di Silvio Brachetta
Il linguaggio dell’ipocrisia è mellifluo: «Maestro, sappiamo
che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a
nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità» (Mc 12, 14). Erodiani e
farisei si rivolgono a Gesù con lodi, apprezzamenti e pubblici encomi. Roso
così dall’amor proprio, l’impostore si sarebbe in seguito contraddetto -
pensavano.
Dapprima lo chiamano «Maestro», ma non lo pensano affatto,
poiché lo credono un ciarlatano. Poi affermano che egli non ha «soggezione di
alcuno» e non guarda «in faccia a nessuno». Questo era già evidente a tutti e
anche a loro, ma lo dicono per catturarne la stima. Asseriscono, addirittura,
che insegna «la via di Dio secondo verità»: in realtà lo reputano un
bestemmiatore e lo metteranno a morte proprio con l’accusa di bestemmia.
Ma Gesù non è roso dall’amor proprio, non si scompone, non
arrossisce, non si deconcentra e alla domanda «È
lecito o no dare il tributo a Cesare?», dapprima risponde «Perché mi
tentate?» e alla fine pronuncia la nota sentenza: «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio»
(Mc 12, 17).
Papa Francesco, nell’ultima S. Messa celebrata a Casa Santa Marta (4 giugno), ha commentato il brano
evangelico e, in particolare, le parole degli erodiani e dei farisei,
che pongono domande a Gesù «con parole morbide,
con parole belle, con parole troppo zuccherate». In questo modo essi «cercano di ingannare, di coinvolgere l’altro
[Gesù] nella loro menzogna».
Ben diverso - dice il
Pontefice - dovrebbe invece essere il parlare dei cristiani, perché il Signore
così ci ha insegnato: «Sia invece il
vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Mt 5, 37).
Amore e verità sono, in effetti, legati strettamente e prevedono la schiettezza.
Il Dio dell’amore è pure il Dio della verità. Il linguaggio ipocrita è di
coloro che «non amano la verità ma soltanto se
stessi». E dunque - spiega il Santo Padre - «l’ipocrisia non è un
linguaggio di verità, perché la verità non va mai da sola. […] Non c’è verità
senza amore. L’amore è la prima verità. Se non c’è amore, non c’è verità».
Il linguaggio adulatorio stimola appunto la «vanità» di chi
ascolta e gli adulatori sanno bene che all’interlocutore è comunque affetto da una
«certa debolezza interiore» e prova
piacere quando si dicono cose buone su di lui. Ma l’amabilità del linguaggio
non sempre corrisponde alla nobiltà del cuore e diventa un parlare farisaico.
Certo, Gesù ci chiede di essere miti (come lui è mite) ma - dice Papa Francesco
- «la mitezza che Gesù vuole da noi non ha niente di questa adulazione», di «questo
modo zuccherato di andare avanti», poiché «la mitezza è semplice; è come quella
di un bambino. E un bambino non è ipocrita, perché non è corrotto».
Così anche nella società contemporanea il cristiano è
chiamato all’evangelizzazione, che però sarà inefficace se dovesse usare quel
noto e po’ stucchevole «linguaggio socialmente
educato». Chiediamo piuttosto al Signore - conclude il Papa - «che il
nostro parlare sia il parlare dei semplici, parlare da bambino, parlare da
figli di Dio, parlare in verità, dall’amore». Un «parlare evangelico», insomma.
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