esistenza storica del popolo di Israele) permane ciò significa che la convocazione è ancora in atto”. Dunque – al contrario di quanto pensava la “teologia della sostituzione” – il Patto che Dio ha stipulato con gli Ebrei è irrevocabile, non è stato revocato e permane nella storia. Israele e la Chiesa avanzano nella storia secondo tempi cronologicamente paralleli ma qualitativamente diversi.Ovvero tendono a fini analoghi” (il che, ovviamente, non significa identici).
Inoltre spiega Introvigne
:La cosiddetta “teologia della sostituzione”, mai insegnata dal magistero cattolico in modo ufficiale ma ampiamente diffusa per secoli nei manuali e nella predicazione, è una delle radici delle relazioni tradizionalmente difficili fra cattolici ed ebrei
L`articolo completo:

http://www.cesnur.org/2005/mi_08_23a.htm

Anonimo ha detto...

Caro Roberto,
sì conosco la posizione di Cantoni e Introvigne.
Ho approfondito per conto mio il tutto e credo che andrebbero specificate meglio alcune questioni:
1) Fugare il pericolo di interprentare le realtà della Chiesa ed Israele come due vie parallele di salvezza.
2) In definitiva c'è “un solo gregge ed un solo pastore”, insomma un solo vero Israele. Questo perchè c'è un solo Dio (il Dio d'Israele appunto).
3) E' vero che la vocazione dell'Israele storico è irrevocabile, ma va specificato che gli ebrei non possono scomparire perchè è la stessa Antica Alleanza che non scompare. E' continuata e completata dalla Nuova. Gli ebrei, cioè, continuano ad esistere perchè Dio è fedele ("Che dunque? Se alcuni non hanno creduto, la loro incredulità può forse annullare la fedeltà di Dio?" Rom 3, 3).
4) Per questi motivi più che di “sostituzione” (termine che però ha una sua precisa validità storica e teologica) preferirei parlare di “continuazione”. A patto però che gli ebrei mettano in preventivo di non essere più increduli. Così da essere "innestati di nuovo" (Cf Rom 11, 23).
5) Noi non stiamo messi meglio degli ebrei. Anche noi cristiani, se chiamati, possiamo indurire il cuore (“molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”). Voglio dire che se anche la vocazione è irrevocabile, può essere rifiutata. Gli ebrei sono ancora in questa fase di rifiuto. Così come il rifiuto di alcuni cristiani non comporta la distruzione di tutti i cristiani, similmente il rifiuto di alcuni ebrei non comporta la distruzione di tutti gli ebrei.
6) Questo rifiuto ha portato al fenomeno storico effettivo della “sostituzione” (pagani al posto degli ebrei nell'unica vera Chiesa, nell'unico vero Israele). Ma le cose potrebbero cambiare in qualsiasi momento: gli ebrei hanno le porte della salvezza spalancate.

Ho terminato di leggere le “Omelie contro gli ebrei” di San Giovanni Crisostomo. Cercherò di scrivere qualcosa in merito. Che dire... illuminanti, nonostante i toni che ti lascio immaginare. Per ora confermo solo che i toni durissimi del Crisostomo rispondono a sistematiche provocazioni e persecuzioni da parte dei giudei ai danni della giovane Chiesa.

Anonimo ha detto...

Un tempo apprezzavo Introvigne.

Va ricordato che i Dogmi, ovvero il pronunciamento ufficiale della Chiesa, prima di essere considerati tali erano la norma della fede custodita dalla tradizione. Il Dogma veniva riconosciuto e celebrato tale solo in reazione alla Sua negazione.

Il fatto, dunque, non vi siano pronunciamenti ufficiali a favore della teologia della sostituzione, insegnata per secoli, non significa in alcun modo essa sia eterodossa o peggio.

Giampaolo

Anonimo ha detto...

Io personalmente continuo ad apprezzare Introvigne, Cantoni e l'opera di Alleanza Cattolica (che anzi appoggio assieme a Roberto anche in questo sito).
Certo, in questa particolare questione non mi ritrovo del tutto in Introvigne, se non altro perchè sostituzione vi fu almeno storicamente, nel senso che materialmente la grande maggioranza degli ebrei non confluì nella Chiesa, sostituiti appunto dai gentili.

Concordo con Giampaolo per il discorso sul dogma. Il fatto, ad esempio, che solo nel XX secolo fu confessata da Pio XII la gloriosa Assunzione di Maria, non implica l'eterodossia di generazioni di pellegrini che confluivano in preghiera nel luogo della “dormitio Mariae”, o della patristica di Sant'Efrem o Sant'Epifanio contrari alla corruzione corporale della Vergine.
Se anche non si fossi giunti al dogma, la tradizione al riguardo era ben chiara.

Anonimo ha detto...

Il problema forse sta nel fatto che non c'è bisogno di pronunciamenti ufficiali sulla sostituzione di Israele da parte della Chiesa, pur riconoscendo il ruolo del popolo ebraico nel piano divino che inizialmente è esplicito e unico ( Alleanza mosaica) e,dopo Cristo, solo misterioso ( il mistero dell'indurimento di Israele a favore dei pagani, cioè tutti noi). Non c'è bisogno anche perché l'idea della sostituzione è radicata profondamente nelle Scritture ( San Paolo), e basta citare nei documenti i passi paolini e altri, come ha fatto la Chiesa almeno fino al CVII compreso, anche se in quest’ultimo caso in maniera sfumata e circospetta, come ho già osservato.
Anche io, per quel che conta, apprezzo Introvigne su diverse cose, ma trovo l'articolo citato da Roberto - che ringrazio per la citazione- piuttosto vago sulla questione ebraica. Non è vero che non ci sia un insegnamento ufficiale della Chiesa al riguardo, come dice Introvigne, che non porta nessuna prova a sostegno della sua affermazione. Per altro lui non è un teologo ed ha verso l'ebraismo un'empatia di natura piuttosto politica, in chiave spesso anti-islamica e filoamericana, il che è perfettamente legittimo. Ma c'è tutta una base scritturistica per la teologia in questione ( inviterei a leggere bene Rm, 9-11, Ef 2, 15, la Lettera agli Ebrei; tutti i passi di Matteo e le parabole in cui si parla del Regno che viene dato a chi lo fa fruttificare, dei vignaioli omicidi e così via) che non può essere trascurata. Quello della sostituzione è un dogma implicito nella natura stessa della Chiesa, senza per questo doverlo esprimere con pronunciamenti particolari. E' ovvio che la Vecchia Alleanza non si possa abolire, visto che rientra nel progetto divino che parte con Abramo, continua con Mosè e sfocia nell'Incarnazione. Ma dopo Gesù il patto antico viene superato definitivamente. L'irrevocabilità della Vecchia Alleanza di cui parlava GPII non può voler dire che questo: riconoscere e rispettare un ruolo che tuttavia adesso è passato ad altri. Altrimenti, il problema è quello della coesistenza di due realtà ugualmente salvifiche e separate, il che non è cattolico.
Il fatto che esistano ancora gli Ebrei nella storia, come dice Cantoni, non significa che la Vecchia Alleanza abbia un valore di per sé, salvifico oggi, ma vuol dire che gli Ebrei sono attualmente, come tutti gli altri, noi compresi, “convocati” ( come dice Cantoni) da Cristo per la conversione a lui, e lui solo. A me, cattolicamente, sembra pura eresia affermare che la Vecchia Alleanza abbia di per sé valore salvifico. Credo che Cantoni, come altri, non consideri il fatto che l'alleanza mosaica e l'ebraismo prima di Cristo siano una cosa essenzialmente diversa dall'ebraismo dopo Cristo, talmudico e impostato su basi del tutto diverse da quello mosaico, che invece è preparazione della venuta di Cristo. L’Ebraismo non è una realtà monolitica e indifferenziata, immutata nel corso dei secoli.

Anonimo ha detto...

Sì, il punto erroneo è questo: la teoria teologica della doppia via di salvezza o della via di salvezza ebraica parallela alla cattolica.
Sono preoccupato quando Kasper dice che la “Dominus Iesus non afferma che tutti debbano diventare cattolici per essere salvati da Dio. Al contrario dichiara che la grazia di Dio – che, secondo la nostra fede, è la grazia di Gesù Cristo – è a disposizione di tutti. Di conseguenza, la Chiesa crede che l'ebraismo, cioè la risposta fedele del Popolo ebreo all'alleanza irrevocabile di Dio, è per esso fonte di salvezza, perchè Dio è fedele alle sue promesse”.