martedì 1 settembre 2009

Collegiale fracasso

«Oramai il giornale della Santa Sede [L’Osservatore Romano] è la eco del mondo. Nei primissimi tempi del Vaticano II la gente diceva: “Ci hanno cambiato la religione”. È proprio così: ci hanno cambiato la religione.»

Romano Amerio, Stat Veritas (Lindau, p.143)


L’affaire Boffo conferma nuovamente quello che La Stampa o Sandro Magister, ad esempio, hanno compreso a perfezione: non solo c’è uno scontro, pressochè eterno, tra Curia e Conferenza episcopale italiana (ma lo stesso problema si riscontra anche con altre Conferenze episcopali), ma anche all’interno stesso delle due istituzioni.

Appena scoppia un caso, i prelati cominciano un fracasso mediatico composto di dichiarazioni-fiume contrastanti tra loro e puntualmente smentite qualche ora dopo. Ormai l’andazzo è questo. L’immagine della Chiesa è quella di un pollaio petulante.

Da dove viene il male? Credo anche dalla “collegialità”, prassi democratica già ostacolata da Paolo VI durante e dopo l’ultimo Concilio. Ma, come già dicevo, la malattia è divenuta metastasi.

***

silvio

4 commenti:

lycopodium ha detto...

Mi rendo conto che quanto sto per dire potrebbe sembrare fuori target.
Spero cmq che non lasci indifferenti.

Si tratta di come la Chiesa italiana vuole pregare per almeno i prossimi 30 anni.
Non è cosa da poco! Chi ci tiene a restare cattolico dovrebbe vigilare.

Invece.
Ecco qui le “Cattive intenzioni dei traduttori (laodi)CEI”:
http://www.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_cei/2001-06/20-27/14notizsorci.doc

Vi sono le idee forza per la traduzione (?) e l’adattamento (?) della terza edizione italiana del Messale Romano.
In realtà non si tratta di “traduzione”, ma di vero e proprio” tradimento” e l’unico adattamento che è condotto è nel senso di una sorta di gnosi politicamente corretta.
Questa iconoclastia, che demolisce le espressioni tradizionali, è davvero preoccupante e smentisce, anzi va in totale controtendenza, con gli intendimenti papali di “riforma della riforma”.
L’intenzione del gruppo di studio della CEI di estirpare col napalm ogni (o quasi) riferimento sacrificale dalla liturgia è quanto di più antipapale e anticattolico ci sia.
Confesso che sono piuttosto sconfortato.
Comunque non dovrà passare sotto silenzio. Posso chiedere di lanciare l’allarme?

lycopodium

silvio ha detto...

Ma no, non è fuori target Lycopodium: hai fatto bene a ricordare questo aspetto. Grazie.
Una quantità di testi da ritradurre artificialmente nelle varie lingue moderne: non si capisce bene il motivo di tante cervellotiche perdite di tempo. A mio parere, era più che sufficiente il latino per tutti e, a parte (fuori della Messa), ci sarebbe stato tutto il tempo per approfondimenti esegetici, lectio divine nella propria lingua, ermeneutiche, studi teologici, ecc...
Tutto questo non può che aumentare il pandemonio e frammentare ulteriormente la Chiesa.
La musica cambierà, credo, quando e se sorgerà un Papa in grado di stringere di nuovo le redini con polso più che fermo.

quid ha detto...

Ma le Conferenze Episcopali sono così indispensabili?

silvio ha detto...

Già, questo è il punto. La questione comincia in Belgio nel 1830, quando a Malines si riuniscono i vescovi, fuori da un concilio o da un sinodo. Segue a ruota la Germania (1848).
In Italia diventa prassi quasi sul finire del XIX secolo. Il problema non è tanto la riunione dei vescovi, quanto il fatto che questa prassi si cristallizzi in epoca rivoluzionaria (Risorgimento) e non pochi prelati siano stati indotti all’equivoco di scambiare le riunioni sinodali o conferenziali in riunioni gravitanti attorno al principio della democrazia.
Il pericolo, insomma, non sono i Concili, ma il conciliarismo, che vede l’autorità del sinodo superiore addirittura a quella petrina (del Papa). E il pericolo non è nemmeno la riunione in sé, ma un’idea distorta di collegialità, respinta per fortuna da Paolo VI durante il Concilio Vaticano II (vedi nota praevia alla Lumen gentium).
Direi quindi che, a mio parere, le Conferenze Episcopali non sono affatto indispensabili. Possono essere utili in senso organizzativo, a patto di una risoluta rinuncia alle idee conciliariste.