«[…] la teologia, fin dal suo sorgere, è un fenomeno
specificamente cristiano, derivato dalla struttura stessa dell’atto di fede.
Solo per analogia - e in realtà per analogia impropria -, è possibile parlare
di teologia, al di fuori della fede biblica vetero e neo-testamentaria».
Due “riduzioni”:
«Nel primo caso, quando la teologia è ridotta a filosofia
delle religioni, possiamo parlare di una vera e propria “auto-limitazione”,
cioè di una teologia che rinuncia ad essere propriamente se stessa, snatura il
proprio compito e la propria identità, e si riduce ad una vaga filosofia delle
religioni, che relega il Cristianesimo ad una delle possibili percezioni del
reale, riducendolo – è il caso di dire – a trovarsi sullo stesso piano delle
altre religioni, rinunciatario a qualsiasi pretesa veritativa».
«Nel secondo caso - ed esso, purtroppo, è molto diffuso
anche in talune Facoltà teologiche -, assistiamo al tentativo di ricondurre il
lavoro teologico ad una minuziosa analisi di quanto è contenuto nei testi
storici, con, al più, una peculiare attenzione per quelli scritturistici. In
tal modo, tuttavia, è ugualmente tagliato il necessario rapporto tra fede e
Teologia, e quest’ultima si consegna definitivamente alla storia, all’imperante
storicismo, che è incapace di cogliere qualunque asserto definitivo ed universalmente
valido, e che, nel caso della Teologia, può risultare meno arido, perché
“spruzzato” qua e là di qualche riflessione vagamente filosofico-religiosa».
«Nel rapporto tra fede e teologia, infine, la prospettiva è
sempre quella analogica: la teologia non è un sapere, se non in ragione
dell’analogia, nello spirito della “maior dissimilitudo in similitudine”
(Lateranense IV, 125).
Solo l’analogia, infatti, è in
grado di tradurre, nelle intelligenze e nel linguaggio umani, il Mistero di
Dio, sempre più grande, o, traducendo il Lateranense IV, la differenza sempre
più grande della somiglianza».
© Zenit
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