mercoledì 10 giugno 2009

Etica universale

Debbo di nuovo rilevare l’ambiguità con la quale la Commissione Teologica Internazionale - Commissione, aihmè, pontificia - tratta alcune questione teologiche legate al Magistero.

Già un paio di anni or sono, con il documento che metteva in discussione la dottrina sul limbo, la Commissione dava quasi l’impressione di mortificare un po’ troppo la tradizione teologica dei Santi Padri.

Ci risiamo: la Commissione sente di dover approfondire la riflessione circa i «valori morali oggettivi in grado di unire gli uomini e di procurare ad essi pace e felicità». Si cerca un «linguaggio etico comune» (leggi: parla con le parole del mondo). Lavoro senz’altro ottimo, ma l’incipit dà luogo, ancora una volta, al pericolo di non auspicabili malintesi.

La Chiesa ha sempre presentato agli uomini un’etica fondata sulla legge naturale, figura però della legge eterna di Dio (“Veritatis splendor”), rivelatrice di una natura umana metafisica ad immagine e somiglianza di quella del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe.

In parole più semplici, la Chiesa propone l’etica di Cristo, che vale per tutti gli uomini. Non ha importanza che sia condivisa o meno. L’equivoco è in agguato già nel titolo del documento: «Alla ricerca di un’etica universale […]». In che senso? Se “universale” allude all’universale legge eterna del Dio di Gesù Cristo, siamo nel Magistero. Viceversa l’introduzione sembra quasi ricercare un’etica al di fuori delle religioni: «valori etici comuni», «linguaggio etico comune», «il cristianesimo non ha il monopolio della legge naturale». È vero, non ha il monopolio su un concetto giusnaturalistico, ma nemmeno la nuda ragione (qui chiamata a fare quasi da arbitro tra le religioni) ha questo monopolio, se non è guidata dalla vera religione.

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silvio

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