di Domenico Pennino
“Non è infatti per passione di dominio che essi comandano,
ma per desiderio di donarsi, non per orgoglio di essere capi, ma per la
preoccupazione di provvedere a tutti”[1].
“E’ impossibile, rispose, perché noi, proponiamo cose giuste
a uomini giusti. Piuttosto, ciascuno di loro si avvicinerà al comando per senso
del dovere, con un sentimento opposto a quello che oggi hanno gli uomini di
potere in ogni altro Stato…intendo dire con una condotta di vita onesta e
saggia”[2]
“Se hai intenzione di occuparti della Città in modo retto e
bene, devi rendere partecipi i cittadini della virtù. Però, uno potrebbe
rendere partecipi gli altri di ciò che non ha? Perciò, tu devi, innanzi tutto,
acquistare la virtù, e questo deve fare chiunque voglia governare e curarsi ,
non solo di sé e di ciò gli è peculiare, ma anche della Città e delle funzioni
pubbliche. Non devi, allora, procurare a te stesso e alla Città né libertà, né
potere di fare ciò che ti pare, bensì giustizia e temperanza. Difatti,
comportandovi secondo giustizia e temperanza, tu e la Città agirete in modo
gradito al Dio”[3].
“La sottomissione a Dio è conforme a misura; quella agli
uomini è invece fuori di ogni misura. Ora, per gli uomini di senno Dio è la
Legge; per gli stolti dio è il piacere”[4].
Il Cristianesimo non è una teoria, né una dottrina
filosofica o una mera saggezza umana. Non una via soteriologica escogitata
dall’astuzia e dalla creatività dagli uomini, né una mera via mistica, per
condurre la psiche dell’uomo ad una condizione di benessere soggettivo e
solipsistico. Il Cristianesimo è invece una Persona concreta, Gesù di Nazareth
rivelatosi il Cristo, il Figlio di Dio fatto carne e sangue. Egli è entrato
nella storia le cui coordinate storiche, sono indicate dai Vangeli: nascita a
Bethlehem,[5]
tra il 7-6 a. C. (747-748 di Roma), prima della Morte di Erode il Grande 4 a.C.
(750 di Roma), e morte a Gerusalemme 14 di Nisan, 7 Aprile del 30 d.C., sotto
Ponzio Pilato, prefetto della Giudea.
Egli non è una teoria, un principio astratto, non è un saggio,
né un santone, né un Gandhi o un Socrate: è il Figlio di Dio fatto uomo. E’ un
Avvenimento che nasce dall’iniziativa divina; non è una mera produzione umana.
E’ Grazia che irrompe nella storia. Il messaggio cristiano non è un mito è un
fatto storico gli autori neotestamentari hanno la chiara distinzione tra mito e
storia[6]:
il Dio cristiano è il volto umano di Dio e il volto divino dell’uomo. Il
linguaggio della fede è anche il linguaggio della ragione[7],
ha fondamenti razionali ed è intelligibile a tutti.
Infatti, grammatica della fede non può escludere la
grammatica della ragione, perché Dio è il Dio Creatore e il Logos Misura senza
misura, della realtà contingente e finita. Pertanto l’ordine della creazione
non è in antitesi con l’ordine della salvezza. Pertanto il cristiano ha anche
il compito di difendere il creato, come il diritto alla vita, la libertà
religiosa, i diritti naturali della famiglia e del matrimonio, nella unidualità
maschio e femmina.
La dignità ontologica e personale dell’uomo di fronte alle sfide della
tecnologia
Il Cristianesimo, pur non essendo solo ethos, è Presenza ed
annuncio del Cristo e non per questo rinuncia alla difesa della legge naturale,
in quanto Cristo è il Logos creatore che ha fatto buone e vere tutte le cose.
Il Cristianesimo di fatto illumina, corrobora ed eleva la dignità della persona
umana ed i valori della legge naturale, che a causa del peccato originale, ha
subito un indebolimento ed oscuramento delle sue facoltà. Il Cristianesimo è la
risposta alle più profonde attese umane ed è il compimento dell’antropologia
nella Cristologia. In Cristo trova compimento e salvezza la pienezza dell’uomo,
infatti: “la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre
all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua
altissima vocazione; né è dato in terra un altro Nome agli uomini, mediante il
quale possono essere salvati. Essa crede anche di trovare nel suo Signore e
Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana. Inoltre la
Chiesa afferma che al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili;
esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri,
oggi e nei secoli”[8].
Pertanto appare chiaro che il Vangelo, Verba Verbi, deve tradursi attraverso l’impegno e la testimonianza
del cristiano, che vive della Grazia battesimale, in lievito che permea e fa
fermentare tutta l’esistenza dell’uomo.
La grazia del messaggio evangelico deve permeare e
ricapitolare tutte le molteplici espressioni e dinamismi dell’esistenza e
corroborare i valori positivi, purificando, illuminando, trasfigurando ed
elevando, così è stato fin dai primi tempi. Infatti i Cristiani, affermava uno
scrittore ecclesiastico dei primi secoli, “Abitano in città sia greche che
barbare, come capita, e pur seguendo nel vestito, nel vitto e nel resto della
vita le usanze del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, per
ammissione di tutti, incredibile. Abitano ciascuno la loro patria, ma come
forestieri; partecipano a tutte le attività di buoni cittadini e accettano
tutti gli oneri come ospiti di passaggio.
Ogni terra straniera è patria per loro, mentre ogni patria è
per essi terra straniera. Come tutti gli altri si sposano e hanno figli, ma non
espongono i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il talamo. Vivono
nella carne, ma non secondo la carne. Trascorrono la loro vita sulla terra, ma
la loro cittadinanza è quella del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma,
con il loro modo di vivere, sono superiori alle leggi”[9].
La politica, quale attività dell'uomo per l'uomo, non può essere estranea al
cristiano[10],
né il cristiano può abdicare alla partecipazione alla vita politica, intesa
come poliedrica ed articolata azione economica, sociale, legislativa,
amministrativa e culturale orientata alla promozione del bene comune[11];
ossia alla difesa della dignità della persona umana, la quale si manifesta, in
tutta la sua pienezza, nel mistero del Verbo incarnato: “In realtà solamente
nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo… Cristo,
che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore
svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima
vocazione…Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo
venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una
dignità sublime.
Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo
ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo,
ha agito con volontà d'uomo ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria
vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il
peccato”[12].
Il Cristianesimo ha una visione ottimistica e moderata, circa l’uomo. Ha
fiducia nelle capacità dell’uomo, ma ne vede anche in modo realistico le
debolezze. Ora la politica come la società vive di presupposti che essa stessa
non può dare, né garantire, ossia la dignità trascendente e la finalità della
persona umana, che costituisce il fine stesso della politica e della società.
La persona trova la sua piena giustificazione nella sua dignità “Persona significat Id quod est perfectisimum
in tota natura, scilicet subsistens in natura intellectuali”[13]
o “omne subsistens in natura rationali
vel intellectuali est persona”.[14]
Così, in ragione della dignità della persona, la
partecipazione alla vita politica è dunque un diritto e un dovere di tutti e di
ciascuno, pur nella diversità e complementarietà di forme, di funzioni e di
esercizio di responsabilità. I cristiani non possono permettersi di assumere un
atteggiamento scettico, assenteista o peggio fatalista, per la cosa pubblica[15].
Anzi è bene per chi ha doti morali, capacità, competenza ed efficienza,
talento, spirito di abnegazione e di sacrificio, dedicarsi al bene comune, come
bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo.
Il politico cristiano è chiamato ad operare, per la difesa e
la promozione della giustizia, ma coniugando in un rapporto biunivoco ed
indissolubile carità e giustizia, poiché non vi può essere vera carità senza
giustizia, né giustizia senza carità, infatti la prima prova di amore verso il
prossimo è quella di usargli giustizia[16].
Bisogna prima dare a ciascuno ciò che gli spetta, cioè il
suo, se si vuole arrivare a dare più del suo, cioè il nostro, e se necessario
anche noi stessi. La vera carità è oltre e non al di sotto della giustizia:
essa comincia da dove la giustizia finisce. Né vi può essere vera giustizia
senza carità, in quanto la giustizia è una forma di amore, orientata al
servizio del prossimo, altrimenti crederemo di aver sempre dato troppo agli
altri e sempre poco a noi stessi. Infatti, lo stesso costituirsi in società
presuppone un minimo di diritto naturale e di amicizia sociale.
E' sempre l'amore che regola i rapporti umani e informa la
socialità, perché “se alla stretta e fredda giustizia non si unisce in fraterna
armonia la carità, troppo facilmente l'occhio diviene cieco per vedere i
diritti altrui, l’orecchio sordo alla voce di quell'equità della cui santa e
volenterosa applicazione possono sorgere, anche nelle più aspre controversie,
ragionevoli e vitali soluzioni”[17].
In altri termini, una giustizia senza la carità sarebbe cieca e una carità
senza la giustizia sarebbe vuota. Giustamente è stato detto:“La carità di oggi
è la giustizia di domani, come la giustizia di oggi fu la carità di ieri”[18].
I Vescovi hanno indicato[19],
alla luce della coscienza cristiana, formata secondo la Verità nella Carità [20],
i principi e i valori fondamentali imprescindibili per un cristiano, sia
nell’ordine della retta ragione[21],
sia nel pieno rispetto della sana laicità:“La ‘laicità’, infatti, indica in
primo luogo l’atteggiamento di chi rispetta le verità che scaturiscono dalla
conoscenza naturale dell’uomo che vive in società anche se tali verità siano
nello stesso tempo insegnate da una religione specifica, poiché la verità è
una“[22],
poiché,”Non si tratta di ‘valori confessionali’, poiché tali esigenze etiche
sono radicate nell’essere umano e appartengono alla legge morale naturale […] non
si può negare che la politica debba anche riferirsi a principi che sono dotati
di valore assoluto proprio, perché sono al servizio della dignità della persona
e del vero progresso umano”[23]:
la solidarietà, la giustizia sociale, l'attenzione alla fasce più deboli, la
difesa, l'intangibilità, l'inviolabilità e la promozione della vita umana in
ogni istante della sua esistenza, il rifiuto della clonazione e dell'eutanasia,
concepimento alla morte, la difesa della famiglia, come Istituto naturale
fondato sul matrimonio, non assimilabile ad altre forme di convivenza, con una
sua specifica funzione e rilevanza, come soggetto sociale, sotto il profilo
giuridico, fiscale, educativo ed assistenziale[24].
Tutto questo deve renderci consapevoli che la forza più
profonda della vita umana e soprannaturale è l'amore "Omnia vincit Amor et nos cedamus Amori"[25].
Ma quali interrogativi e perplessità vengono alla mente di un cristiano?
Espongo in maniera referenziale e brachilogica, ciò che meriterebbe una più
attenta analisi e sviluppo: Il bopolarismo ha segnato la fine dell'unità
politica dei cattolici? Questo è un bene? E' irreversibile? L'unità politica
dei cattolici non è un dogma, ma nemmeno il suo contrario. Non sono
compatibili, con la fede cristiana, ogni visione culturale e consequenziale
prassi politica. Certo un politico cristiano non può imporre una visione di
fede[26]
ai non credenti, ma deve difendere i valori radicati nella natura stessa
dell'essere umano, valori razionali, universali, metaculturali, perché
appartenenti alla dimensione ontologica ed assiologica dell'essere umano”
La Chiesa è
consapevole che la via della democrazia se, da una parte, esprime al meglio la
partecipazione diretta dei cittadini alle scelte politiche, dall’altra si rende
possibile solo nella misura in cui trova alla sua base una retta concezione
della persona. Su questo principio l’impegno dei cattolici non può cedere a
compromesso alcuno, perché altrimenti verrebbero meno la testimonianza della
fede cristiana nel mondo e la unità e coerenza interiori dei fedeli stessi. La
struttura democratica su cui uno Stato moderno intende costruirsi sarebbe
alquanto fragile se non ponesse come suo fondamento la centralità della
persona. È il rispetto della persona, peraltro, a rendere possibile la
partecipazione democratica. Come insegna il Concilio Vaticano II, la tutela
‘dei diritti della persona umana è condizione perché i cittadini,
individualmente o in gruppo, possano partecipare attivamente alla vita e al
governo della cosa pubblica’ ”.[27].
Occorre ricordare che “Se il cristiano è tenuto ad ammettere
la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali’, egli è
ugualmente chiamato a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di
relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno
di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro
natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono
‘negoziabili’ “[28].
E’ evidente che una la politica ritenesse che tutto è negoziabile, essa stessa
si autodistruggerebbe ed autoimploderebbe.
La politica presuppone la natura della persona umana ed i
suo essere relazione sussistente essa è strumento a servizio del comunità delle
persone e serve a promuovere le persone nella ricerca e nella promozione del
vero bene. Pertanto lo scopo dei principi non negoziabili è prepolitico e
metapolitico è fondamento e giustificazione della politica e si propone fini
metapolitici. Impedendo la strumentalizzazione e la degenerazione in mera
tecnica procedurale e in ideologia. Essi sono: vita dal concepimento alla morte
naturale, famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, libertà di
educazione, ossia della possibilità che i genitori non siano sostituiti da
altri nel loro compito educativo, tutela dei minori dalle moderne forme di
schiavitù, diritto alla libertà religiosa, economia a servizio del bene comune
nel rispetto della sussidiarietà. Certe correnti culturali, politiche e sociali
dissentono e divergono nella sostanza e nel metodo dalla visione
dell'antropologia e dalla metafisica maturate nella civiltà greco-romana e
giudaico - cristiana[29].
Anzi, sono visioni antitetiche che rispecchiano, pur nelle
diverse sfumature, una metafisica dell'antimetafisica, una metafisica
nichilista, relativista, immanentista e materialista: “È oggi verificabile un
certo relativismo culturale che offre evidenti segni di sé nella teorizzazione
e difesa del pluralismo etico che sancisce la decadenza e la dissoluzione della
ragione e dei principi della legge morale naturale.
A seguito di questa tendenza non è inusuale, purtroppo,
riscontrare in dichiarazioni pubbliche affermazioni in cui si sostiene che tale
pluralismo etico è la condizione per la democrazia. Avviene così che, da una
parte, i cittadini rivendicano per le proprie scelte morali la più completa
autonomia mentre, dall’altra, i legislatori ritengono di rispettare tale
libertà di scelta formulando leggi che prescindono dai principi dell’etica
naturale per rimettersi alla sola condiscendenza verso certi orientamenti
culturali o morali transitori, come se tutte le possibili concezioni della vita
avessero uguale valore.”[30].
Secondo la cultura e la mentalità dominante la morale e la
religione si rivelano orizzonti irrazionali, determinati dalle scelte personali
immotivate ed immotivabili. Si nega, pertanto, valore di verità a livello
conoscitivo ed epistemico all’ etica ed alla fede religiosa. Questi ambiti
gnoseologici ed epistemici, con le loro discipline sono defraudati e destituiti
della loro valenza razionale, da una ragione che da una parte si assolutizza
fideisticamente e razionalisticamente, nell’ambito del verificabile, calcolabile
e misurabile, senza possibilità di fondare ed autogiustificare ultimamente se
stessa, perché nega un orizzonte metafisico ed anipotetico.
Mentre contemporaneamente appare sul piano personale, legata
alle scelte, alle culture, alle visioni della vita, equivalenti, amorfe,
destituite di ogni principio di verità, dissolvendosi in un orizzonte
soggettivista emotivo, relativista sia etico che religioso e quindi nichilista.
Il nuovo dogma che nega di esserlo e il relativismo esso tutto tollera, non
tollera chiunque dica che non tutto si può tollerare.
Una ragione non certo neutra, né neutrale, ma che sceglie
l’io e le sue voglie, una epistemologia oudenologica, egogentrica, egolatrica,
utilitarista, pragmatista. Una conseguenza nefasta che è ormai evidente e
drammatica, per le conseguenze dissolutrici della comunità civile e sociale è
l’abdicazione ad educare. Le comunità educanti la famiglia e la scuola svuotate
dal materialismo, dall’agnosticismo, dal consumismo e dall’efficientismo dalla
polivalenza antitetica e o contraddittoria dei modelli educativi, come dalla
ricerca del “benessere”, non credono più in alcuna verità e quindi rinunciano
ad avere una identità.
I cattolici, per bimilleneria tradizione, hanno sostenuto
con forza la capacità dell’essere umano di pervenire alla verità[31]:
la persona umana non è solo natura, né è solo cultura. Egli per la ragione e
l’intelletto, per lo spirito trascende la natura, è libero ed è in grado di
costruire la sua vita; ma se si separa completamente dalla natura umana, dalla
sua struttura ontologico metafisica, dimentica di essere un progetto e pretende
di costruirsi in una libertà totale, che diventa assurda e vittima dei suoi
stessi impulsi e desideri.
Insomma, l’etica e la religione sono anche fatti razionali.
Per i cattolici: ”Se esiste il diritto di essere rispettati nel proprio cammino
di ricerca della verità, esiste ancora prima l’obbligo morale grave per
ciascuno di cercare la verità e di aderirvi una volta conosciuta”[32],
“Di per sé, ogni verità anche parziale, se è realmente verità, si presenta come
universale. Cio che è vero, deve essere vero per tutti e per sempre.”[33].
Questo è il retaggio e l’acquisto eterno, [34]
della Civiltà occidentale. Certo mondo laico[35]
o meglio laicista ripropone ancòra un orizzonte storicista, scientista che
nasconde sotto obsolete e vetuste concezioni una indomabile e sviscerata
avversione alla legge naturale, al diritto naturale, a Cristo e alla sua Chiesa[36].
E' l'esaltazione dell' “io” al posto di “Dio”[37],
è il delirio di onnipotenza[38]
(scientismo tecnologico[39],
sciolto da ogni dimensione etica, autarchia[40]
e riduttivismo del "tecnicamente possibile, ergo eticamente lecito"[41])
dove la coscienza morale è ridotta all'autocoscienza psicologica e a certezza
soggettiva.
E' la riduzione positivistica dell'etica a funzione
descrittiva: descrizioni di usi e costumi[42],
etologia, antropologia culturale[43].
E' libertarismo[44]:
dove la assoluta libertà individuale è il sommo valore, fonte di tutti i
valori, qui ogni etica normativa[45]
è considerata liberticida[46].
E' stato sostenuto da un’etica autocratica, autarchica,
refrattaria ad ogni visione ontologica ed assiologica, che nega l’essere e la
ragione[47],
in nome di un falsa identificazione della coscienza ridotta a mera funzione
psicologica, quale criterio assoluto, sciolto dal riferimento normativo alla
legge naturale, iscritto nell’essenza dell’uomo ossia il classico ed auto contraddittorio:“proibito
proibire”. Ora se è proibito proibire, perché si proibisce di proibire?
Questa posizione di pensiero si sottrae ad ogni legge
positiva che sia giusta e vera ed alla Legge naturale iscritta nell’uomo[48].
Concludiamo con le parole decise ed inequivocabili di S.
Gregorio Nisseno, teologo e filosofo: “Forse non bisogna nemmeno rispondere ai discorsi
stolti [...] "non rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza” (Prov. 26,4).
Ma siccome c'è il rischio che la menzogna vinca la Verità
proprio per mezzo del nostro silenzio, mi è parso necessario rispondere, non
secondo la stoltezza di questa gente, che sbandiera siffatte dottrine contro la
religione, ma soltanto per correggere le loro perverse supposizioni: Infatti il
precetto dei Proverbi ci raccomanda non il silenzio, ma la correzione degli
stolti, nel senso che le nostre risposte non devono procedere insieme con la
stoltezza delle ipotesi altrui, ma abbattere, se mai, le false ed errate
opinioni di coloro che si ingannano a proposito delle dottrine cristiane"[49].
[1] S. Agostino, De Civitate Dei, 19,14;
[2] Cfr. Anche Platone, Rep. VII, 520 E: “'AdÚnaton, œfh· d…kaia g¦r d¾ dika…oij
™pit£xomen. pantÕj m¾n m©llon æj ™p' ¢nagka‹on aÙtîn ›kastoj esi tÕ ¥rcein, toÙnant…on tîn nàn ™n ˜k£stV
pÒlei ¢rcÒntwn. OÛtw g¦r œcei, Ãn d' ™gè, ð ˜ta‹re· e„ mn b…on
™xeur»seij “
[3] Platone, Alcibiade
Maggiore, 134, B-D
[4] Platone, Epistola VIII, 354 E- 355
[5] Cfr. Lc 2, 1-7; Mt 2, 2. 9. 10 Cfr. G.
Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, Prefazione di V. Messori, collana Uomini e
Religioni, Mondadori, 1989, pp. 172-188., 579-619.
[6] Mt. 11, 1- 6; 1Gv. 1, 1-4; 2 Pt. 1, 16-18; 1Tm 1, 4; 4, 7; 2 Tm
2,14.16.23. Tt 1,14; 3, 9.
[7] 1Pt. 3,15; At. 17; Rm 1, 18-32. rm 12, 1
(loghikè letreia)
[8] Concilio Vat. II, G.S. 10
[9] Lettera a Diogneto, Capp. 5-6; Funk, pp.
397-401. Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa le questioni riguardanti l’impegno e il
comportamento dei cattolici nella vita politica, Libreria editrice
Vaticana, Roma, 2002, n. 1. p. 3.
[10] Negli ultimi due secoli, più volte il
Magistero pontificio si è occupato delle principali questioni riguardanti
l’ordine sociale e politico. Cfr.
LEONE XIII, Lett. Enc. Diuturnum illud,
ASS 14 (1881/82) 4ss; Lett. Enc. Immortale
Dei, ASS 18 (1885/86) 162ss; Lett. Enc. Libertas
praestantissimum, ASS 20 (1887/88) 593ss; Lett. Enc. Rerum novarum, ASS 23 (1890/91) 643ss; BENEDETTO XV, Lett. Enc.Pacem Dei munus pulcherrimum, AAS 12
(1920) 209ss; PIO XI, Lett. Enc. Quadragesimo
anno, AAS 23 (1931) 190ss; Lett. Enc. Mit
brennender Sorge, AAS 29 (1937) 145-167; Lett. Enc. Divini Redemptoris, AAS 29 (1937) 78ss; PIO XII, Lett. Enc. Summi Pontificatus, AAS 31 (1939) 423ss;
Radiomessaggi natalizi 1941-1944; GIOVANNI XXIII, Lett. Enc. Mater et magistra, AAS 53 (1961)
401-464; Lett. Enc. Pacem in terris AAS
55 (1963) 257-304; PAOLO VI, Lett. Enc. Populorum progressio, AAS 59 (1967) 257-299; Lett.
Apost. Octogesima adveniens, AAS 63
(1971) 401-441.
[11] cfr. Giovanni Paolo II, Cent.Ann.V, 47: "Il Bene comune non è
la somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e
composizione fatta in base ad un'equilibrata gerarchia dei valori e, in ultima
analisi, ad un'esatta comprensione della dignità e dei diritti della
persona"
[12] Cfr. G.S.
26.22
[13] S. Tommaso d’Aquino, Summ Theol.
I, q. 29, a.3.
[14] S. Tommaso d’Aquino, Summ Cont
Gent. IV, 35.
[15] Nota dottrinale circa le questioni…n. 3, p.
11: “Mediante
l’adempimento dei comuni doveri civili, «guidati dalla coscienza cristiana»,7
in conformità ai valori che con essa sono congruenti, i fedeli laici svolgono
anche il compito loro proprio di animare cristianamente l’ordine temporale,
rispettandone la natura e la legittima autonomia, 8 e cooperando con gli altri
cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità. 8”
[16] Nota dottrinale circa le questioni…n. 3, p.
11: “Conseguenza di questo fondamentale insegnamento del Concilio Vaticano II è
che ‘i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla
“politica”, ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale,
legislativa, amministrativa e culturale destinata a promuovere organicamente e
istituzionalmente il bene comune’, 10 che comprende la promozione e la difesa
di beni, quali l’ordine pubblico e la pace, la libertà e l’uguaglianza, il
rispetto della vita umana e dell’ambiente, la giustizia, la solidarietà, ecc.”
[17]
Pio XII, “Omelia pasquale per la pace”, 09/04/39
[18]
V.G. Séailles, “La philosophie
du travail”, Parigi, 1923,
p.117
[19] GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 42, AAS 81
(1989) 393-521. Questa nota dottrinale, indicata e citata, si riferisce
ovviamente all’impegno politico dei fedeli laici. I Pastori hanno il diritto e
il dovere di proporre i principi morali anche sull’ordine sociale; “tuttavia,
la partecipazione attiva nei partiti politici è riservata ai laici” (GIOVANNI
PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles
laici, n. 60). Cfr. anche CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio per il
ministero e la vita dei presbiteri, 31-III-1994, n. 33.
[20] S. Paolo, Efesini,
4,15
[21] Nota dottrinale circa le questioni… n. 4. pp. 13-14: “In questo contesto,
è necessario aggiungere che la coscienza cristiana ben formata non permette a
nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione di un programma politico o
di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale
siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali
contenuti. Poiché la fede costituisce come un’unità inscindibile, non è logico
l’isolamento di uno solo dei suoi contenuti a scapito della totalità della
dottrina cattolica. L’impegno politico per un aspetto isolato della dottrina
sociale della Chiesa non è sufficiente ad esaurire la responsabilità per il
bene comune. Né il cattolico può pensare di delegare ad altri l’impegno che gli
proviene dal vangelo di Gesù Cristo perché la verità sull’uomo e sul mondo
possa essere annunciata e raggiunta. Quando l’azione politica viene a
confrontarsi con principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o
compromesso alcuno, allora l’impegno dei cattolici si fa più evidente e carico
di responsabilità. Dinanzi a queste esigenze etiche fondamentali e
irrinunciabili, infatti, i credenti devono sapere che è in gioco l’essenza
dell’ordine morale, che riguarda il bene integrale della persona. E’ questo il
caso delle leggi civili in materia di aborto e di eutanasia (da non confondersi
con la rinuncia all’accanimento terapeutico, la quale è, anche moralmente,
legittima), che devono tutelare il diritto primario alla vita a partire dal suo
concepimento fino al suo termine naturale. Allo stesso modo occorre ribadire il
dovere di rispettare e proteggere i diritti dell’embrione umano. Analogamente,
devono essere salvaguardate la tutela e la promozione della famiglia, fondata
sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso e protetta nella sua
unità e stabilità, a fronte delle moderne leggi sul divorzio: ad essa non
possono essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di
convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali un riconoscimento legale.
Così pure la garanzia della libertà di educazione ai genitori per i propri
figli è un diritto inalienabile, riconosciuto tra l’altro nelle Dichiarazioni
internazionali dei diritti umani. Alla stessa stregua, si deve pensare alla
tutela sociale dei minori e alla liberazione delle vittime dalle moderne forme
di schiavitù (si pensi ad esempio, alla droga e allo sfruttamento della
prostituzione). Non può essere esente da questo elenco il diritto alla libertà
religiosa e lo sviluppo per un’economia che sia al servizio della persona e del
bene comune, nel rispetto della giustizia sociale, del principio di solidarietà
umana e di quello di sussidiarietà, secondo il quale «i diritti delle persone,
delle famiglie e dei gruppi, e il loro esercizio devono essere riconosciuti»
21. “
[22] Nota dottrinale circa le questioni… n. 6. pp. 18:
[23] Nota dottrinale circa le questioni…n.
5. pp. 16
[24] Cfr. art.29 Cart. Cost.
[25] Virgilio, Egloghe, X, 69
[26] La fede, infatti,
è un appello una proposta, un dono di Dio offerto a tutti, attraverso la rivelazione storica del Verbo
Incarnato, ma anche impegno, “qui
fecit te sine te non iustificat te sine te” [Agost. Serm. 169, 11, 13] gratia
perficit, non tollit, naturam, direbbe s. Tommaso d’Aquino
[27] Nota dottrinale circa le questioni…n. 3,
p. 11: 18 ”
[28] Nota dottrinale circa le questioni …n.
3. p. 9-10 . La morale e il diritto non risultano da patti privati o da
contratto sociale, ma esse ne sono piuttosto la condizione; la società non è
opera degli individui, ma della natura stessa dell’uomo, persona e relazione
sussistente. Se il diritto si riduce all’utile ha un valore contingente ed
accidentale e coincide, in fin dei conti, con la forza. L’utilità o
l’interesse, in quanto tali, ignorano la giustizia; sono profondamente egoisti
e cedono solo alla forza. Cfr. Regis Jolivet, Trattato
di Filosofia, V, Morale (1),
Morcelliana, Brescia, 1959, pp. 174-181)
[29] “Deus, qui est institutor naturae, non
subtrahit rebus id quod est proprium naturis earum”"Detrahere perfectioni
creaturarum est detrahere perfectioni divinae virtutis" Cfr. s.Thom.Aquin., Summa Contra
Gentiles, II, 55; I, 3. Cfr. Atenagora, De
Resurr., XII [Pertanto, se l’uomo non fu creato senza una causa e senza uno
scopo ( poiché nessuna delle cose fatte da Dio è senza scopo, almeno secondo
l’intenzione del Creatore), né per l’utilità dello stesso Creatore o di qualche
altra creatura di Dio, è chiaro che, considerando la ragione prima e più
generale, Dio ha fatto l’uomo per se stesso, per quella bontà e sapienza che è
visibile in tutta la creazione] gšgonen ¥nqrwpoj (oÙdn g¦r tîn ØpÕ qeoà genomšnwn m£taion kat£
ge t¾n toà poi»santoj gnèmhn) m»te cre…aj ›neken aÙtoà toà poi»santoj À ¥llou
tinÕj tîn ØpÕ qeoà genomšnwn poihm£twn, eÜdhlon Óti kat¦ mn tÕn prîton kaˆ koinÒteron lÒgon di'
˜autÕn kaˆ t¾n ™pˆ p£shj tÁj dhmiourg…aj qewroumšnhn ¢gaqÒthta kaˆ sof…an
™po…hsen Ð qeÕj ¥nqrwpon. “I Filosofi pagani (ton exothen tines) hanno
immaginato cose meschine e indegne della magnificenza dell’uomo nel
tentativo di innalzare il momento umano; hanno detto, infatti, che l’uomo è un
microcosmo composto degli stessi elementi del tutto e con questo splendore del
nome hanno voluto fare l’elogio della natura dimenticando che in tal modo
rendevano l’uomo simile ai caratteri propri della zanzara e del topo, infatti
anche in essi vi è la mescolanza dei quattro elementi perché certamente negli
esseri animali si vede una parte più o meno grande di ciascuno degli elementi,
senza i quali qualsiasi essere partecipe della sensibilità non ha natura per
sussistere. Quale grandezza ha dunque l’uomo, se lo riteniamo figura e
similitudine del cosmo? Di questo cielo che circonda, della terra che muta, di
tutte le cose in essi comprese e che passano con ciò che le circonda? Ma in che
cosa consiste, secondo la Chiesa, la grandezza dell’uomo? Non nella somiglianza
con il cosmo, ma nell’essere ad immagine del Creatore della nostra natura” S.
Gregorio di Nissa, L’Uomo,(De Hominis
Opificio, PERI KATASKEUHS ANQRWPOU) Città Nuova, Roma, pp. 72-80, particolarmente
72-73. Cf. per un’altra discussione del tema, De Anima et resurrectione, in PG, XLVI, 28 B; cf. pure In Psalmos, in PG, XLIV, 440 C. Si è sempre
tentato in tanti modi in Europa ed in Italia di attaccare la visione ontologico
- metafisica della persona come soggetto unico ed irrepetibile “Distinctum subsistens in natura
intellectuali” (s.Tomm. d’Aquino, Sum. Theol..I, q.29, aa.1-2.) “Id quod est perfectissimum in tota natura”
riducendolo alla meteria, subordinandolo allo stato, alla razza, alla classe,
dissolvendolo nello storicismo e nel nichilismo. C’è chi impone dall’alto con
un dictat arbitrario, quando un essere umano è persona, attribuendosi lo jus vitae ac necis. Tutto questo
avviene, mediante, criteri riduttivi di carattere pseudo-scientifico, che
riducono la persona esclusivamente a soggetto di coscienza e di libertà. La
persona è un in sé e per sé incomunicabile, un unicum et irrepetibile subjectum, di ordine ontologico-metafisico,
di cui il costitutivo ontologico formale è la relazione sussistente o distinto
sussistente, cioè il principum quod.
Ora sia la coscienza che la libertà fanno parte del principium quo, (se si riducesse la persona solo a soggetto di
libertà e di coscienza bisognerebbe sostenere che vanno esclusi: un bambino appena
nato perché non è pienamente cosciente, un celebroleso perché non lo diventa
mai, un addormentato, perché cessa di esserlo temporaneamente, ora nessuna
autorità ha diritto di stabilire chi è persona e chi non lo è, perché non
rientra nelle sue competenze. La persona umana è indisponibile, a qualsiasi
manipolazione, nessuno può giudicare del valore di una vita, neppure della
propria: cioè non è dell’uomo stabilire se una vita valga la pena di essere
vissuta, in base a criteri di valore riduttivi ed arbitrari: il piacere, il
dolore, la prestazione e l’utilità sociale. Tutto questo riflette una lettura
univoca ed assoluta di un significato e di una finalità soggettiva ,
convenzionale, oppressiva, ora l’uomo trascende se stesso: è un microteos, per partecipazione.) pertanto
“non si è uomini perché si è riconosciuti dagli altri come tali, ma perché si
ha la natura umana, anche se gli altri lo negassero o non lo volessero
riconoscere”( cfr. Vittorio Marcozzi, La liberalizzazione dell’aborto, in “La
Civiltà Cattolica”, II (1971), pp. 21-22).
[30] Nota dottrinale circa le questioni …n. 2,
p. 7.
[31] s.Giustino, I Apologia, II, 1 “A
coloro che sono veramente pii e filosofi la ragione impone di onorare ed amare
la verità, e di rifiutare la opinioni degli antichi nel caso che siano erronee:
la retta ragione, infatti, non solo impone di non seguire chi predica contro la
giustizia, ma obbliga anche chi ama la verità, in ogni modo e a costo della
vita, persino sotto minaccia di morte, alla scelta delle cose giuste, sia nelle
parole, sia nelle azioni “.
[32] Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, n.
34
[33] Giovanni Paolo II, Fides et Ratio, ed.
Piemme, 1998, n. 27, p. 76.
[34] Tucilide, Historiae, Proemio, I, 22,
4.
[35] Sul principio di laicità occorre che ci
spieghiamo rigorosamente: uno stato sanamente laico è uno stato che nelle
scelte fondamentali si ispira ai valori emergenti della cultura dell'uomo.
Senza privilegiare nessuna ideologia e nessuna fede religiosa lo stato moderno
non può essere "confessionale" in nessun senso: non in senso
religioso, per esempio cristiano o musulmano...; non in senso materialistico e
ateo, per esempio marxistico; non in senso agnostico (Cf. positivismo,
scientismo e strutturalismo) e nemmeno in senso laicistico. Intendiamo, con
quest’ultima degenerazione ed ipertrofia, una particolare concezione del mondo
e dell' uomo d'ispirazione immanentistica ed illuministica, che nega i valori
trascendenti o li confina nel segreto della coscienza individuale, proclamando
la dittatura dell’immanenza e l’assolutizzazione del contingente e del finito.
Ovviamente, secondo questo principio non ci potranno essere "religioni di
stato" o peggio “Lo Stato come Religione” (Cfr. L. Sturzo, Il
Panteismo di Stato, in AA.VV., Le Eresie del Secolo, Assisi, 1952, pp.
107-122 “Sempre l’uomo ha fatto dello Stato un inferno, perché ha voluto farne
il suo paradiso” F. Holderlin, Hyperion, I, in “Samtliche WerKe und Brief“, II, Lipsia, 1914, p. 43.).
Questo però non vuol dire che si possa contestare o anche solo ignorare il
fatto che il cattolicesimo è la religione storica del popolo italiano e la
fonte preponderante della sua identità nazionale. Affermando la giusta e sana
laicità dello stato, non si vuole affatto asserire che esso debba essere
indifferente a qualsiasi norma etica. L'obbligo della verità e della moralità
impegna anche lo stato laico: non già nel senso hegeliano della comunità
politica creatrice di valori e di norme morali, ma nel senso che deve
conformarsi alle esigenze di verità e di moralità che derivano dalla sua
genesi, dalla sua struttura, dalla sua tradizione e dal suo fine quale servizio
alla dignità della persona, secondo la retta ragione. (“Ma perché
meravigliarsi? Forse non ci sono più idoli e non c’è più idolatria nei tempi
moderni e nei popoli cristiani e civilizzati? Se non si chiamano più Giove e
Moloch, i nostri idoli hanno nomi più seducenti: si chiamano Nazione, Stato,
Libertà, Autorità, Repubblica, Monarchia, Razza, Classe. E se non si dà loro
l’incenso profumato e non si danno riti ieratici ovvero occultistici, si ha
l’altro incenso, ch’è più significativo, quello della lode infinita; e non
mancano i riti civili che si vestono spesso di forme religiose. E’ vero: le
idolatrie moderne sono religioni laicizzate, ma non mancano di santuari, di
altari e di vittime. Dal culto della dea ragione in poi, in certi momenti
frenetici, gli idolatri moderni sentono la nostalgia delle idolatrie antiche e
il bisogno dell’imitazione dei riti del culto. Ma quello che soprattutto
esigono sono le vittime; oggi le vittime immolate a queste divinità crudeli,
nelle guerre civili e in quelle militari, sono superiori a quelle dei tempi
d’Ifigenia; si contano a migliaia e a milioni” Cfr. Luigi Sturzo,
Idolatria collettiva, in “El Matì”, 19 Dicembre 1933, in Id. Miscellanea
Londinese, vol II, Bologna 1967, p. 286 . E.
Gentile, Le Religioni della Politica, fra
democrazie e totalitarismi, ed. Leterza, Roma-Bari, 2001, p. 104 “A tal
fine, Voegelin distingueva fra “religioni ultramondane” e “religioni intramondane”,
includendo, in questa seconda categoria, tutti i movimenti, anche quelli atei e
ostili alla religione, che tuttavia manifestano “al fondo del loro
comportamento [...] esperienze religiose, che venerano come sacro qualcosa di
diverso rispetto alle religioni che essi combattono”. In tal modo, Voegelin non
solo ampliò il concetto tradizionale del religioso, ma adoperò il termine di
“religione politica” estensivamente, per definire varie forme di
sacralizzazione del potere, dello Stato e della politica, dal mondo antico al
mondo contemporaneo. Il nucleo centrale delle sue riflessioni riguardava la
compenetrazione di religione e politica nei movimenti che costituivano una
“comunità politica”: “la vita degli uomini all’interno della comunità politica
non può essere circoscritta quale sfera profana” relativa a questioni di
organizzazione e di potere, perché essa è “anche un ambito d’ordine religioso:
e la conoscenza di una situazione politica è incompleta in un punto decisivo se
non abbraccia le forze religiose della comunità ed i simboli nei quali quelle
forze trovano espressione”. Voegelin collocava il problema della religione
politica in un contesto storico millenario, entro il quale la novità e la
specificità delle religioni totalitarie finivano con l’essere stemperate in un
generico fenomeno di sacralizzazione del potere politico che includeva il culto
del Faraone e le religioni totalitarie del XX secolo. “E. Gentile, Le Religioni della Politica, fra democrazie
e totalitarismi, ed. Leterza, Roma-Bari, 2001, pp. 86-87.
[36] Siamo distinti e distanti, come cristiani,
da ogni antropologia riduttivistica ed autarchica, che nega una fondazione
trascendente ed una giustificazione teleologica ed assiologica. Ogni
relativismo dissolutore della verità, diventa per la stessa ragione
contraddittorio, i latini sostenevano tot capita tot sentenziae e Protagora
“L’uomo è misura di tutte le cose”, oggi si sostiene che tutto è
relativo, ma tranne che tutto è relativo, un argomento sofistico e capzioso,
per corroborare la legge del più forte: non forza della verità, ma verità della
forza, non forza della ragione, ma la ragione della forza, non forza del
diritto, ma il diritto della forza. Sembra che Essa [scilicet. la Chiesa] sia la sola ed esclusiva causa di tutti i
mali, l’unico atteggiamento che gli è consentito è la richiesta di perdono di
fronte al mondo soprattutto al mondo laico o laicista, la si vuole in
silenzio e ridotta alle sacrestie o meglio pronta a benedire ogni tipo di
titanismo eccentrico, anzi a dichiarare solennemente, con una auspicata
enciclica: “L’Inutilis Deus“ e ivi il
riconoscimento del moderno dogma laicista ed ateo dell’ “Homo Unicus Deus”
[37] “Per noi Dio è la misura di tutte le
cose, assai più che non lo sia alcun uomo come si sostiene.. Nulla d’imperfetto
è misura di cosa alcuna. La sottomissione a Dio è conforme a misura, quella
agli uomini è invece fuori di ogni misura: ora per gli uomini di senno Dio è la
legge, per gli uomini stolti Dio è il piacere.. Dio possiede in misura adeguata
la scienza e la potenza per mescolare molte cose in unità e di nuovo
scioglierle dall’unità in molte; ma non c’è nessuno degli uomini che sappia
fare né l’una, né l’altra cosa, né ci sarà in avvenire” Platone, Leggi, IV, 716,C, Rep. VI, 504c; Ep.,VIII,
354 E-355; Tim. 68 D 4-7“Dio è somma misura, somma
proporzione, Sommo ordine... Misura suprema…Misura senza misura.. L’uno è il
Padre della Verità” s. Agostino, De Gen.C. Manich., I,16,26; De
Gen ad Lit.,IV,16,26; De Vera Rel., 43; Atti, 5,29“Oboedire
oportet Deo magis quam hominibus”. Cfr.Plat.,
Apol. : Aqhna‹oi, ¢sp£zomai mn kaˆ filî, pe…somai d m©llon tù qeù À Øm‹n”; “Principio
della superbia umana è apostatare da Dio " Sir.10,14
[38] Nota dottrinale, n. 2, p. 8-9: “La storia del XX secolo basta a
dimostrare che la ragione sta dalla parte di quei cittadini che ritengono del
tutto falsa la tesi relativista secondo la quale non esiste una norma morale,
radicata nella natura stessa dell’essere umano, al cui giudizio si deve
sottoporre ogni concezione dell’uomo, del bene comune e dello Stato”.
[39] Ci ricorda il film interpretato da G. Peck e
L. Olivier, I ragazzi venuti dal Brasile, dove Mengele continua in
America Latina le ricerche fatte nei campi di concentramento, ma l’obiettivo
questa volta era davvero superlativo clonare Hitler.
[40] Oggi i capricci e gli istinti diventano
diritti tutto è affidato alla brama di potere e di piacere è sempre bello
scoprire nella migliore tradizione classica la coinonia con la rivelazione perché fede e ragione, natura e grazia
non si oppongono: E un uomo ingegnoso, un siculo o forse un italico, parlando
per immagini. mutando di poco il suono del nome, chiamò “orcio” questa parte
dell’anima, perché seducibile e credula, e chiamò dissennati i non iniziati, e
disse che la parte dell’anima di questi dissennati nella quale hanno sede le
passioni, la quale è senza regola e senza ritegni, è come un “orcio forato”,
intendendo raffigurare in questo modo la sua insaziabilità. E al contrario di
quel che dici tu, Callicle, dimostra come di coloro che sono nell’Ade (così
egli chiama l’invisibile) i più infelici siano i non iniziati, e come siano
costretti a portare nello ”orcio forato” dell’acqua, con un “crivello”, esso
pure forato. E il “crivello”, secondo quel saggio, come affermava chi me lo
riferì, è l’anima: ed egli paragonava l’anima degli stolti a un “crivello”, in
quanto è come bucata, perché non è capace di tenere nulla per la sua
incredulità e smemoratezza. Queste immagini sono certamente un poco strane, ma
esprimono bene quello che io ti voglio dimostrare, al fine di persuaderti,
posto che ne sia capace, a cambiare parere e a scegliere, invece della vita intemperante
e sfrenata, la vita bene ordinata, che è paga e soddisfatta di quello che si
trova ad avere. Ma riuscirò, in qualche modo, a persuaderti a cambiare parere e
a farti credere che sono più felici gli uomini ordinati che non gli uomini
dissoluti, oppure, se anche ti narrassi molti altri miti simili a questo, non
muteresti tuttavia parere? […] Socrate - Ebbene, io ti voglio riferire un’altra
immagine, proveniente dalla stessa scuola di quelle di prima. Prova a
riflettere sull’uno o sull’altro tipo di vita, quella cioè del temperante e
quella del dissoluto, se ti pare
di poterle paragonare alle condizioni di due uomini, ciascuno dei quali abbia
molti orci, e l’uno di essi li abbia sani e pieni, rispettivamente, alcuni di
vino, altri di miele, altri di latte e molti altri di altri liquidi, e che i
liquidi contenuti in ciascuno di questi orci siano tutti preziosi e difficili
da trovare. Ebbene, costui, una volta riempitili, non avrebbe più bisogno di
versarvi altro liquido nè di darsene cura, ma potrebbe starsene tranquillo.
Immagina, invece, che il secondo possa, sì, procurarsi i liquidi, ma sempre con
difficoltà, e che, per di più, abbia i vasi bucati e consumati e che sia
costretto a riempirli continuamente giorno e notte, per evitare le più gravi
sofferenze. Ebbene, tale essendo la vita di ciascuno, di questi, dirai che è
più facile la vita dello sregolato o che è, invece, più felice la vita del
temperante? Dicendo queste cose ti persuado ad ammettere che la vita ordinata è
migliore di quella dissoluta, oppure non ti persuado?
Callicle - Non mi persuadi, Socrate. Infatti, colui che ha
tutti i vasi pieni non prova più alcun piacere, e si riduce, come poco fa ti dicevo,
a vivere come una pietra, e dopo che ha riempito i suoi vasi, non ha più nè
dolore nè piacere. Ma il piacere della vita consiste in questo: nel versare
quanto più e possibile nei vasi.
Socrate - Ma, allora, non è necessario che, se molto si
versa, molto sia anche ciò che viene perduto e che grandi siano i buchi per
l’uscita?
Callicle - Certamente.
Socrate - Tu parli di una vita che è come quella del
caradrio, ben altra di quella di un morto o di una pietra (E un uccello creato
dall’immaginario greco, se non da Platone stesso, un immagine davvero emblematica:
si tratta, infatti, di un uccello immaginato come voracissimo, al punto che
continua a mangiare e ad evacuare senza posa.)(429C – 494B)
ed ancòra nel Timeo : “Per quanto riguarda, poi, la forma di
anima che in noi è la più importante, bisogna rendersi conto di questo, ossia
che il Dio l’ha data a ciascuno come un dèmone. E questa la forma di anima che
noi diciamo che abita nella parte superiore del corpo e che dalla terra ci
innalza verso la realtà che ci è congenere nel cielo, in quanto noi siamo
piante non terrestri ma celesti. E questo che diciamo è giustissimo. Infatti,
tenendo sospesa con la testa la nostra radice, proprio là da dove l’anima ha
tratto la sua prima origine, la divinità erige tutto quanto il nostro corpo.
Pertanto, colui che si dà da fare intorno ai piaceri e alle contese e si
affatica per queste cose in modo eccessivo, necessariamente tutti i pensieri
che nascono in lui sono mortali, e in tutti i sensi non gli manca nulla per
diventare mortale per quanto più è possibile, perché ha fatto crescere appunto
questa parte. Colui, invece, che si è dato cura dell’amore della conoscenza e
dei pensieri veri, e ha esercitato.
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