Contributo di Chiara
Mantovani
Quando nel 1995 Giovanni Paolo II (1978-2005) pubblicò
l’enciclica “Evangelium vitae”, acquistò evidenza ciò che due decenni
dopo il suo successore, Benedetto XVI, avrebbe magistralmente sintetizzato
così: “oggi occorre affermare che la questione sociale è diventata radicalmente
questione antropologica”.
Giusto nell’autunno del 1995
mi accingevo a frequentare l’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica del
Sacro Cuore di Roma, senza immaginare che avrei appreso ben più di una serie
interessante di nozioni e che ne avrei ricavato un frutto umano e spirituale di
indimenticabile gusto e spessore. E mi apparve chiaro che appassionarsi ai temi
bioetici era un modo non irrilevante di svolgere un servizio, di aderire ad un
invito cui avevo personalmente già deciso di rispondere: contribuire – per la
infinitesima, eppure misteriosamente necessaria, parte che compete a ciascuno –
alla costruzione di una società in cui sia possibile una vita vera, giusta,
bella. Era così, per me, già delineato il legame tra Bioetica e Dottrina
Sociale. [leggi
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© Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân
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