giovedì 6 giugno 2013

La Politica, passione e preoccupazione per il Bene Comune: secondo la Ragione, la Legge naturale ed il Diritto naturale

di Domenico Pennino

“Non è infatti per passione di dominio che essi comandano, ma per desiderio di donarsi, non per orgoglio di essere capi, ma per la preoccupazione di provvedere a tutti”[1].
“E’ impossibile, rispose, perché noi, proponiamo cose giuste a uomini giusti. Piuttosto, ciascuno di loro si avvicinerà al comando per senso del dovere, con un sentimento opposto a quello che oggi hanno gli uomini di potere in ogni altro Stato…intendo dire con una condotta di vita onesta e saggia”[2]
“Se hai intenzione di occuparti della Città in modo retto e bene, devi rendere partecipi i cittadini della virtù. Però, uno potrebbe rendere partecipi gli altri di ciò che non ha? Perciò, tu devi, innanzi tutto, acquistare la virtù, e questo deve fare chiunque voglia governare e curarsi , non solo di sé e di ciò gli è peculiare, ma anche della Città e delle funzioni pubbliche. Non devi, allora, procurare a te stesso e alla Città né libertà, né potere di fare ciò che ti pare, bensì giustizia e temperanza. Difatti, comportandovi secondo giustizia e temperanza, tu e la Città agirete in modo gradito al Dio”[3].
“La sottomissione a Dio è conforme a misura; quella agli uomini è invece fuori di ogni misura. Ora, per gli uomini di senno Dio è la Legge; per gli stolti dio è il piacere”[4].

Il Cristianesimo non è una teoria, né una dottrina filosofica o una mera saggezza umana. Non una via soteriologica escogitata dall’astuzia e dalla creatività dagli uomini, né una mera via mistica, per condurre la psiche dell’uomo ad una condizione di benessere soggettivo e solipsistico. Il Cristianesimo è invece una Persona concreta, Gesù di Nazareth rivelatosi il Cristo, il Figlio di Dio fatto carne e sangue. Egli è entrato nella storia le cui coordinate storiche, sono indicate dai Vangeli: nascita a Bethlehem,[5] tra il 7-6 a. C. (747-748 di Roma), prima della Morte di Erode il Grande 4 a.C. (750 di Roma), e morte a Gerusalemme 14 di Nisan, 7 Aprile del 30 d.C., sotto Ponzio Pilato, prefetto della Giudea.

Egli non è una teoria, un principio astratto, non è un saggio, né un santone, né un Gandhi o un Socrate: è il Figlio di Dio fatto uomo. E’ un Avvenimento che nasce dall’iniziativa divina; non è una mera produzione umana. E’ Grazia che irrompe nella storia. Il messaggio cristiano non è un mito è un fatto storico gli autori neotestamentari hanno la chiara distinzione tra mito e storia[6]: il Dio cristiano è il volto umano di Dio e il volto divino dell’uomo. Il linguaggio della fede è anche il linguaggio della ragione[7], ha fondamenti razionali ed è intelligibile a tutti.
Infatti, grammatica della fede non può escludere la grammatica della ragione, perché Dio è il Dio Creatore e il Logos Misura senza misura, della realtà contingente e finita. Pertanto l’ordine della creazione non è in antitesi con l’ordine della salvezza. Pertanto il cristiano ha anche il compito di difendere il creato, come il diritto alla vita, la libertà religiosa, i diritti naturali della famiglia e del matrimonio, nella unidualità maschio e femmina.

La dignità ontologica e personale dell’uomo di fronte alle sfide della tecnologia

Il Cristianesimo, pur non essendo solo ethos, è Presenza ed annuncio del Cristo e non per questo rinuncia alla difesa della legge naturale, in quanto Cristo è il Logos creatore che ha fatto buone e vere tutte le cose. Il Cristianesimo di fatto illumina, corrobora ed eleva la dignità della persona umana ed i valori della legge naturale, che a causa del peccato originale, ha subito un indebolimento ed oscuramento delle sue facoltà. Il Cristianesimo è la risposta alle più profonde attese umane ed è il compimento dell’antropologia nella Cristologia. In Cristo trova compimento e salvezza la pienezza dell’uomo, infatti: “la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione; né è dato in terra un altro Nome agli uomini, mediante il quale possono essere salvati. Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana. Inoltre la Chiesa afferma che al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli”[8].

Pertanto appare chiaro che il Vangelo, Verba Verbi, deve tradursi attraverso l’impegno e la testimonianza del cristiano, che vive della Grazia battesimale, in lievito che permea e fa fermentare tutta l’esistenza dell’uomo.
La grazia del messaggio evangelico deve permeare e ricapitolare tutte le molteplici espressioni e dinamismi dell’esistenza e corroborare i valori positivi, purificando, illuminando, trasfigurando ed elevando, così è stato fin dai primi tempi. Infatti i Cristiani, affermava uno scrittore ecclesiastico dei primi secoli, “Abitano in città sia greche che barbare, come capita, e pur seguendo nel vestito, nel vitto e nel resto della vita le usanze del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, per ammissione di tutti, incredibile. Abitano ciascuno la loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutte le attività di buoni cittadini e accettano tutti gli oneri come ospiti di passaggio.

Ogni terra straniera è patria per loro, mentre ogni patria è per essi terra straniera. Come tutti gli altri si sposano e hanno figli, ma non espongono i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il talamo. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Trascorrono la loro vita sulla terra, ma la loro cittadinanza è quella del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma, con il loro modo di vivere, sono superiori alle leggi”[9]. La politica, quale attività dell'uomo per l'uomo, non può essere estranea al cristiano[10], né il cristiano può abdicare alla partecipazione alla vita politica, intesa come poliedrica ed articolata azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale orientata alla promozione del bene comune[11]; ossia alla difesa della dignità della persona umana, la quale si manifesta, in tutta la sua pienezza, nel mistero del Verbo incarnato: “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo… Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione…Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime.

Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato”[12]. Il Cristianesimo ha una visione ottimistica e moderata, circa l’uomo. Ha fiducia nelle capacità dell’uomo, ma ne vede anche in modo realistico le debolezze. Ora la politica come la società vive di presupposti che essa stessa non può dare, né garantire, ossia la dignità trascendente e la finalità della persona umana, che costituisce il fine stesso della politica e della società. La persona trova la sua piena giustificazione nella sua dignità “Persona significat Id quod est perfectisimum in tota natura, scilicet subsistens in natura intellectuali[13] o “omne subsistens in natura rationali vel intellectuali est persona”.[14]

Così, in ragione della dignità della persona, la partecipazione alla vita politica è dunque un diritto e un dovere di tutti e di ciascuno, pur nella diversità e complementarietà di forme, di funzioni e di esercizio di responsabilità. I cristiani non possono permettersi di assumere un atteggiamento scettico, assenteista o peggio fatalista, per la cosa pubblica[15]. Anzi è bene per chi ha doti morali, capacità, competenza ed efficienza, talento, spirito di abnegazione e di sacrificio, dedicarsi al bene comune, come bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo.
Il politico cristiano è chiamato ad operare, per la difesa e la promozione della giustizia, ma coniugando in un rapporto biunivoco ed indissolubile carità e giustizia, poiché non vi può essere vera carità senza giustizia, né giustizia senza carità, infatti la prima prova di amore verso il prossimo è quella di usargli giustizia[16].

Bisogna prima dare a ciascuno ciò che gli spetta, cioè il suo, se si vuole arrivare a dare più del suo, cioè il nostro, e se necessario anche noi stessi. La vera carità è oltre e non al di sotto della giustizia: essa comincia da dove la giustizia finisce. Né vi può essere vera giustizia senza carità, in quanto la giustizia è una forma di amore, orientata al servizio del prossimo, altrimenti crederemo di aver sempre dato troppo agli altri e sempre poco a noi stessi. Infatti, lo stesso costituirsi in società presuppone un minimo di diritto naturale e di amicizia sociale.
E' sempre l'amore che regola i rapporti umani e informa la socialità, perché “se alla stretta e fredda giustizia non si unisce in fraterna armonia la carità, troppo facilmente l'occhio diviene cieco per vedere i diritti altrui, l’orecchio sordo alla voce di quell'equità della cui santa e volenterosa applicazione possono sorgere, anche nelle più aspre controversie, ragionevoli e vitali soluzioni”[17]. In altri termini, una giustizia senza la carità sarebbe cieca e una carità senza la giustizia sarebbe vuota. Giustamente è stato detto:“La carità di oggi è la giustizia di domani, come la giustizia di oggi fu la carità di ieri”[18].

I Vescovi hanno indicato[19], alla luce della coscienza cristiana, formata secondo la Verità nella Carità [20], i principi e i valori fondamentali imprescindibili per un cristiano, sia nell’ordine della retta ragione[21], sia nel pieno rispetto della sana laicità:“La ‘laicità’, infatti, indica in primo luogo l’atteggiamento di chi rispetta le verità che scaturiscono dalla conoscenza naturale dell’uomo che vive in società anche se tali verità siano nello stesso tempo insegnate da una religione specifica, poiché la verità è una“[22], poiché,”Non si tratta di ‘valori confessionali’, poiché tali esigenze etiche sono radicate nell’essere umano e appartengono alla legge morale naturale […] non si può negare che la politica debba anche riferirsi a principi che sono dotati di valore assoluto proprio, perché sono al servizio della dignità della persona e del vero progresso umano”[23]: la solidarietà, la giustizia sociale, l'attenzione alla fasce più deboli, la difesa, l'intangibilità, l'inviolabilità e la promozione della vita umana in ogni istante della sua esistenza, il rifiuto della clonazione e dell'eutanasia, concepimento alla morte, la difesa della famiglia, come Istituto naturale fondato sul matrimonio, non assimilabile ad altre forme di convivenza, con una sua specifica funzione e rilevanza, come soggetto sociale, sotto il profilo giuridico, fiscale, educativo ed assistenziale[24].

Tutto questo deve renderci consapevoli che la forza più profonda della vita umana e soprannaturale è l'amore "Omnia vincit Amor et nos cedamus Amori"[25]. Ma quali interrogativi e perplessità vengono alla mente di un cristiano? Espongo in maniera referenziale e brachilogica, ciò che meriterebbe una più attenta analisi e sviluppo: Il bopolarismo ha segnato la fine dell'unità politica dei cattolici? Questo è un bene? E' irreversibile? L'unità politica dei cattolici non è un dogma, ma nemmeno il suo contrario. Non sono compatibili, con la fede cristiana, ogni visione culturale e consequenziale prassi politica. Certo un politico cristiano non può imporre una visione di fede[26] ai non credenti, ma deve difendere i valori radicati nella natura stessa dell'essere umano, valori razionali, universali, metaculturali, perché appartenenti alla dimensione ontologica ed assiologica dell'essere umano”

La Chiesa è consapevole che la via della democrazia se, da una parte, esprime al meglio la partecipazione diretta dei cittadini alle scelte politiche, dall’altra si rende possibile solo nella misura in cui trova alla sua base una retta concezione della persona. Su questo principio l’impegno dei cattolici non può cedere a compromesso alcuno, perché altrimenti verrebbero meno la testimonianza della fede cristiana nel mondo e la unità e coerenza interiori dei fedeli stessi. La struttura democratica su cui uno Stato moderno intende costruirsi sarebbe alquanto fragile se non ponesse come suo fondamento la centralità della persona. È il rispetto della persona, peraltro, a rendere possibile la partecipazione democratica. Come insegna il Concilio Vaticano II, la tutela ‘dei diritti della persona umana è condizione perché i cittadini, individualmente o in gruppo, possano partecipare attivamente alla vita e al governo della cosa pubblica’ ”.[27].

Occorre ricordare che “Se il cristiano è tenuto ad ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali’, egli è ugualmente chiamato a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono ‘negoziabili’ “[28]. E’ evidente che una la politica ritenesse che tutto è negoziabile, essa stessa si autodistruggerebbe ed autoimploderebbe.
La politica presuppone la natura della persona umana ed i suo essere relazione sussistente essa è strumento a servizio del comunità delle persone e serve a promuovere le persone nella ricerca e nella promozione del vero bene. Pertanto lo scopo dei principi non negoziabili è prepolitico e metapolitico è fondamento e giustificazione della politica e si propone fini metapolitici. Impedendo la strumentalizzazione e la degenerazione in mera tecnica procedurale e in ideologia. Essi sono: vita dal concepimento alla morte naturale, famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, libertà di educazione, ossia della possibilità che i genitori non siano sostituiti da altri nel loro compito educativo, tutela dei minori dalle moderne forme di schiavitù, diritto alla libertà religiosa, economia a servizio del bene comune nel rispetto della sussidiarietà. Certe correnti culturali, politiche e sociali dissentono e divergono nella sostanza e nel metodo dalla visione dell'antropologia e dalla metafisica maturate nella civiltà greco-romana e giudaico - cristiana[29].

Anzi, sono visioni antitetiche che rispecchiano, pur nelle diverse sfumature, una metafisica dell'antimetafisica, una metafisica nichilista, relativista, immanentista e materialista: “È oggi verificabile un certo relativismo culturale che offre evidenti segni di sé nella teorizzazione e difesa del pluralismo etico che sancisce la decadenza e la dissoluzione della ragione e dei principi della legge morale naturale.
A seguito di questa tendenza non è inusuale, purtroppo, riscontrare in dichiarazioni pubbliche affermazioni in cui si sostiene che tale pluralismo etico è la condizione per la democrazia. Avviene così che, da una parte, i cittadini rivendicano per le proprie scelte morali la più completa autonomia mentre, dall’altra, i legislatori ritengono di rispettare tale libertà di scelta formulando leggi che prescindono dai principi dell’etica naturale per rimettersi alla sola condiscendenza verso certi orientamenti culturali o morali transitori, come se tutte le possibili concezioni della vita avessero uguale valore.”[30].

Secondo la cultura e la mentalità dominante la morale e la religione si rivelano orizzonti irrazionali, determinati dalle scelte personali immotivate ed immotivabili. Si nega, pertanto, valore di verità a livello conoscitivo ed epistemico all’ etica ed alla fede religiosa. Questi ambiti gnoseologici ed epistemici, con le loro discipline sono defraudati e destituiti della loro valenza razionale, da una ragione che da una parte si assolutizza fideisticamente e razionalisticamente, nell’ambito del verificabile, calcolabile e misurabile, senza possibilità di fondare ed autogiustificare ultimamente se stessa, perché nega un orizzonte metafisico ed anipotetico.
Mentre contemporaneamente appare sul piano personale, legata alle scelte, alle culture, alle visioni della vita, equivalenti, amorfe, destituite di ogni principio di verità, dissolvendosi in un orizzonte soggettivista emotivo, relativista sia etico che religioso e quindi nichilista. Il nuovo dogma che nega di esserlo e il relativismo esso tutto tollera, non tollera chiunque dica che non tutto si può tollerare.
Una ragione non certo neutra, né neutrale, ma che sceglie l’io e le sue voglie, una epistemologia oudenologica, egogentrica, egolatrica, utilitarista, pragmatista. Una conseguenza nefasta che è ormai evidente e drammatica, per le conseguenze dissolutrici della comunità civile e sociale è l’abdicazione ad educare. Le comunità educanti la famiglia e la scuola svuotate dal materialismo, dall’agnosticismo, dal consumismo e dall’efficientismo dalla polivalenza antitetica e o contraddittoria dei modelli educativi, come dalla ricerca del “benessere”, non credono più in alcuna verità e quindi rinunciano ad avere una identità.

I cattolici, per bimilleneria tradizione, hanno sostenuto con forza la capacità dell’essere umano di pervenire alla verità[31]: la persona umana non è solo natura, né è solo cultura. Egli per la ragione e l’intelletto, per lo spirito trascende la natura, è libero ed è in grado di costruire la sua vita; ma se si separa completamente dalla natura umana, dalla sua struttura ontologico metafisica, dimentica di essere un progetto e pretende di costruirsi in una libertà totale, che diventa assurda e vittima dei suoi stessi impulsi e desideri.
Insomma, l’etica e la religione sono anche fatti razionali. Per i cattolici: ”Se esiste il diritto di essere rispettati nel proprio cammino di ricerca della verità, esiste ancora prima l’obbligo morale grave per ciascuno di cercare la verità e di aderirvi una volta conosciuta”[32], “Di per sé, ogni verità anche parziale, se è realmente verità, si presenta come universale. Cio che è vero, deve essere vero per tutti e per sempre.”[33].
Questo è il retaggio e l’acquisto eterno, [34] della Civiltà occidentale. Certo mondo laico[35] o meglio laicista ripropone ancòra un orizzonte storicista, scientista che nasconde sotto obsolete e vetuste concezioni una indomabile e sviscerata avversione alla legge naturale, al diritto naturale, a Cristo e alla sua Chiesa[36]. E' l'esaltazione dell' “io” al posto di “Dio”[37], è il delirio di onnipotenza[38] (scientismo tecnologico[39], sciolto da ogni dimensione etica, autarchia[40] e riduttivismo del "tecnicamente possibile, ergo eticamente lecito"[41]) dove la coscienza morale è ridotta all'autocoscienza psicologica e a certezza soggettiva.

E' la riduzione positivistica dell'etica a funzione descrittiva: descrizioni di usi e costumi[42], etologia, antropologia culturale[43]. E' libertarismo[44]: dove la assoluta libertà individuale è il sommo valore, fonte di tutti i valori, qui ogni etica normativa[45] è considerata liberticida[46].
E' stato sostenuto da un’etica autocratica, autarchica, refrattaria ad ogni visione ontologica ed assiologica, che nega l’essere e la ragione[47], in nome di un falsa identificazione della coscienza ridotta a mera funzione psicologica, quale criterio assoluto, sciolto dal riferimento normativo alla legge naturale, iscritto nell’essenza dell’uomo ossia il classico ed auto contraddittorio:“proibito proibire”. Ora se è proibito proibire, perché si proibisce di proibire?
Questa posizione di pensiero si sottrae ad ogni legge positiva che sia giusta e vera ed alla Legge naturale iscritta nell’uomo[48].

Concludiamo con le parole decise ed inequivocabili di S. Gregorio Nisseno, teologo e filosofo: “Forse non bisogna nemmeno rispondere ai discorsi stolti [...] "non rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza” (Prov. 26,4).
Ma siccome c'è il rischio che la menzogna vinca la Verità proprio per mezzo del nostro silenzio, mi è parso necessario rispondere, non secondo la stoltezza di questa gente, che sbandiera siffatte dottrine contro la religione, ma soltanto per correggere le loro perverse supposizioni: Infatti il precetto dei Proverbi ci raccomanda non il silenzio, ma la correzione degli stolti, nel senso che le nostre risposte non devono procedere insieme con la stoltezza delle ipotesi altrui, ma abbattere, se mai, le false ed errate opinioni di coloro che si ingannano a proposito delle dottrine cristiane"[49].

[1] S. Agostino, De Civitate Dei, 19,14;
[2] Cfr. Anche Platone, Rep. VII, 520 E: “'AdÚnaton, œfh· d…kaia g¦r d¾ dika…oij ™pit£xomen. pantÕj m¾n m©llon æj ™p' ¢nagka‹on aÙtîn ›kastoj esi tÕ ¥rcein, toÙnant…on tîn nàn ™n ˜k£stV pÒlei ¢rcÒntwn. OÛtw g¦r œcei, Ãn d' ™gè, ð ˜ta‹re· e„ mn b…on ™xeur»seij 
[3] Platone, Alcibiade Maggiore, 134, B-D
[4] Platone, Epistola VIII, 354 E- 355
[5] Cfr. Lc 2, 1-7; Mt 2, 2. 9. 10 Cfr. G. Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, Prefazione di V. Messori, collana Uomini e Religioni, Mondadori, 1989, pp. 172-188., 579-619.
[6] Mt. 11, 1- 6; 1Gv. 1, 1-4; 2 Pt. 1, 16-18; 1Tm 1, 4; 4, 7; 2 Tm 2,14.16.23. Tt 1,14; 3, 9.
[7] 1Pt. 3,15; At. 17; Rm 1, 18-32. rm 12, 1 (loghikè letreia)
[8] Concilio Vat. II, G.S. 10
[9] Lettera a Diogneto, Capp. 5-6; Funk, pp. 397-401. Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa le questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, Libreria editrice Vaticana, Roma, 2002, n. 1. p. 3.
[10] Negli ultimi due secoli, più volte il Magistero pontificio si è occupato delle principali questioni riguardanti l’ordine sociale e politico. Cfr. LEONE XIII, Lett. Enc. Diuturnum illud, ASS 14 (1881/82) 4ss; Lett. Enc. Immortale Dei, ASS 18 (1885/86) 162ss; Lett. Enc. Libertas praestantissimum, ASS 20 (1887/88) 593ss; Lett. Enc. Rerum novarum, ASS 23 (1890/91) 643ss; BENEDETTO XV, Lett. Enc.Pacem Dei munus pulcherrimum, AAS 12 (1920) 209ss; PIO XI, Lett. Enc. Quadragesimo anno, AAS 23 (1931) 190ss; Lett. Enc. Mit brennender Sorge, AAS 29 (1937) 145-167; Lett. Enc. Divini Redemptoris, AAS 29 (1937) 78ss; PIO XII, Lett. Enc. Summi Pontificatus, AAS 31 (1939) 423ss; Radiomessaggi natalizi 1941-1944; GIOVANNI XXIII, Lett. Enc. Mater et magistra, AAS 53 (1961) 401-464; Lett. Enc. Pacem in terris AAS 55 (1963) 257-304; PAOLO VI, Lett. Enc. Populorum progressio, AAS 59 (1967) 257-299; Lett. Apost. Octogesima adveniens, AAS 63 (1971) 401-441.
[11] cfr. Giovanni Paolo II, Cent.Ann.V, 47: "Il Bene comune non è la somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad un'equilibrata gerarchia dei valori e, in ultima analisi, ad un'esatta comprensione della dignità e dei diritti della persona"
[12] Cfr. G.S. 26.22
[13] S. Tommaso d’Aquino, Summ Theol. I, q. 29, a.3.
[14] S. Tommaso d’Aquino, Summ Cont Gent. IV, 35.
[15] Nota dottrinale circa le questioni…n. 3, p. 11: “Mediante l’adempimento dei comuni doveri civili, «guidati dalla coscienza cristiana»,7 in conformità ai valori che con essa sono congruenti, i fedeli laici svolgono anche il compito loro proprio di animare cristianamente l’ordine temporale, rispettandone la natura e la legittima autonomia, 8 e cooperando con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità. 8”
[16] Nota dottrinale circa le questioni…n. 3, p. 11: “Conseguenza di questo fondamentale insegnamento del Concilio Vaticano II è che ‘i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla “politica”, ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune’, 10 che comprende la promozione e la difesa di beni, quali l’ordine pubblico e la pace, la libertà e l’uguaglianza, il rispetto della vita umana e dell’ambiente, la giustizia, la solidarietà, ecc.”
[17]  Pio XII, “Omelia pasquale per la pace”, 09/04/39
[18]  V.G. Séailles, “La philosophie du travail”, Parigi, 1923, p.117
[19] GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 42, AAS 81 (1989) 393-521. Questa nota dottrinale, indicata e citata, si riferisce ovviamente all’impegno politico dei fedeli laici. I Pastori hanno il diritto e il dovere di proporre i principi morali anche sull’ordine sociale; “tuttavia, la partecipazione attiva nei partiti politici è riservata ai laici” (GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 60). Cfr. anche CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, 31-III-1994, n. 33.
[20] S. Paolo, Efesini, 4,15
[21] Nota dottrinale circa le questioni… n. 4. pp. 13-14: “In questo contesto, è necessario aggiungere che la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti. Poiché la fede costituisce come un’unità inscindibile, non è logico l’isolamento di uno solo dei suoi contenuti a scapito della totalità della dottrina cattolica. L’impegno politico per un aspetto isolato della dottrina sociale della Chiesa non è sufficiente ad esaurire la responsabilità per il bene comune. Né il cattolico può pensare di delegare ad altri l’impegno che gli proviene dal vangelo di Gesù Cristo perché la verità sull’uomo e sul mondo possa essere annunciata e raggiunta. Quando l’azione politica viene a confrontarsi con principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno, allora l’impegno dei cattolici si fa più evidente e carico di responsabilità. Dinanzi a queste esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, infatti, i credenti devono sapere che è in gioco l’essenza dell’ordine morale, che riguarda il bene integrale della persona. E’ questo il caso delle leggi civili in materia di aborto e di eutanasia (da non confondersi con la rinuncia all’accanimento terapeutico, la quale è, anche moralmente, legittima), che devono tutelare il diritto primario alla vita a partire dal suo concepimento fino al suo termine naturale. Allo stesso modo occorre ribadire il dovere di rispettare e proteggere i diritti dell’embrione umano. Analogamente, devono essere salvaguardate la tutela e la promozione della famiglia, fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso e protetta nella sua unità e stabilità, a fronte delle moderne leggi sul divorzio: ad essa non possono essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali un riconoscimento legale. Così pure la garanzia della libertà di educazione ai genitori per i propri figli è un diritto inalienabile, riconosciuto tra l’altro nelle Dichiarazioni internazionali dei diritti umani. Alla stessa stregua, si deve pensare alla tutela sociale dei minori e alla liberazione delle vittime dalle moderne forme di schiavitù (si pensi ad esempio, alla droga e allo sfruttamento della prostituzione). Non può essere esente da questo elenco il diritto alla libertà religiosa e lo sviluppo per un’economia che sia al servizio della persona e del bene comune, nel rispetto della giustizia sociale, del principio di solidarietà umana e di quello di sussidiarietà, secondo il quale «i diritti delle persone, delle famiglie e dei gruppi, e il loro esercizio devono essere riconosciuti» 21. 
[22] Nota dottrinale circa le questioni… n. 6. pp. 18:
[23] Nota dottrinale circa le questioni…n. 5. pp. 16
[24] Cfr. art.29 Cart. Cost.
[25] Virgilio, Egloghe, X, 69
[26] La fede, infatti, è un appello una proposta, un dono di Dio offerto a tutti, attraverso la rivelazione storica del Verbo Incarnato, ma anche impegno, “qui fecit te sine te non iustificat te sine te” [Agost. Serm. 169, 11, 13] gratia perficit, non tollit, naturam, direbbe s. Tommaso d’Aquino
[27] Nota dottrinale circa le questioni…n. 3, p. 11: 18 ”
[28] Nota dottrinale circa le questioni …n. 3. p. 9-10 . La morale e il diritto non risultano da patti privati o da contratto sociale, ma esse ne sono piuttosto la condizione; la società non è opera degli individui, ma della natura stessa dell’uomo, persona e relazione sussistente. Se il diritto si riduce all’utile ha un valore contingente ed accidentale e coincide, in fin dei conti, con la forza. L’utilità o l’interesse, in quanto tali, ignorano la giustizia; sono profondamente egoisti e cedono solo alla forza. Cfr. Regis Jolivet, Trattato di Filosofia, V, Morale (1), Morcelliana, Brescia, 1959, pp. 174-181)
[29] “Deus, qui est institutor naturae, non subtrahit rebus id quod est proprium naturis earum”"Detrahere perfectioni creaturarum est detrahere perfectioni divinae virtutis" Cfr. s.Thom.Aquin., Summa Contra Gentiles, II, 55; I, 3. Cfr. Atenagora, De Resurr., XII [Pertanto, se l’uomo non fu creato senza una causa e senza uno scopo ( poiché nessuna delle cose fatte da Dio è senza scopo, almeno secondo l’intenzione del Creatore), né per l’utilità dello stesso Creatore o di qualche altra creatura di Dio, è chiaro che, considerando la ragione prima e più generale, Dio ha fatto l’uomo per se stesso, per quella bontà e sapienza che è visibile in tutta la creazione] gšgonen ¥nqrwpoj (oÙdn g¦r tîn ØpÕ qeoà genomšnwn m£taion kat£ ge t¾n toà poi»santoj gnèmhn) m»te cre…aj ›neken aÙtoà toà poi»santoj À ¥llou tinÕj tîn ØpÕ qeoà genomšnwn poihm£twn, eÜdhlon Óti kat¦ mn tÕn prîton kaˆ koinÒteron lÒgon di' ˜autÕn kaˆ t¾n ™pˆ p£shj tÁj dhmiourg…aj qewroumšnhn ¢gaqÒthta kaˆ sof…an ™po…hsen Ð qeÕj ¥nqrwpon. “I Filosofi pagani (ton exothen tines) hanno immaginato cose meschine e indegne della magnificenza dell’uomo nel tentativo di innalzare il momento umano; hanno detto, infatti, che l’uomo è un microcosmo composto degli stessi elementi del tutto e con questo splendore del nome hanno voluto fare l’elogio della natura dimenticando che in tal modo rendevano l’uomo simile ai caratteri propri della zanzara e del topo, infatti anche in essi vi è la mescolanza dei quattro elementi perché certamente negli esseri animali si vede una parte più o meno grande di ciascuno degli elementi, senza i quali qualsiasi essere partecipe della sensibilità non ha natura per sussistere. Quale grandezza ha dunque l’uomo, se lo riteniamo figura e similitudine del cosmo? Di questo cielo che circonda, della terra che muta, di tutte le cose in essi comprese e che passano con ciò che le circonda? Ma in che cosa consiste, secondo la Chiesa, la grandezza dell’uomo? Non nella somiglianza con il cosmo, ma nell’essere ad immagine del Creatore della nostra natura” S. Gregorio di Nissa, L’Uomo,(De Hominis Opificio, PERI KATASKEUHS ANQRWPOU) Città Nuova, Roma, pp. 72-80, particolarmente 72-73. Cf. per un’altra discussione del tema, De Anima et resurrectione, in PG, XLVI, 28 B; cf. pure In Psalmos, in PG, XLIV, 440 C. Si è sempre tentato in tanti modi in Europa ed in Italia di attaccare la visione ontologico - metafisica della persona come soggetto unico ed irrepetibile “Distinctum subsistens in natura intellectuali” (s.Tomm. d’Aquino, Sum. Theol..I, q.29, aa.1-2.) “Id quod est perfectissimum in tota natura” riducendolo alla meteria, subordinandolo allo stato, alla razza, alla classe, dissolvendolo nello storicismo e nel nichilismo. C’è chi impone dall’alto con un dictat arbitrario, quando un essere umano è persona, attribuendosi lo jus vitae ac necis. Tutto questo avviene, mediante, criteri riduttivi di carattere pseudo-scientifico, che riducono la persona esclusivamente a soggetto di coscienza e di libertà. La persona è un in sé e per sé incomunicabile, un unicum et irrepetibile subjectum, di ordine ontologico-metafisico, di cui il costitutivo ontologico formale è la relazione sussistente o distinto sussistente, cioè il principum quod. Ora sia la coscienza che la libertà fanno parte del principium quo, (se si riducesse la persona solo a soggetto di libertà e di coscienza bisognerebbe sostenere che vanno esclusi: un bambino appena nato perché non è pienamente cosciente, un celebroleso perché non lo diventa mai, un addormentato, perché cessa di esserlo temporaneamente, ora nessuna autorità ha diritto di stabilire chi è persona e chi non lo è, perché non rientra nelle sue competenze. La persona umana è indisponibile, a qualsiasi manipolazione, nessuno può giudicare del valore di una vita, neppure della propria: cioè non è dell’uomo stabilire se una vita valga la pena di essere vissuta, in base a criteri di valore riduttivi ed arbitrari: il piacere, il dolore, la prestazione e l’utilità sociale. Tutto questo riflette una lettura univoca ed assoluta di un significato e di una finalità soggettiva , convenzionale, oppressiva, ora l’uomo trascende se stesso: è un microteos, per partecipazione.) pertanto “non si è uomini perché si è riconosciuti dagli altri come tali, ma perché si ha la natura umana, anche se gli altri lo negassero o non lo volessero riconoscere”( cfr. Vittorio Marcozzi, La liberalizzazione dell’aborto, in “La Civiltà Cattolica”, II (1971), pp. 21-22).
[30] Nota dottrinale circa le questioni …n. 2, p. 7.
[31] s.Giustino, I Apologia, II, 1 “A coloro che sono veramente pii e filosofi la ragione impone di onorare ed amare la verità, e di rifiutare la opinioni degli antichi nel caso che siano erronee: la retta ragione, infatti, non solo impone di non seguire chi predica contro la giustizia, ma obbliga anche chi ama la verità, in ogni modo e a costo della vita, persino sotto minaccia di morte, alla scelta delle cose giuste, sia nelle parole, sia nelle azioni “.
[32] Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, n. 34
[33] Giovanni Paolo II, Fides et Ratio, ed. Piemme, 1998, n. 27, p. 76.
[34] Tucilide, Historiae, Proemio, I, 22, 4.
[35] Sul principio di laicità occorre che ci spieghiamo rigorosamente: uno stato sanamente laico è uno stato che nelle scelte fondamentali si ispira ai valori emergenti della cultura dell'uomo. Senza privilegiare nessuna ideologia e nessuna fede religiosa lo stato moderno non può essere "confessionale" in nessun senso: non in senso religioso, per esempio cristiano o musulmano...; non in senso materialistico e ateo, per esempio marxistico; non in senso agnostico (Cf. positivismo, scientismo e strutturalismo) e nemmeno in senso laicistico. Intendiamo, con quest’ultima degenerazione ed ipertrofia, una particolare concezione del mondo e dell' uomo d'ispirazione immanentistica ed illuministica, che nega i valori trascendenti o li confina nel segreto della coscienza individuale, proclamando la dittatura dell’immanenza e l’assolutizzazione del contingente e del finito. Ovviamente, secondo questo principio non ci potranno essere "religioni di stato" o peggio “Lo Stato come Religione” (Cfr. L. Sturzo, Il Panteismo di Stato, in AA.VV., Le Eresie del Secolo, Assisi, 1952, pp. 107-122 “Sempre l’uomo ha fatto dello Stato un inferno, perché ha voluto farne il suo paradiso” F. Holderlin, Hyperion, I, in “Samtliche WerKe und Brief“, II, Lipsia, 1914, p. 43.). Questo però non vuol dire che si possa contestare o anche solo ignorare il fatto che il cattolicesimo è la religione storica del popolo italiano e la fonte preponderante della sua identità nazionale. Affermando la giusta e sana laicità dello stato, non si vuole affatto asserire che esso debba essere indifferente a qualsiasi norma etica. L'obbligo della verità e della moralità impegna anche lo stato laico: non già nel senso hegeliano della comunità politica creatrice di valori e di norme morali, ma nel senso che deve conformarsi alle esigenze di verità e di moralità che derivano dalla sua genesi, dalla sua struttura, dalla sua tradizione e dal suo fine quale servizio alla dignità della persona, secondo la retta ragione. (“Ma perché meravigliarsi? Forse non ci sono più idoli e non c’è più idolatria nei tempi moderni e nei popoli cristiani e civilizzati? Se non si chiamano più Giove e Moloch, i nostri idoli hanno nomi più seducenti: si chiamano Nazione, Stato, Libertà, Autorità, Repubblica, Monarchia, Razza, Classe. E se non si dà loro l’incenso profumato e non si danno riti ieratici ovvero occultistici, si ha l’altro incenso, ch’è più significativo, quello della lode infinita; e non mancano i riti civili che si vestono spesso di forme religiose. E’ vero: le idolatrie moderne sono religioni laicizzate, ma non mancano di santuari, di altari e di vittime. Dal culto della dea ragione in poi, in certi momenti frenetici, gli idolatri moderni sentono la nostalgia delle idolatrie antiche e il bisogno dell’imitazione dei riti del culto. Ma quello che soprattutto esigono sono le vittime; oggi le vittime immolate a queste divinità crudeli, nelle guerre civili e in quelle militari, sono superiori a quelle dei tempi d’Ifigenia; si contano a migliaia e a milioni” Cfr. Luigi Sturzo, Idolatria collettiva, in “El Matì”, 19 Dicembre 1933, in Id. Miscellanea Londinese, vol II, Bologna 1967, p. 286 . E. Gentile, Le Religioni della Politica, fra democrazie e totalitarismi, ed. Leterza, Roma-Bari, 2001, p. 104 “A tal fine, Voegelin distingueva fra “religioni ultramondane” e “religioni intramondane”, includendo, in questa seconda categoria, tutti i movimenti, anche quelli atei e ostili alla religione, che tuttavia manifestano “al fondo del loro comportamento [...] esperienze religiose, che venerano come sacro qualcosa di diverso rispetto alle religioni che essi combattono”. In tal modo, Voegelin non solo ampliò il concetto tradizionale del religioso, ma adoperò il termine di “religione politica” estensivamente, per definire varie forme di sacralizzazione del potere, dello Stato e della politica, dal mondo antico al mondo contemporaneo. Il nucleo centrale delle sue riflessioni riguardava la compenetrazione di religione e politica nei movimenti che costituivano una “comunità politica”: “la vita degli uomini all’interno della comunità politica non può essere circoscritta quale sfera profana” relativa a questioni di organizzazione e di potere, perché essa è “anche un ambito d’ordine religioso: e la conoscenza di una situazione politica è incompleta in un punto decisivo se non abbraccia le forze religiose della comunità ed i simboli nei quali quelle forze trovano espressione”. Voegelin collocava il problema della religione politica in un contesto storico millenario, entro il quale la novità e la specificità delle religioni totalitarie finivano con l’essere stemperate in un generico fenomeno di sacralizzazione del potere politico che includeva il culto del Faraone e le religioni totalitarie del XX secolo. “E. Gentile, Le Religioni della Politica, fra democrazie e totalitarismi, ed. Leterza, Roma-Bari, 2001, pp. 86-87.
[36] Siamo distinti e distanti, come cristiani, da ogni antropologia riduttivistica ed autarchica, che nega una fondazione trascendente ed una giustificazione teleologica ed assiologica. Ogni relativismo dissolutore della verità, diventa per la stessa ragione contraddittorio, i latini sostenevano tot capita tot sentenziae e Protagora “L’uomo è misura di tutte le cose”, oggi si sostiene che tutto è relativo, ma tranne che tutto è relativo, un argomento sofistico e capzioso, per corroborare la legge del più forte: non forza della verità, ma verità della forza, non forza della ragione, ma la ragione della forza, non forza del diritto, ma il diritto della forza. Sembra che Essa [scilicet. la Chiesa] sia la sola ed esclusiva causa di tutti i mali, l’unico atteggiamento che gli è consentito è la richiesta di perdono di fronte al mondo soprattutto al mondo laico o laicista, la si vuole in silenzio e ridotta alle sacrestie o meglio pronta a benedire ogni tipo di titanismo eccentrico, anzi a dichiarare solennemente, con una auspicata enciclica: L’Inutilis Deus e ivi il riconoscimento del moderno dogma laicista ed ateo dell’ “Homo Unicus Deus”
[37] “Per noi Dio è la misura di tutte le cose, assai più che non lo sia alcun uomo come si sostiene.. Nulla d’imperfetto è misura di cosa alcuna. La sottomissione a Dio è conforme a misura, quella agli uomini è invece fuori di ogni misura: ora per gli uomini di senno Dio è la legge, per gli uomini stolti Dio è il piacere.. Dio possiede in misura adeguata la scienza e la potenza per mescolare molte cose in unità e di nuovo scioglierle dall’unità in molte; ma non c’è nessuno degli uomini che sappia fare né l’una, né l’altra cosa, né ci sarà in avvenire” Platone, Leggi,  IV, 716,C, Rep. VI, 504c; Ep.,VIII, 354 E-355; Tim. 68 D 4-7“Dio è somma misura, somma proporzione, Sommo ordine... Misura suprema…Misura senza misura.. L’uno è il Padre della Verità” s. Agostino, De Gen.C. Manich., I,16,26; De Gen ad Lit.,IV,16,26; De Vera Rel., 43; Atti, 5,29“Oboedire oportet Deo magis quam hominibus”. Cfr.Plat., Apol. : Aqhna‹oi, ¢sp£zomai mn kaˆ filî, pe…somai d m©llon tù qeù À Øm‹n”; “Principio della superbia umana è apostatare da Dio " Sir.10,14
[38] Nota dottrinale, n. 2, p. 8-9: “La storia del XX secolo basta a dimostrare che la ragione sta dalla parte di quei cittadini che ritengono del tutto falsa la tesi relativista secondo la quale non esiste una norma morale, radicata nella natura stessa dell’essere umano, al cui giudizio si deve sottoporre ogni concezione dell’uomo, del bene comune e dello Stato”.
[39] Ci ricorda il film interpretato da G. Peck e L. Olivier, I ragazzi venuti dal Brasile, dove Mengele continua in America Latina le ricerche fatte nei campi di concentramento, ma l’obiettivo questa volta era davvero superlativo clonare Hitler.
[40] Oggi i capricci e gli istinti diventano diritti tutto è affidato alla brama di potere e di piacere è sempre bello scoprire nella migliore tradizione classica la coinonia con la rivelazione perché fede e ragione, natura e grazia non si oppongono: E un uomo ingegnoso, un siculo o forse un italico, parlando per immagini. mutando di poco il suono del nome, chiamò “orcio” questa parte dell’anima, perché seducibile e credula, e chiamò dissennati i non iniziati, e disse che la parte dell’anima di questi dissennati nella quale hanno sede le passioni, la quale è senza regola e senza ritegni, è come un “orcio forato”, intendendo raffigurare in questo modo la sua insaziabilità. E al contrario di quel che dici tu, Callicle, dimostra come di coloro che sono nell’Ade (così egli chiama l’invisibile) i più infelici siano i non iniziati, e come siano costretti a portare nello ”orcio forato” dell’acqua, con un “crivello”, esso pure forato. E il “crivello”, secondo quel saggio, come affermava chi me lo riferì, è l’anima: ed egli paragonava l’anima degli stolti a un “crivello”, in quanto è come bucata, perché non è capace di tenere nulla per la sua incredulità e smemoratezza. Queste immagini sono certamente un poco strane, ma esprimono bene quello che io ti voglio dimostrare, al fine di persuaderti, posto che ne sia capace, a cambiare parere e a scegliere, invece della vita intemperante e sfrenata, la vita bene ordinata, che è paga e soddisfatta di quello che si trova ad avere. Ma riuscirò, in qualche modo, a persuaderti a cambiare parere e a farti credere che sono più felici gli uomini ordinati che non gli uomini dissoluti, oppure, se anche ti narrassi molti altri miti simili a questo, non muteresti tuttavia parere? […] Socrate - Ebbene, io ti voglio riferire un’altra immagine, proveniente dalla stessa scuola di quelle di prima. Prova a riflettere sull’uno o sull’altro tipo di vita, quella cioè del temperante e quella del dissoluto, se ti pare di poterle paragonare alle condizioni di due uomini, ciascuno dei quali abbia molti orci, e l’uno di essi li abbia sani e pieni, rispettivamente, alcuni di vino, altri di miele, altri di latte e molti altri di altri liquidi, e che i liquidi contenuti in ciascuno di questi orci siano tutti preziosi e difficili da trovare. Ebbene, costui, una volta riempitili, non avrebbe più bisogno di versarvi altro liquido nè di darsene cura, ma potrebbe starsene tranquillo. Immagina, invece, che il secondo possa, sì, procurarsi i liquidi, ma sempre con difficoltà, e che, per di più, abbia i vasi bucati e consumati e che sia costretto a riempirli continuamente giorno e notte, per evitare le più gravi sofferenze. Ebbene, tale essendo la vita di ciascuno, di questi, dirai che è più facile la vita dello sregolato o che è, invece, più felice la vita del temperante? Dicendo queste cose ti persuado ad ammettere che la vita ordinata è migliore di quella dissoluta, oppure non ti persuado?
Callicle - Non mi persuadi, Socrate. Infatti, colui che ha tutti i vasi pieni non prova più alcun piacere, e si riduce, come poco fa ti dicevo, a vivere come una pietra, e dopo che ha riempito i suoi vasi, non ha più nè dolore nè piacere. Ma il piacere della vita consiste in questo: nel versare quanto più e possibile nei vasi.
Socrate - Ma, allora, non è necessario che, se molto si versa, molto sia anche ciò che viene perduto e che grandi siano i buchi per l’uscita?
Callicle - Certamente.
Socrate - Tu parli di una vita che è come quella del caradrio, ben altra di quella di un morto o di una pietra (E un uccello creato dall’immaginario greco, se non da Platone stesso, un immagine davvero emblematica: si tratta, infatti, di un uccello immaginato come voracissimo, al punto che continua a mangiare e ad evacuare senza posa.)(429C – 494B)
ed ancòra nel Timeo : “Per quanto riguarda, poi, la forma di anima che in noi è la più importante, bisogna rendersi conto di questo, ossia che il Dio l’ha data a ciascuno come un dèmone. E questa la forma di anima che noi diciamo che abita nella parte superiore del corpo e che dalla terra ci innalza verso la realtà che ci è congenere nel cielo, in quanto noi siamo piante non terrestri ma celesti. E questo che diciamo è giustissimo. Infatti, tenendo sospesa con la testa la nostra radice, proprio là da dove l’anima ha tratto la sua prima origine, la divinità erige tutto quanto il nostro corpo. Pertanto, colui che si dà da fare intorno ai piaceri e alle contese e si affatica per queste cose in modo eccessivo, necessariamente tutti i pensieri che nascono in lui sono mortali, e in tutti i sensi non gli manca nulla per diventare mortale per quanto più è possibile, perché ha fatto crescere appunto questa parte. Colui, invece, che si è dato cura dell’amore della conoscenza e dei pensieri veri, e ha esercitato.


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