Tre cardinali e due
arcivescovi, più il portavoce vaticano: aumentano i consensi alla
legalizzazione delle unioni tra omosessuali. Quando solo dieci anni fa il
magistero ufficiale della Chiesa era per il no assoluto. L'enigma Bergoglio
di Sandro Magister
"La Chiesa insegna che il rispetto verso le persone
omosessuali non può portare in nessun modo all'approvazione del comportamento
omosessuale oppure al riconoscimento legale delle unioni omosessuali".
Infatti:
"Il bene comune esige che le leggi riconoscano,
favoriscano e proteggano l'unione matrimoniale come base della famiglia,
cellula primaria della società".
Quindi:
"Riconoscere legalmente le unioni omosessuali, oppure
equipararle al matrimonio, significherebbe non soltanto approvare un
comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società
attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio
comune dell'umanità".
Pertanto:
"La Chiesa non può non difendere tali valori, per il
bene degli uomini e di tutta la società".
Sono queste le frasi conclusive delle “Considerazioni circa
i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” della
congregazione per la dottrina della fede, CDF, agevolmente consultabile nel sito
internet del dicastero:
Il documento porta la firma dell'allora cardinale prefetto
della congregazione Joseph Ratzinger, oggi "sommo pontefice emerito",
e dell’allora arcivescovo segretario Angelo Amato, salesiano, oggi cardinale
prefetto della congregazione delle cause dei santi.
Fu approvato il 28 marzo 2003 dal beato Giovanni Paolo II e
pubblicato il 3 giugno successivo, memoria dei santi Carlo Lwanga e compagni
martiri.
Una ricorrenza scelta non a caso. Nel martirologio romano si
ricorda infatti che san Carlo Lwanga e i dodici compagni martiri - di età
compresa tra i quattordici e i trent’anni, appartenenti alla regia corte dei
giovani nobili o alla guardia del corpo del re Mwanga, neofiti o fervidi
seguaci della fede cattolica - essendosi rifiutati di accondiscendere alle
turpi richieste del re, sul colle di Namugongo in Uganda furono alcuni trafitti
con la spada, altri arsi vivi nel fuoco. Dove per "turpi richieste"
si devono intendere le brame omosessuali del "dissoluto" re Mwanga.
Sono passati dieci anni da quel documento emesso dalla CDF
ratzingeriana sotto il pontificato di Karol Wojtyla. Nel calendario liturgico
della Chiesa cattolica il 3 giugno si continua a fare memoria dei santi martiri
dell’Uganda canonizzati da Paolo VI nel 1964, anche se sarebbe interessante
verificare quanti conoscono i motivi del loro supremo sacrificio. Ma i
contenuti delle citate “Considerazioni” sembrano appartenere ormai a un'altra
epoca ecclesiale.
Specchio fedele di questo nuovo corso sono le dichiarazioni
rilasciate alla stampa dal cardinale Godfried Danneels, arcivescovo emerito di
Malines-Bruxelles, alla vigilia dei suoi 80 anni compiuti il 4 giugno.
Il porporato belga – che senza ipocrisie non nascose il suo
disappunto per l’elezione di Benedetto XVI nel conclave del 2005 e che
quest’anno è stato uno dei grandi elettori di papa Francesco – ha dichiarato
che la Chiesa "non si è mai opposta al fatto che esista una sorta di
`matrimonio´ tra gli omosessuali, ma si parla dunque di `una sorta´ di
matrimonio, non del vero matrimonio tra un uomo e una donna, quindi bisogna
trovare un'altra parola per il dizionario".
E ha concluso:
"Sul fatto che ciò sia legale, che venga reso legittimo
attraverso una legge, su questo la Chiesa non ha niente da dire".
Il quotidiano belga "Le Soir", nel riportare le
parole di Danneels, ha aggiunto che "la posizione del cardinale è
condivisa da monsignor André-Joseph Léonard", suo successore come
arcivescovo di Malines-Bruxelles. Il giornale non fornisce le prove di questa
consonanza. Ma non c'è dubbio che Danneels ha effettivamente detto, con la
franchezza che lo contraddistingue, ciò che anche altri porporati e prelati
hanno dichiarato negli ultimi mesi.
I media, infatti, hanno ultimamente registrato parole
favorevoli al riconoscimento legale di unioni omosessuali da parte di almeno
quattro alti esponenti della gerarchia della Chiesa:
- l’arcivescovo Piero Marini, presidente della pontificia
commissione per i congressi eucaristici e già maestro delle cerimonie
liturgiche papali;
- l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del pontificio
consiglio per la famiglia, successivamente correttosi;
- il cardinale austriaco Christoph Schönborn, arcivescovo di
Vienna;
- il cardinale colombiano Rubén Salazar Gómez, arcivescovo
di Bogotá, quest’ultimo costretto a una rapida ritrattazione prima di ricevere
la berretta cardinalizia nel novembre 2012.
Lo scorso 24 aprile è intervenuto sul tema anche il
“portavoce vaticano” padre Federico Lombardi, che interpellato a proposito
dell’approvazione parlamentare definitiva da parte dell’assemblea nazionale
francese del “matrimonio gay” ha risposto che si deve "chiaramente
evidenziare che il matrimonio tra un uomo e una donna è un’istituzione
specifica e fondamentale nella storia dell’umanità. Ciò non toglie che si
possano riconoscere in qualche modo altre forme di unione tra due persone".
Interrogato poi su una eventuale reazione papale alla
decisione parigina, padre Lombardi ha detto: "È il papa che deve parlare,
lascio parlare lui".
Sta di fatto che Jorge Mario Bergoglio non ha sinora speso
una sillaba sulla decisione francese di elevare a matrimonio le unioni civili
omosessuali, che pure erano già legittimate da anni con il nome di "Pacte
Civile de Solidarité", PACS.
Né il papa ha voluto proferire verbo sull’argomento, quando
il 23 maggio ha incontrato per la prima volta i vescovi della conferenza
episcopale italiana, la Chiesa di cui è "ex officio" primate.
Mentre invece nella prolusione pronunciata tre giorni prima
il cardinale Angelo Bagnasco aveva ribadito che "la famiglia non può
essere umiliata e indebolita da rappresentazioni similari che in modo felpato
costituiscono un 'vulnus' progressivo alla sua specifica identità, e che non
sono necessarie per tutelare diritti individuali in larga misura già garantiti
dall’ordinamento".
Prendendo come paradigmatici quelli che la tradizione
catechetica definisce i quattro peccati che "diconsi gridar vendetta al
cospetto di Dio" (secondo la terminologia del catechismo di san Pio X) o
che "gridano verso il Cielo" (come nel catechismo di Ratzinger e
Wojtyla del 1992), papa Bergoglio ha sinora mostrato di considerare prioritario
nella sua predicazione, come anche nel suo primo discorso a nuovi diplomatici
accreditati presso la Santa Sede, puntare il dito sulla rilevanza sociale degli
ultimi due peccati – l’oppressione dei poveri e la frode al salario degli
operai –, piuttosto che su quella del secondo: il peccato dei sodomiti.
__________
Lo scorso 19 marzo, sei giorni dopo l'elezione di papa
Francesco, il "New York Times" ha scritto che quando – tra il
2009 e il 2010 – in Argentina si infiammò il dibattito sull’introduzione del
“matrimonio gay” l’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio era favorevole a una
soluzione di compromesso, che legittimasse una unione civile per persone dello
stesso sesso.
Che cosa davvero accadde è controverso. Secondo
ricostruzioni giornalistiche attendibili, durante una riunione della conferenza
episcopale i vescovi argentini effettivamente discussero su come affrontare la
questione. E alla fine la linea che prevalse non sarebbe stata quella delle
“colombe” impersonata da Bergoglio, ma quella dei “falchi” guidata
dall’arcivescovo di La Plata, Héctor Rubén Aguer.
La divergenza tuttavia non era sull'opporsi al "matrimonio
gay", ma sul come farlo e sulla accettabilità o meno di un compromesso che
ammettesse le unioni civili senza usare la parola matrimonio.
Poche settimane prima dell’approvazione, il 15 luglio 2010,
della legge che in Argentina ha legalizzato il matrimonio omosessuale con la
possibilità di adottare figli, Bergoglio scrisse una lettera ai quattro
monasteri carmelitani di Buenos Aires.
In essa, dopo aver ribadito che in atto non c’era "solo
un disegno di legge (questo è solo lo strumento)" ma "una mossa del
padre della menzogna che cerca di confondere e d’ingannare i figli di
Dio", chiedeva di "invocare il Signore affinché mandi il suo Spirito
sui senatori che saranno impegnati a votare. Che non lo facciano mossi
dall’errore o da situazioni contingenti, ma secondo ciò che la legge naturale e
la legge di Dio indicano loro".
Bergoglio vedeva agire nella nuova legge "l'invidia del
demonio, attraverso la quale il peccato entrò nel mondo: un’invidia che cerca
astutamente di distruggere l’immagine di Dio, cioè l’uomo e la donna che
ricevono il comando di crescere, moltiplicarsi e dominare la terra".
Ma per reagire alla sfida si affidò più alle preghiere delle
suore di clausura che a proclami pubblici, dichiarazioni solenni, o
manifestazioni di piazza.
Fino ad oggi non ci sono segnali che da vescovo di Roma egli
voglia cambiare questa sua linea di condotta.
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