di Silvio Brachetta
Papa Francesco, nella sua prima
udienza generale, è tornato sulla verità teologica e magisteriale secondo
cui Gesù Cristo «uscì» da se stesso per la salvezza dell’uomo.
Gli ultimi due Pontefici si erano già espressi sull’arcana
«uscita» del Figlio dal Padre. Giovanni Paolo II, ad esempio, nell’udienza
generale del 24 giugno 1987, riproponeva le parole di Gesù stesso trascritte
dall’Evangelista san Giovanni: «[…] da Dio sono
uscito e vengo e non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato» (Gv
8, 42); «[i miei discepoli] sanno veramente che
sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato» (Gv 17, 8). San
Girolamo, nel compilare la Vulgata,
utilizza per il passo di Gv 8, 42 la categoria teologica della «processione» - procèdere, dal lat. pro (davanti) e cèdere
(ritirarsi), ovvero “uscire”, “nascere” - e per il passo di Gv 17, 8 usa
direttamente il verbo exire (uscire,
appunto).
Benedetto XVI, all’Assemblea speciale per il Medioriente del
Sinodo dei Vescovi (11 ottobre 2010), affermava che «Dio non è rimasto in sé: è
uscito da sé», unendosi con l’uomo, in Gesù. Il papa stava parlando
dell’incarnazione e, in particolare, del ruolo peculiare della Theòtokos, della Santa Vergine Madre di
Dio.
Allo stesso modo, Papa Francesco ha invitato tutti a uscire
da noi stessi «come Gesù, come Dio è uscito da se stesso in Gesù». Gesù infatti
- ha precisato - «è uscito da se stesso per tutti noi», non per una qualche
necessità, ma nella libera donazione amorosa di se.
San Paolo, nel celebre inno cristologico della Lettera ai
Filippesi, affermò che Gesù Cristo «exinanivit semetipsum» (sempre secondo
la Vulgata di san Girolamo) - cioè
«spogliò», «annientò» o «svuotò se stesso» - «assumendo la condizione di servo»
(Fil 2, 7). In quell’«exinanivit» è contenuto il mistero
della povertà divina: sebbene «exinanivit» potrebbe tradursi con
«si rese inane, inutile», l’attenzione va posta primariamente sul termine
latino «ex», che richiama alla mente
l’azione o l’operazione dell’«uscire» o del «trarre fuori».
Ma se la generazione del Figlio fu opera del Padre, come si
può dire che il Figlio ci ha amato? Leggendo san Paolo - spiega sant’Agostino
d’Ippona - vediamo «che la nascita del Figlio fu
opera del Padre, ma poiché fu proprio il Figlio che “spogliò se
stesso assumendo la condizione di servo”, vediamo che la nascita del Figlio fu anche opera dello stesso Figlio»
(Discorso LII). È uno dei misteri più grandi, nascosto in Dio dall’eternità.
Eppure dinnanzi all’umiliazione del Cristo, non possiamo che
convenire con sant’Agostino: «Estremo
abbassamento! Cristo volle umiliarsi: è a tua disposizione, o cristiano, quel
che devi far tuo» (Discorso CCCIV).
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