«Altrettanto palese, quale origine e scopo del vestito, è l'esigenza naturale del pudore,
inteso sia nel significato più largo, che comprende anche la dovuta
considerazione per l'altrui sensibilità verso oggetti ripugnanti alla vista;
sia soprattutto come tutela della onestà
morale e scudo alla disordinata sensualità».
«È quindi giusto che la
pudicizia, quasi depositaria di beni così preziosi, rivendichi a se una autorità prevalente sopra ogni altra tendenza o
capriccio, e presieda alla determinazione delle fogge di vestire».
«[…] non è lecito però di arguire che il cristianesimo esiga
quasi un'abiura assoluta del culto o cura della persona fisica e del suo
esterno decoro. Chiunque concludesse in questo senso, dimostrerebbe di aver
dimenticato quanto scriveva l'Apostolo delle Genti: “Le donne si ornino di abito decente con verecondia e modestia” (1 Tim. 2, 9)».
«Ma il cristiano, autore o cliente che sia, si guarderà dal
far poco caso dei pericoli e delle rovine
spirituali, seminate dalle mode
immodeste, specialmente pubbliche, per quella coerenza che deve esistere
tra la dottrina professata e la condotta anche esterna. Egli ricorderà
l'elevata purezza che il Redentore esige dai suoi discepoli, anche negli
sguardi e nei pensieri; e ricorderà altresì la severità dimostrata da Dio coi
seminatori di scandali. Può essere, a proposito, richiamata alla mente la forte
pagina del profeta Isaia, ove si vaticina l'obbrobrio destinato alla città
santa di Sion per l'impudicizia delle sue figlie (cfr. Is. 3, 16-24); e
l'altra in cui il sommo Poeta italiano esprimeva, con parole roventi, la
propria indignazione per la inverecondia serpeggiante nella sua città (cfr. Purg. 23, 94-108)».
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silvio
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