giovedì 14 febbraio 2008

Sessantotto - 02

Pochi mesi orsono, parlai del famoso “abbaglio” di Tiziano Terzani che, in merito alla guerra cambogiana, affermava ingenuamente: «I Khmer rossi ci sembravano l’unica via d’uscita dall’incubo della guerra. Fossero arrivati loro a Phnom Penh, il conflitto sarebbe finito… Allora la pensavamo così».
Terzani uscì dall’allucinazione lentamente, ma alla fine realizzò che «i khmer rossi sono i figli ideologici di Mao Zedong» e che «[…] quello che i profughi mi dicevano erano solo i dettagli di un grandioso piano dell’orrore… Quel piano lo capii nella sua totalità solo col tempo».

Torna oggi a Parlare di Terzani, don Piero Gheddo su Avvenire con l’articolo dal titolo significativo “I Khmer rossi che Terzani non vide”.
E no, non li vide proprio, assieme alla ben nota «intellighentija occidentale, massificata e campionata dalla Scuola di Francoforte e da Gramsci» (come scrivevo).

Cosa videro invece Terzani e compagni?
Videro quello che l’ideologia manifestava in quegli anni: un mondo imperialista (nazista?) che voleva schiacciare la marcia vittoriosa del socialismo e del progressismo comunista mondiale.
Gheddo ricorda che gli epigoni dell’intellighentija occidentale «ai crimini dei comunisti non solo non ci credevano, ma non si potevano nemmeno raccontare!»

Bisognava cioè piegare i fatti all’ideologia, così come si usa ancora oggi.
Gheddo, quarant’anni fa, era uno dei missionari che viveveno sul posto ed ai quali non si credeva. Quando denunciava i crimini dei comunisti, veniva bollato dall’Unità come «un missionario finanziato dalla Cia».
E Terzani? Non poteva venire in aiuto della verità?
No. E Gheddo se lo chiede con dolore: «Ma non si capisce nemmeno perchè un giornalista come Terzani, in Vietnam come in Cambogia, non ha mai dato la minima attenzione a quei missionari che si trovavano sul posto da una vita. Se si fosse degnato di prendere contatto con i missionari francesi del Mep, avrebbe incominciato a capire qualcosa di quel genocidio».

Sono preoccupato oggi di chi parla come parlò Terzani. Non si rendono conto di consegnarsi al ridicolo dinnanzi alla storia. E non lo dico con ironia.
Di essi si farà un epitaffio simile a questo: «Terzani è stato certamente scrittore e giornalista di valore, ma come tanti altri anche uno degli illusi che esaltò i Vietcong e i Khmer rossi come “liberatori” dei loro popoli: solo anni dopo il fallimento inglorioso della loro “liberazione” incominciò a dire timidamente che si era sbagliato».
***
silvio

4 commenti:

Sivan ha detto...

Diamo atto che alla fine comunque capi` l`errore
roberto

Anonimo ha detto...

Spero che sia salvo in Paradiso.
E serva da esempio a quelli che adesso negano l'evidenza.

Anonimo ha detto...

Si alla fine ha ammeso l'errore, e tutto questo mi sembra molto umanao.

Anonimo ha detto...

Anche a me il personaggio Terzani non è mai piaciuto troppo. La sua autocritica sul Vietnam, e non solo sul comunismo in Cambogia, è stata tuttavia più volte da lui confermata. La sua critica all’uso delle bomba al napalm in Cambogia – se non ricordo male – è soprattutto un’umana, anche se generica condanna delle atrocità della guerra, senza nessuna presa di posizione ideologica troppo spinta. Ricordo una trasmissione televisiva dove c'era anche la Fallaci, e la cosa più sconcertante – ma anche rasserenante, da un certo punto di vista - è stato l'assistere a un duetto dove l'accusa di aver guardato alla guerra in Vietnam "con gli occhiali troppo rossi" ( parole testuali di Terzani) veniva rimpallata dall'uno all'altra e viceversa. Un mea culpa chiaro ed esplicito, quindi, che fa onore a tutti e due.
Nel suo libro scritto pochissimo tempo prima di morire, Terzani in realtà non fa nessuna professione di nostalgia per il comunismo, con il quale ha “brigato” troppo a lungo. Se vogliamo lui cerca di volare un po’più alto, proponendo un messaggio a tutto campo dove domina un personale e sereno appagamento spirituale, una riflessione molto intimistica sulla propria vita nella percezione dell'imminenza della fine, vissuta con interiore e "orientale" serenità dall'autore. Il libro è incentrato su un dialogo personale con il figlio Folco, in cui emergono riflessioni sui luoghi da lui visitati e la loro spiritualità, l'attenzione e il fascino per ciò che è diverso e il naturale intimismo di chi sente vicina la fine. Alla consapevolezza della morte delle ideologie si affianca la pena per l’allontanarsi dell’uomo da ogni fede, mitigata però dalla discesa nel profondo dell’”io”, di cui i viaggi e gli incontri con personaggi talvolta intriganti – anche spie, se non sbaglio - sono una metafora, nella consapevolezza della piccolezza di questo “io” di fronte al cosmo e al Grande Tutto. Una visione lontana da quella cristiana, senza dubbio. Ovviamente, l’eccessivo filo-orientalismo di Terzani, che criticava il corrotto’”Occidente” usufruendo allo stesso tempo delle comodità del bieco capitalismo ( non ultima quella di occupare un posto ambito e riverito al “Corriere della Sera”) e il suo ammiccare a tutti quelli che lo hanno sempre ritenuto una specie di guru, rendono un po’ stridente questa esperienza mistica di Terzani, da guardare a mio giudizio con moderata e umana simpatia.