Francesco avrà due
missioni: il Sudamerica e la Curia Perché avevo previsto questo esito del
Conclave
di Vittorio Messori
Mi scuso di cominciare con un episodio personale. Ma, come
si vedrà, sullo sfondo c'è un problema molto grave che riguarda la Chiesa
intera e con il quale, dunque, Francesco dovrà confrontarsi in modo
prioritario. Spero dunque mi sia perdonato l'apparente personalismo.
Nel mese trascorso dalla fatidica ricorrenza di Nostra
Signora di Lourdes, l'11 febbraio, innumerevoli colleghi sia italiani sia
stranieri mi hanno chiesto una previsione sul cardinale che i confratelli
avrebbero eletto come successore di Benedetto XVI. Sempre, senza eccezione, mi
sono schermito, a nessuno ho risposto, ricordando che a un cristiano non è
lecito tentare di rubare il mestiere allo Spirito Santo; e rievocando episodi,
vissuti di persona nella redazione dei giornali, in cui le indicazioni dei
papabili da parte degli esperti erano state regolarmente smentite. Per questo
motivo, pur scusandomi, non ho partecipato a quella sorta di divertissement dei
colleghi del Corriere che, sorridendo, hanno indicato ciascuno una loro terna.
Ho fatto una sola eccezione al riserbo che mi era imposto
con un collega - che è anche un vecchio amico e col quale ho scritto un libro
sulla fede - Michele Brambilla, ora a La Stampa ma formatosi in questo nostro
quotidiano e buon conoscitore dei problemi religiosi. Chiedendogli di tenere
per sé la cosa, sino a Conclave concluso, gli ho proposto scherzosamente di
farmi da notaio e gli ho affidato un nome, uno soltanto: Jorge Mario Bergoglio,
arcivescovo di Buenos Aires. L'amico collega mi ha telefonato anche ieri, sotto
il diluvio di piazza San Pietro dove attendeva la fumata e mi ha ricordato
quella previsione, chiedendomi se la confermavo: gli ho detto che mi sembrava
di poterlo fare. Michele mi ha ricordato che Bergoglio non era tra coloro che
la maggioranza dei colleghi dava come papabile: almeno in questo Conclave,
mentre in quello che elesse Joseph Ratzinger pare sia stato colui che ebbe il
maggior numero di voti dopo l'eletto. Ma otto anni sono passati, il cardinal
Bergoglio ha ormai 76 anni, tutti attendevano un Papa nel pieno delle forze. Un
limite che qualcuno aveva fissato sotto i 65 anni. Tra l'altro, sarebbe stato
il primo gesuita a divenire Papa, dignità alla quale la Compagnia non ha mai
mirato, secondo la raccomandazione del fondatore Ignazio. Eppure, insistetti su
quella candidatura argentina.
Doti da indovino, confidenze del Paraclito, collegamenti
occulti con le Sacre Stanze cardinalizie? Macché, non facciamola grossa, solo
un poco di conoscenza della realtà della Chiesa attuale. Avevo infatti spiegato
all'amico: «In Conclave, dove si conosce la condizione della Chiesa nel mondo
intero, si potrebbe decidere per una scelta «geopolitica», come fu per Karol
Wojtyla. Una scelta fortunata: non soltanto si ebbe uno dei migliori
pontificati del secolo, ma si gettò nel panico la Nomenklatura dell'Unione
Sovietica e di tutto l'Est che prevedeva guai, da un Papa polacco. Non
sbagliava nello spaventarsi. In effetti, vennero Walesa, Solidarnosc, i
cantieri Lenin di Danzica, gli scioperi operai che per la prima volta un regime
comunista non osò reprimere nel sangue. Fu quella la crepa che, allargandosi,
alla fine fece cadere tutti i muri dell'Impero. Ma nulla sarebbe stato
possibile senza un Pontefice polacco, e di quale tempra e prestigio!, che
sorvegliava e consigliava dal Vaticano». Ebbene, continuavo nel ragionamento,
oggi una scelta geopolitica potrebbe rivolgersi in due direzioni: chiamare alla
cattedra di Pietro il primo cinese nella storia che partecipi a un Conclave,
l'arcivescovo di Hong Kong, John Tong Hon. Il panico, stavolta, non sarebbe a
Mosca o a Varsavia ma a Pechino, nella capitale della superpotenza del futuro,
dove il governo - non potendo estirpare i cattolici, coriacei alle persecuzioni
- ha tentato di creare una Chiesa nazionale, staccata da Roma, nominando
persino i vescovi. E i credenti fedeli al Papa sono ridotti alla clandestinità.
Come continuare a tenerli nelle catacombe o nei lager, con uno dei loro
divenuto Papa?
Ma la Chiesa non ha mai fretta, giudica secondo i tempi
delle «lunghe durate», come dicono gli storici degli Annales, il turno della
Cina verrà probabilmente in un prossimo Conclave allorché, come capita in tutti
i regimi totalitari, il sistema comincerà il declino e sarà indebolito, pronto
per il colpo di grazia. E in questo, di Conclave? In questo, pensavo, c'era
spazio per un'altra scelta geopolitica e stavolta davvero urgente, anzi
urgentissima, anche se in Europa non si conosce la serietà dell'evento.
Succede, cioè, che la Chiesa romana sta per perdere quello che considerava il «Continente della speranza», il
Continente cattolico per eccellenza nell'immaginario comune, quello grazie al
quale lo spagnolo è la lingua più parlata nella Chiesa. Il Sudamerica, infatti,
abbandona il cattolicesimo al ritmo di migliaia di uomini e donne ogni giorno.
Ci sono cifre che tormentano gli episcopati di quelle terre: dall'inizio degli
anni Ottanta ad oggi, l'America Latina ha perso quasi un quarto di fedeli. Dove
vanno? Entrano nelle comunità, sette, chiesuole degli evangelicals, i pentecostali
che, inviati e sostenuti da grandi finanziatori nordamericani, stanno
realizzando il vecchio sogno del protestantesimo degli Usa: finirla, anche in
quel Continente, con la superstizione «papista». Occorre dire che i grandi
mezzi economici di cui quei missionari dispongono attirano i molti diseredati
di quelle terre e li inducono a entrare in comunità dove tutti sono sorretti
anche economicamente. Ma c'è pure il fatto che le teologie politiche dei
decenni scorsi, predicate da preti e frati divenuti attivisti ideologici, hanno
allontanato dal cattolicesimo quelle folle, desiderose di una religiosità viva,
colorata, cantata, danzata. Ed è proprio in questa chiave che il
pentecostalismo interpreta il cristianesimo e attira fiumane di transfughi dal
cattolicesimo. Dunque, i padri del Conclave probabilmente avrebbero valutato
l'urgenza di un intervento, secondo un programma proposto e gestito da Roma
stessa, insediandovi come Papa uno di quel Continente.
Ma l'emorragia riguarda soprattutto il Brasile e l'America
delle Ande: perché, se Papa sudamericano doveva essere, perché un argentino, un
arcivescovo di un Paese meno toccato dalla fuga verso le sette? Probabilmente
ha giocato il fatto che il cardinal Bergoglio (a parte l'alta qualità
dell'uomo, la preparazione teologica, l'esperienza) è al contempo
iberoamericano ed europeo. La sua è una famiglia di immigrati recenti
dall'astigiano, l'italiano è la sua seconda lingua materna: poiché per la
Chiesa non sono urgenti solo i problemi di oltreatlantico ma anche quelli di un
riordino energico della Curia, occorreva un uomo che sapesse fronteggiare certe
situazioni vaticane. Insomma, non una predizione la mia, un semplice
ragionamento. Molti altri ragionamenti saranno necessari, a cominciare dalla
scelta del nome, Francesco, inedito nella storia del papato. Ma l'ora è tarda,
il tempo stringe. Ci sarà tempo per riprendere il discorso.
© Corriere della Sera
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