lunedì 15 novembre 2010

FAMIGLIE AL CINEMA




FIREPROOF
Regia di Alex Kendrick
Usa 2008
Sceneggiatura di Alex Kendrick e Stephen Kendrick
Attori: Kirk Cameron, Erin Bethea



"La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto". Il teologo Hans Urs von Balthasar, citato da Benedetto XVI in occasione dell'Incontro con gli artisti del 21 novembre 2009, ripropone così la dottrina tradizionale di san Tommaso d'Aquino, secondo la quale il vero, il buono e il bello devono convergere affinché vi sia autentica arte. Questo film, realizzato da un pastore battista insieme a molti volontari della  comunità di Sherwood, ci può aiutare a riflettere non solo su contenuti importanti, ma anche sulla forma scelta per narrarli. La vicenda di Caleb e Catherine, sposi da sette anni, senza figli, in piena crisi perché l'entusiasmo è svanito e lui preferisce la pornografia elettronica mentre lei è assorbita totalmente dal lavoro in ospedale, contiene spunti originali. Entrambi i coniugi, al di fuori del matrimonio, trovano il tempo per donare affetto: lei alla madre gravemente malata, lui alla squadra di giovani pompieri di cui è responsabile. Stanchi dei litigi quotidiani decidono di divorziare, ma grazie ai consigli e alla fede forte del padre di Caleb s'innesca un lento riavvicinamento. In quest'opera, consigliata da sacerdoti e amici che l'hanno utilizzata per cineforum parrocchiali e formazione dei fidanzati, innanzitutto c'è del vero: la pornografia è una droga pervasiva, capace di spegnere ogni tenerezza e di far crescere risentimento nella donna umiliata. Negli Stati Uniti è un fenomeno sociologicamente rilevante, tanto che sono nate cliniche e psicoterapie apposite per curare questa nuova dipendenza che gela il dialogo in coppia, come sempre accade quando la sessualità perde la sua finalità primaria d'intimità e di fecondità per ridursi a sfogo o distrazione. In secondo luogo nel racconto filmico c'è del buono: tentazioni da evitare, un'idea di amore come scelta e non solo sentimento, passi biblici da meditare. Infine davvero lodevole è il fatto che il regista e la sua comunità religiosa abbiano affrontato l'avventura del set cinematografico con spirito missionario, pregando prima di ogni ripresa e con il desiderio di porgere un messaggio cristiano. Perché allora, come direbbe von Balthasar, alla fine  il vero e il buono non sono incoronati dalla bellezza? Forse perché è troppo evidente la tesi che si vuole sostenere, narrata con gesti, espressioni e inquadrature traboccanti di enfasi. Le idee e i valori da comunicare, invece di zampillare dalla vitalità dei protagonisti e dal fascino della storia, si sono solidificati in personaggi statici, con scarso sviluppo psicologico e un'esperienza di fede legata a un'illuminazione individuale tanto inaspettata quanto narrativamente improbabile. Dunque un utile film da guardare valorizzandone la dimostrazione della tesi ma non la rappresentazione dei sentimenti, priva di misura e di allusività discreta. Troppo è detto e rimarcato, come spesso avviene nelle soap opera statunitensi, verso le quali questa pellicola è debitrice, rispondendo probabilmente alle esigenze di un pubblico stufo di come la televisione tratta la famiglia. Si possono apprezzare le buone intenzioni ma in campo artistico lo stile è sostanza ed incide l'anima, come e più dei contenuti. Meglio non sia mediocre ma elevato, ce l'ha ricordato anche il Papa durante la Messa di dedicazione della chiesa della Sagrada Familia di Antoni Gaudì.
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Luca

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