lunedì 29 ottobre 2012

Dalla “Lectio Magistralis” del cardinal Mauro Piacenza


«[…] la teologia, fin dal suo sorgere, è un fenomeno specificamente cristiano, derivato dalla struttura stessa dell’atto di fede. Solo per analogia - e in realtà per analogia impropria -, è possibile parlare di teologia, al di fuori della fede biblica vetero e neo-testamentaria».

Due “riduzioni”:
«Nel primo caso, quando la teologia è ridotta a filosofia delle religioni, possiamo parlare di una vera e propria “auto-limitazione”, cioè di una teologia che rinuncia ad essere propriamente se stessa, snatura il proprio compito e la propria identità, e si riduce ad una vaga filosofia delle religioni, che relega il Cristianesimo ad una delle possibili percezioni del reale, riducendolo – è il caso di dire – a trovarsi sullo stesso piano delle altre religioni, rinunciatario a qualsiasi pretesa veritativa».

«Nel secondo caso - ed esso, purtroppo, è molto diffuso anche in talune Facoltà teologiche -, assistiamo al tentativo di ricondurre il lavoro teologico ad una minuziosa analisi di quanto è contenuto nei testi storici, con, al più, una peculiare attenzione per quelli scritturistici. In tal modo, tuttavia, è ugualmente tagliato il necessario rapporto tra fede e Teologia, e quest’ultima si consegna definitivamente alla storia, all’imperante storicismo, che è incapace di cogliere qualunque asserto definitivo ed universalmente valido, e che, nel caso della Teologia, può risultare meno arido, perché “spruzzato” qua e là di qualche riflessione vagamente filosofico-religiosa».

«Nel rapporto tra fede e teologia, infine, la prospettiva è sempre quella analogica: la teologia non è un sapere, se non in ragione dell’analogia, nello spirito della “maior dissimilitudo in similitudine” (Lateranense IV, 125).
Solo l’analogia, infatti, è in grado di tradurre, nelle intelligenze e nel linguaggio umani, il Mistero di Dio, sempre più grande, o, traducendo il Lateranense IV, la differenza sempre più grande della somiglianza».

© Zenit

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