di Cristina Siccardi
Ma come si è ridotto a vivere e a morire l’uomo del nostro
tempo? Vive morendo e muore vivendo: è un omicidio continuo, attraverso
l’aborto; attraverso la strage della ragione e l’annientamento della fede;
attraverso l’eutanasia.
Perversità e vizio sono diventati i pilastri di questa
civiltà che, rinnegando la sua matrice cristiana, si va autodistruggendo.
Abbandonato Dio, l’uomo è in balia del grande Tentatore, che si contorna di
depravazione, corruzione e dissolutezza, dando in pasto le sue vittime al caos
e alla disperazione. Dove «si andrà se continua a
predominare il soddisfacimento di sé, la ricerca di sé e del proprio
appagamento, checché ne deriva agli altri e soprattutto ai più indifesi come i
bambini?», una
cultura siffatta genera una «guerra tra il soddisfacimento
senza futuro e la voglia di vivere per soddisfarmi ancora. Una divisione
interna alla persona è alla radice d’ogni altra oppressione» (pp.
21-22), parole amare, parole crude, parole sagge che leggiamo nel bel libro di
Padre Serafino Lanzetta F.I. dal titolo Avrò cura di te. Custodire la
vita per costruire il futuro (pp. 140, € 12.00); un libro che
rientra nella importante collana di Fede & Cultura «I libri del ritorno
all’ordine», diretta da Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro.
Il corpo è idolatrato, ma nel contempo viene soppresso prima
del suo iniziale vagito al mondo. Siamo nell’era delle più assurde ed illogiche
contraddizioni, dove le azioni politiche hanno la volontà di sovvertire ciò che
è secondo natura: «Le politiche non hanno più niente di politico e gli obiettivi più
caldeggiati sono appunto quelli della sfera dei valori morali della persona.
Perché? Si desidera una rivoluzione non delle sfere dell’amministrazione del
bene pubblico ma del concetto stesso di bene e di male, un suo ridisegnamento»
(p. 27). L’obiettivo è quello di ribaltare i principi fondamentali della vita e
della convivenza: molti figli di questa ideologia, per esempio, non dovranno
più avere un padre ed una madre come da normalità, ma un genitore A ed un
genitore B, come il copione di un film dell’horror.
Può essere ben fiera la rivoluzione culturale sessantottina:
i suoi risultati sono andati ben oltre le sue stesse aspirazioni. Dal canto suo
la Chiesa non è più riuscita ad incidere sulla cultura e sulle coscienze: con
il “dialogo” e l’“aggiornamento” ha sempre più inseguito il consenso mediatico
e virtuale, perdendo di vista la sua reale identità. La persona non è più fatta
a immagine e somiglianza di Dio, ma ad imitazione del demonio; si ribella,
dunque, al Creatore e con la superbia si fa beffe dell’Amore Infinito e della
salvezza della propria anima. Con la superbia Lucifero scelse di perdere amore,
bontà, bellezza; oggi, con la superbia, l’uomo sceglie di essere divorato dalle
fauci del peccato a tutti i costi, chiamandolo «diritto» e «dignità». Ma come destare l’umanità occidentale da
questo immane inganno? «Bisogna ripartire (…) dalla
verità. Altrimenti ci autodeterminiamo a essere sterili, a vedere una Chiesa
che si autocondanna a prendere il primo posto nei dibattiti pubblici ma che ha
smarrito la sua identità. Dobbiamo ripartire da questa consapevolezza: la
verità è per ognuno e il Vangelo è la salvezza di tutti gli uomini»
(p. 33).
Non c’è altro metodo, per condurre questa folle e peccaminosa
società del XXI secolo al rinsavimento e alla salvezza, che la volontà
missionaria, quella che vestirono i primi Apostoli sul comando di Cristo. Si
parla di «nuova evangelizzazione»; ma essa, in questi tempi di
dissoluzione e decomposizione, deve essere eroica, altrimenti sarebbe
vanificata. Ha detto nell’omelia papa Francesco il 14 aprile scorso nella
basilica di San Paolo fuori le mura: «Non si può pascere il gregge di
Dio se non si accetta di essere portati anche dove non vorremmo, senza riserve,
senza calcoli, a volte anche a prezzo della nostra vita».
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