martedì 22 gennaio 2008

Il Chesterbelloc e il distributismo

In questo nostro tempo, che offre lo spettacolo sommamente desolante di una classe politica votata allo sfacelo morale e vede l’azione rovinosa di una burocrazia statalista onnivora e autoreferenziale sulla società civile, la riscoperta di due figure luminose del cattolicesimo britannico come Keith Gilbert Chesterton (1874-1936) e Hilaire Belloc (1870-1953) appare sicuramente interessante.
I due scrittori sono tra le cose migliori che la cultura inglese post-riforma anglicana ci abbia dato, e senza dubbio formano un connubio inscindibile, tanto la loro visione cristiana e sociale dell’uomo è affine. Parlando della loro azione culturale e di fede, qualcuno ha voluto coniare l'espressione "Chesterbelloc", a indicare quasi un'entità unica, indivisibile. La loro particolare visione sociale contiene spunti che anche oggi sembrano essere attualissimi.
Chesterton e Belloc vivono a cavallo tra Ottocento e Novecento, in un momento in cui il potere oppressivo dello Stato sull'individuo si fa sempre più forte, riducendo l'uomo a una condizione servile. Per restituire dignità all'individuo i due inglesi (ma Belloc aveva un padre francese), amanti della concretezza e dei rapporti liberi legati a una visione realistica dell'uomo, e non astratta come quella dei sistemi totalitari derivati dalla dialettica servo-padrone di stampo hegeliano, si rifanno alla visione luminosa del Medioevo delle gilde e delle corporazioni. La loro idea base della società è semplice e si muove nel solco della tradizione cristiana di sempre: il potere dell'autorità civile viene da Dio, e lo stato è istituito per il benessere della comunità, non viceversa. L'autorità che agisce contro l'uomo agisce primariamente contro Dio e i suoi diritti.
Chesterton fondò una rivista attorno alla quale cominciò a operare un gruppo, e ben presto nacque anche un movimento politico, una sorta di lega nota come Distributist League, le cui idee sono oggi rivalutate in maniera abbastanza consistente soprattutto in certe porzioni della società civile americana. In effetti, è qui che alcuni principi di libertà della società medievale cristiana e tradizionale, riletti alla luce della visione chestertoniana, sembrano trovare un terreno abbastanza fertile.
Il distributismo (così si chiama la teoria su cui si fonda il pensiero sociale dei due scrittori) propone il ritorno agli ideali che animavano la società civile del Medioevo in cui le persone, riunite in gilde, curavano direttamente i propri interessi senza sottostare alle oligarchie e ai poteri delle burocrazie, come invece succede in molti stati liberali odierni e nei totalitarismi. Come principio base si esalta il localismo contro l'universalismo astratto. In questo, ci si rifà in sostanza alla dottrina dei corpi intermedi che, come sa, sono alla base della dottrina sociale della Chiesa: la società si deve reggere primariamente sulle istituzioni come la famiglia e le piccole associazioni, in ogni campo. Tra le altre cose, come afferma Chesterton, la libertà passa attraverso la distribuzione delle proprietà; ovviamente, in questo, non si deve vedere una sorta di socialismo; per essere più precisi, si tratta di un principio di socialità basato sulla proprietà diretta, dove l’intromissione diretta dello Stato viene messa da parte quanto più possibile, seguendo quel principio di autentico liberalismo secondo cui i beni debbono essere gestiti direttamente dal singolo o dalla comunità ristretta, famiglia o gruppo più o meno ampio, ma comunque ristretto. " Piccolo è bello" è infatti un altro motto chiave del distributismo. Antimperialismo (non quello di Moreno Pasquinelli o dei no global odierni) e localismo sono altre due parole chiave della teoria distributista. Non è certo una visione tacciabile di socialismo, tanto che i socialisti vedevano nel movimento distributista un pericoloso concorrente. Diritto dei singoli e della famiglie alla proprietà, primato del lavoro sul capitale con rifiuto dell'egoismo consumistico che porta ai conflitti, lotta al potere del mercato e delle oligarchie finanziarie sono altri punti nodali della filosofia distributista dei due britannici, che attingono evidentemente alle radici di quel sano pragmatismo che costituisce da sempre il lato positivo del carattere anglosassone.
Insomma, in una parola, Chesterton e Belloc ripropongono l’economia del Medioevo riletta in chiave di dottrina sociale della Chiesa, che all’epoca si andava precisando sempre meglio. Nel 1891 esce infatti la “Rerum Novarum”, ma in fondo gli spunti basilari di dottrina sociale cristiana risalgono già a San Tommaso d'Aquino; difatti, Chesterton era anche innamorato dell'Aquinate, tanto da scrivere una bella vita di San Tommaso, ovviamente alla sua maniera, usando come di consueto una prosa assai brillante condita di ingegnosi e acuti paradossi.
Paolo

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Paolo,
mi convince assai il modello di società organizzata per corporazioni.
Ed il potere dello Stato come un potere discreto, non soffocante, che si occupi principalmente del “sussidio” alle realtà più deboli (sussidiarietà).
Gli altri due ambiti dello Stato non possono che essere il legislativo ed il giudiziario. Ma oltre questo nient'altro, altrimenti ci toccherà in sorte uno stato impiccione, ficcanaso, sul modello cinese.
Caschi a fagiolo. E mi informi di questi aspetti sociali che mi interessano molto.
Il “piccolo è bello”, sul modello di una società che nasce sul modello della famiglia, quale prima società o corporazione o gilda.
Tutto questo è affascinante come un bellissimo sogno.
Ciao

Anonimo ha detto...

Ciao Paolo
E` proprio un bel post,tutto nasce dalla terra,ovvero dalla proprieta`,dalla quale si sviluppa la legge eil diritto per poter gestire tale proprieta`.Ovviamente per gestire il diritto serve un governo,uno stato,e sono gli stati che formano le nazioni e non viceversa. La base di ogni societa` e` una famiglia forte e sicura. La legge che nasce dalla terra permette ad individui diversi di convivere e crea l`accordo.Ma l`accordo sociale deriva dal "basso" dalla terra,l`equivoco e` credere che l`accordo sia anche la Fonte della convivenza.Ecco che nasce in periodo illuminista la teoria del contratto sociale.Lo Stato che e` creato dal "basso" si trasforma in entita` autonoma per ricadere sulla societa`,la societa` non si modella piu` con la consuetudine e la tradizione ,ma si "progetta" dall`alto