domenica 15 aprile 2012

Dalla vecchiaia all’infanzia


Discorso n.53 di San Massimo di Torino (circa 350-423 d.C.)

Un grande e sublime dono, o fratelli, ci ha concesso Dio in questo salutifero giorno pasquale, nel quale il Signore, risorgendo, concesse a tutti la risurrezione e, salendo dalla profondità alle altezze, nel suo corpo innalzò pure noi dalle realtà inferiori a quelle di lassù. Secondo l’Apostolo, infatti, noi tutti cristiani siamo corpo di Cristo e sue membra. Se perciò Cristo è risorto, con lui sono necessariamente risorte le sue carni.
E veramente, mentre egli dagli inferi risale sulla terra, fa passare noi dalla morte alla vita. In effetti, il termine ebraico “pasqua” in latino vuol dire “passaggio” o “avanzamento”, appunto perché tramite questo mistero si passa dal peggio al meglio. È certo un utile passaggio il pervenire dai peccati alla giustizia, dai vizi alla virtù, dalla vecchiaia all’infanzia.
Infanzia, direi, non di anni, ma di semplicità, dato che anche i meriti hanno una loro età. Prima, infatti, eravamo prossimi alla morte per la vecchiaia dei peccati; una volta risorto Cristo siamo stati rinnovati nell’innocenza infantile. Anche la semplicità cristiana possiede una sua infanzia. Come, infatti, un bambino non è in grado di arrabbiarsi, non sa truffare, non ardisce vendicarsi, così l’infanzia cristiana non si adira con chi danneggia, non si oppone a chi depreda, non resiste a chi percuote. Da ultimo, come comandò il Signore, prega persino per i nemici; a chi toglie la tunica lascia pure il mantello; a chi percuote sulla guancia, offre anche l’altra.
Sennonché l’infanzia di Cristo è migliore di quella naturale in quanto questa non sa peccare, quella aborrisce il peccato; l’una è inoffensiva per debolezza, l’altra innocente per virtù. A suo merito va perciò ascritto non già che non possa fare il male, quanto che non vuole compierlo.
Come allora dicemmo, vi sono diverse età di meriti. In effetti, come nei fanciulli si riscontra una maturità morale, così negli anziani si trova l’innocenza dei bambini. Il fatto, poi, che anche nei giovani ci sia una maturità morale, lo afferma il profeta: “Una vecchiaia veneranda non è quella che dura a lungo, né si calcola dal numero degli anni; canizie infatti è la sapienza dell’uomo” (Sap 4, 8s).
Agli apostoli, poi, già maturi ed attempati, il Signore dice: “Se non vi mutate e non diventate come questo fanciullo, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18, 3). Li richiama alla loro origine, li spinge a ritornare all’infanzia in modo che, pur invecchiati in un corpo caduco, rinascano ad una condotta innocente, come dice il Salvatore.

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silvio

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