di Roberto I. Zanini
«Non ho inteso e non
intendo fare lo storico». La premessa di Ettore Bernabei è dettata da umiltà,
ma anche da consapevolezza: «Non ne ho né la preparazione scientifica né la
mentalità filologica». Ma quando parli con lui ti accorgi subito di avere davanti
un fiume in piena. Un uomo che nonostante gli anni, ottimamente portati, ha il
vivo desiderio di ricordare le ragioni dei fasti del boom economico e, di
conseguenza, i motivi per cui da quel momento in poi l’Italia ha inanellato una
serie di disavventure e vere e proprie sventure politiche, sociali ed
economiche. Argomentazione utilizzate ampiamente nel libro intervista con Pippo
Corigliano Italia del "miracolo" e del futuro.
E qui vale per intero
la premessa: quello di Bernabei non è il racconto di uno storico, ma è un
racconto di vita che nasce dall’esperienza di giornalista e manager di
primissimo livello; che attinge, come lui stesso tiene a sottolineare, alle
frequentazioni e alle confidenze di personaggi come Giovanni Battista Montini,
Giovanni Benelli, Agostino Casaroli, per cominciare con gli ecclesiastici;
Giorgio La Pira, Alcide De Gasperi, Amintore Fanfani, Aldo Moro, Palmiro
Togliatti, Giorgio Almirante, Bettino Craxi, Giovanni Malagodi, per concludere
con i politici.
Ma soprattutto che è
animato dal desiderio di «ricordare ai cattolici di questo Paese come siano
stati capaci di portarlo in pochi anni al boom economico e al quarto posto fra
le economie più industrializzate, senza sposare le logiche economiche del
liberismo, con un sano connubio fra contributo pubblico e impegno privato».
Perché questa
annotazione specifica sui cattolici?
«Perché i cattolici
hanno dimenticato quello di cui sono stati capaci in quegli anni, proprio
grazie all’applicazione in politica economica delle logiche sottese alla
dottrina sociale della Chiesa. Perché i cattolici sono stati travolti da una
certa propaganda "anticattolica" costruita a tavolino e hanno finito
per crederci, smettendo di fare politica. Non si può più continuare a fare da
supporto alla destra o alla sinistra. I cattolici devono tornare a fare
politica in prima persona portando avanti i valori della fede».
Questo come si
traduce in politica economica?
«Smettendo di far pagare
ai poveri gli errori di strategia economica fatti dai ricchi, come sta
avvenendo dall’inizio di questa crisi, frutto di un’ideologia economica che
aveva già mostrato il suo fallimento nel ’29. È il momento che quei poveri
possano tornare a essere meno poveri rapidamente, che si possa ricostituire la
classe media che è stata la nostra forza. Bisogna cominciare a ridare un po’ di
speranza alla gente, che non sa più dove battere la testa anche politicamente».
Nel libro lei
sostiene che l’attuale prostrazione del Paese, anche dal punto di vista
politico, è il frutto di una terza guerra mondiale.
«Una guerra condotta
in guanti bianchi, dalla quale il sistema di economia sociale costruito sulla
collaborazione fra pubblico e privato, ispirato dal pensiero cattolico, che ci
ha dato benessere, ricchezza e libertà, è uscito sconfitto in seguito a una
lunga serie di attacchi, condotti dall’ideologia liberista e dalla finanza di
speculazione, che ha la sua forza e il motore reale nelle lobby economiche
americane e inglesi e che ha avuto in Ronald Reagan e in Margaret Thatcher i
suoi paladini. Una terza guerra mondiale che per noi è stata molto più rovinosa
della seconda».
Quando è
cominciata?
«Qui, senza partire
dal principio, bisogna dire che quando De Gasperi aderì all’Alleanza Atlantica,
specificò che l’Italia sarebbe stato un Paese fedele al blocco occidentale, ma
declinò cortesemente l’invito ad aderire alle grandi organizzazioni lobbistiche
angloamericane, convinto di poter attuare una politica di crescita economica e
sociale alternativa. De Gasperi era un liberale nel senso tradizionale del
termine: conservatore e credente. Dialogando con personaggi illuminati come
Montini, comprese che gli ideali economico politici portati avanti dai giovani
del gruppo di Camaldoli (i vari Fanfani, La Pira, Dossetti...), fondati in
economia non su un mercato che si autoregola, ma sulle teorie di John Maynard
Keynes, erano quelli giusti. Non fu semplice far accettare queste teorie nella
Dc. La svolta venne dalla segreteria Fanfani fra il 1954 e il 1958, che pose le
basi per il boom economico».
Quali erano queste
basi?
«Le banche di Stato
sostenevano le grandi aziende a partecipazione statale che dovevano fornire a
basso costo l’energia, i servizi e gli strumenti necessari alle aziende
private, consentendo loro di affrontare la concorrenza di Paesi che possiedono
a basso costo quelle materie prime che noi non abbiamo. Questo fu il motore del
miracolo economico. E abbiamo dimenticato che a ispirarlo fu un gruppo di
economisti e politici cattolici. Tanto che furono proprio gli inglesi a parlare
ironicamente di "miracolo" italiano, convinti come erano che i
cattolici fossero costituzionalmente incapaci di dare solidità, benessere e
libertà ai loro Paesi. Poi, col governo cosiddetto delle "convergenze
parallele", diventammo la quarta potenza mondiale superando anche gli
inglesi, perché lo stesso Togliatti aveva capito che bisognava utilizzare e
appoggiare quel modello di sviluppo».
E la terza guerra
mondiale quando è cominciata?
«Quando le potenti
lobby economiche che fondano la loro ricchezza e il loro potere sul liberismo
hanno compreso che il successo ottenuto dalla politica sociale intrapresa in
Italia poteva mettere a rischio i loro interessi mondiali. Allora sono capitati
una serie di eventi, dalla morte di Mattei al crollo dell’Olivetti. Allora la
rivolta studentesca che in Europa è durata due anni da noi è durata 12 e si è
trasformata in contestazione operaia, producendo, nei fatti, una riduzione
della capacità produttive e culturali del Paese. Sono partite una serie di
iniziative come le campagne sul divorzio e sull’aborto, promosse da lobby
anticattoliche, per indebolire lo zoccolo duro del Paese. Poi i grandi
attentati, la stagione del terrorismo, lo spostamento della centrale mondiale
della droga in Sicilia, poi il giustizialismo per cancellare definitivamente la
Dc e i suoi alleati. Le privatizzazioni sono state il definitivo colpo di
grazia».
Viene in mente
l’attuale caso dell’Ilva di Taranto.
«E dobbiamo pregare
che queste ultime nefandezze non siano attuate e l’Ilva torni a essere
un’azienda forte e non inquinante».
Tutto questo è
accaduto in nome di una logica economica che ci ha condotto alla crisi attuale.
«Questa crisi si è
mostrata fin dal principio più grave di quella del ’29, che era già stata una
crisi del sistema e non, come si disse, una normale oscillazione ciclica. Nei
fatti il liberismo in economia è un’ideologia che conduce ad abbandonare tutte
le regole, anche quelle morali. Così i ricchi diventano sempre più ricchi e i
poveri sempre più poveri. Ma questo lo sapevano già a fine ’800 gli economisti
più accorti».
Se le chiedessi una
ricetta pratica, da dove comincerebbe?
«La grande idea di
Fanfani a inizio degli anni ’60 fu quella di aumentare i salari, cioè il potere
di acquisto dei prestatori d’opera. Quando arrivai in Rai nel 1961 i sindacati
chiesero aumenti del 12%. L’Iri non voleva dare più del 6%. Andai da Fanfani
che mi disse di offrire il 20. Così è cominciata la grande stagione della tv
che seppe trainare culturalmente il Paese».
© Avvenire
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