venerdì 12 marzo 2010

Italia rassegnata e furba senza senso del peccato

Su la Stampa del 3 marzo u.s. Fabio Martini intervista l`autorevole sociologo Giuseppe de Rita, vale la pena di leggere l’intervista qui e fare qualche riflessione.
De Rita osserva che in generale ad una diffusa rassegnazione al malaffare, non corrisponda una efficace risposta, non scatta la molla e questo avviene secondo il sociologo per l’assenza di codici ai quali ubbidire. Sono i frutti nefasti del relativismo etico del soggettivismo imperante, del resto de Rita aveva già parlato di “coriandolizzazione della società”. A furia di frammentare, osserva, anche i reati sono diventati più piccoli e ognuno se li assolve come vuole. Assolversi come si vuole significa diventare pusillanimi ovvero più vigliacchi e paurosi di fronte alle conseguenze del male commesso, non assumendosi più alcuna responsabilità (l`aborto ne è un esempio, anche il divorzio).
De rita coglie pienamente l’inizio di questa illegalità diffusa con l’avvento di quella che noi chiamiamo “quarta rivoluzione” che non è altro se non il '68. che ha portato a quella stagione del soggettivismo etico, nessuna rivoluzione come il '68 ha favorito quello che si può definire, la "socializzazione" del peccato in ambito etico – morale, sfruttando proprio quegli alti valori morali sganciati dalla verità, usati autonomamente, soprattutto da uomini di grande carisma come il citato don Milani. Le virtù infatti se non dirette verso la Verità diventano un potente additivo al male, verità cristiane impazzite come direbbe Chesterton. Va chiarito altresì che la stagione del soggettivismo etico ha radici molto più profonde, nella prima rivoluzione protestante.
Quando De Rita afferma che la vecchia generazione politica si era formata sotto autorità etiche ben definite, richiama l’importanza che gli ambienti hanno nella formazione umana, contributo originale che Plinio Correa de Oliveira porta al pensiero controrivoluzionario. Ecco perchè quando parla della “singolare moralita’” della classe dirigente comunista che si era formata in galera si resta un po’ perplessi. In galera non si impara niente di buono, semmai questa singolare moralità era frutto di secolari radici cristiane. (Peppone e don Camillo, Guareschi insegna).
Infine sull`assenza di formazione di una vera classe dirigente e sullo scetticismo di un suo ricambio, non si può non pensare ai frutti maturi di un esasperato ugualitarismo che ha distrutto nel tempo le elites, e tra loro anche quella politica. La sola eguaglianza reale e auspicabile tra gli uomini non può risiedere né nella natura né nelle funzioni; può essere soltanto una «eguaglianza di convergenza». Ci sono soltanto due cose assolutamente comuni a tutti gli uomini: il loro nulla originale e il Dio che li ha creati. Se sono troppo deboli o troppo peccatori per unirsi nel culto di questo Dio, tendono invincibilmente a comunicare in quel nulla.
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roberto

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