di Inos Biffi
Ai sette sacramenti istituiti
da Cristo appartiene la riconciliazione del peccatore pentito che riceve il
perdono divino mediante il ministero della Chiesa, che ha assunto diverse
modalità nel variare dei tempi, la più evidente delle quali è stata il passaggio
dalla forma pubblica della penitenza a quella privata. della penitenza a quella
privata.
In realtà le componenti
essenziali del sacramento non sono mutate: il pentimento per la colpa grave, il
proposito di evitarla, l’impegno di ripararla, quindi l’assoluzione della
Chiesa e la rinnovata e piena comunione ecclesiale. Ma se questi sono i termini
del sacramento, il suo esercizio, specialmente con la penitenza privata, ha
portato con il ministro del sacramento un tipo di rapporto non riducibile alla
semplice assoluzione preceduta dalla confessione. Facilmente l’ambito della
confessione segna il luogo e l’occasione tra penitente e confessore di un
dialogo e di un confronto preziosi e insieme estremamente delicati, rientranti
d’altra parte nel compito della «cura d’anime», per usare l’espressione della Regula pastoralis di Gregorio Magno, che
definisce «la guida delle anime» «l’arte delle arti» (I, 1).
Senza dubbio, la
riconciliazione sacramentale non va confusa con una seduta psicanalitica, così
come va nettamente distinta la figura del confessore rispetto a quella dello
psicologo. Il primo è chiamato a essere il ministro della grazia divina per il
penitente; il secondo si propone di guarire lo spirito malato di un paziente.
Com’è noto, la tradizione cristiana e non solo cristiana conosce la figura
della guida spirituale. Una volta si parlava di “direttore ”spirituale; oggi
sembra sia diventato affatto sconveniente parlare di direttore, perché
equivarrebbe ad ammettere una specie di dominio che compromette dall’esterno la
libertà all’anima.
È senza dubbio possibile
un’ingerenza indebita e si può anche riconoscere che questo sia avvenuto; in
ogni caso, il pensiero va non solo ai grandi direttori e maestri di spirito che
hanno illustrato la storia della Chiesa, che furono guide sapienti di anime
eccezionali, ma anche ai tanti illuminati confessori che hanno indirizzato e
sostenuto il cammino interiore di numerosi fedeli. Anche al riguardo, vanno
chiaramente distinti il ministero dell’assoluzione della colpa e il carisma
della direzione spirituale. E, d’altra parte, lo stesso incontro sacramentale
si accompagna normalmente nel confessore all’esercizio di alcune delle opere di
misericordia spirituale, come il consiglio, l’insegnamento, l’ammonizione, il
conforto, miranti a rinfrancare e a illuminare il penitente, e con cui, per
usare ancora le parole di Gregorio Magno, si assolve l’impegno della «cura
delle anime».
Ma a questo punto appare
chiaro che, se per l’assoluzione basta che il confessore ne abbia la facoltà,
per que-sta cura d’anime occorre che egli sia provveduto di un corredo di
capacità e di doti che non s’improvvisano e che possiamo ravvisare nella
maturità di giudizio, nella prudenza, nella preparazione dottrinale, nella
discrezione, nell’affidabilità, nel senso di responsabilità, e anche nella
pazienza, che sa attendere e che si guarda dal caricare il penitente di un peso
che al momento non potrebbe portare. Ovviamente, senza cedere per ciò a nessuna
forma di relativismo dottrinale. Il farlo sarebbe un inganno per la coscienza
del penitente stesso. Vien da dire, allora, che non è sufficiente la santità
personale. Secondo san Tommaso, quando si tratta di affidare la prelatura, non
si deve considerare unicamente la santità: «È possibile, egli scrive, che a
colui che è più perfetto riguardo alla carità, manchino diverse qualità che
sono invece richieste perché si sia dei prelati idonei, e che si trovano invece
in chi possiede minor carità, come la scienza, l’operosità, l’energia, e altre
doti del genere» (Quaestiones
quodlibetales, 4, c).
Analogamente si può dire di
chi, nel ministero del perdono, si fa guida con l’esercizio delle opere di misericordia
spirituale. Da qui la necessità di un’accurata e seria formazione, e forse
selezione, della figura del confessore, perché sia in grado di edificare la comunità
cristiana, certo fermo restante che l’insostituibile maestro interiore delle
anime è pur sempre lo Spirito Santo.
2 commenti:
Leggo,apprezzo e continuo a non capire. Mi pare che questo articolo di Biffi sia puro fumo, nel senso di costruzione basata su presupposti irreali,come se esistessero i confessori, come se ci fosse da qualche parte un "direttore d'anima" come mi pare si dicesse una volta. Se chiedo a un prete di essere confessato come minimo mi rimanda all'orario esposto nella tabella fuori, e poi e poi. Il papa senza mozzetta e scarpe rosse non mi scandalizza,tuttaltro, però è il simbolo di una chiesa ciabattona non nelle apparenze esteriori ma nei valori e significati profondi, di cui la trascuratezza della confessione, pardon del sacramento della riconciliazione, prima da parte dei preti e di conseguenza dai fedeli, costituisce un grave sintomo.
Biffi parla purtroppo di una Chiesa ideale o dei tempi che furono...
Su questo punto sto vivendo un dramma personale, perché entro in Chiesa e trovo sempre la donna delle pulizie. Del prete manco l'ombra. Nè in confessionale, nè sulle panche.
Finora nessun Papa recente, mi sembra, ha tuonato perché i preti tornino non dico alla cura d'anime, ma almeno in confessionale.
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