Frascella racconta con garbo l'alienazione e la
solitudine del disagio psichico. Spesso incompreso
di Massimiliano Parente
Quando qualcuno dichiara di
essere depresso l'interlocutore di norma gli domanda «perché?», mentre nessuno
lo chiede se ti senti felice, anche perché hai paura di sentirti dire cose che
ti deprimono.
È anche per questo che
l'infelicità genera romanzi interessanti, la felicità solo stronzate: è facile
immaginare un genio depresso, difficile immaginarne uno felice. Nella
depressione oltretutto spesso il mondo appare senza veli, lo spiegava bene già
Leopardi: la lucidità è impossibile da sostenere, abbiamo un costante bisogno
di illusioni. Condizione confermata dalle odierne neuroscienze e dalla biologia
evolutiva: il nostro cervello produce continuamente finzioni, per proteggerci
da una visione troppo oggettiva delle cose.
Confesso che ero molto
sospettoso del nuovo romanzo di Christian Frascella, dedicato agli attacchi di
panico dell'omonimo protagonista, che lavora in fabbrica, a Torino, alla catena
di montaggio della Fiat. Poiché ci sono due tipi di luoghi comuni sulle
patologie mentali: sono la malattia dei ricchi, oppure sono la malattia dei
poveri, nei Paesi ricchi. Tra l'altro è un libro targato Einaudi, bellissima e
storica casa editrice ma con inguaribili tendenze sociologiche per quanto
riguarda la narrativa italiana, e temevo che Frascella la buttasse sul panico
da crisi economica.
E invece un cavolo: Frascella
è il nuovo Giuseppe Berto, e Il panico
quotidiano è il degno upgrading
de Il male oscuro. Tra l'altro, probabilmente per coincidenza, come nel romanzo
di Berto anche nel romanzo di Frascella il padre del narratore è malato di
cancro all'intestino. Ma il parallelismo a Berto è solo un richiamo obbligato:
piuttosto c'è un senso esistenzialmente kafkiano nell'insorgere improvviso
della malattia.
Come Gregor Samsa si
risveglia scarafaggio, Frascella si ritrova da un momento all'altro nell'essere
in preda a una paura senza nome, incomprensibile, un mostro che lo divora
dall'interno e che raccoglie scarsa solidarietà: nessuno ti capisce. È sentirsi
la morte addosso, dentro, ovunque, un buio che ti inghiotte, ti toglie il
respiro. Inoltre il panico genera panico: «La parte peggiore non erano tanto le
crisi di panico, quanto l'attesa dell'eventualità che si verificassero. Il che
generava una continua confusione, perché l'attesa del panico era già una forma
di panico. Come il cane che si morde la coda, se non ti curavi continuavi a
girare su te stesso: paura, paura della paura, paura della paura della paura».
Così Christian in breve tempo si trasforma in un'altra persona. Isolato sul
posto di lavoro, dipendente da psicotici e benzodiazepine, rinchiuso in casa,
sarà lasciato solo anche dalla fidanzata: chi soffre di attacchi di panico fa
un po' rabbia, quasi fosse colpa sua. È come con la depressione: perché sei
depresso? Idem per l'attacco di panico: di cosa hai paura?
È in fondo un'altra delle
grandi illusioni della nostra coscienza: avere il pieno controllo delle proprio
stato mentale, rifiutare la realtà organica, materiale, meccanica, del nostro
cervello. Che per la maggior parte lavora a nostra insaputa, sotto i pochi
millimetri della neocorteccia prefrontale. Talvolta, come racconta Frascella,
scatta addirittura la paura del contagio, e il malato viene trattato da
appestato: «Appena accennavo al mio problema, ecco che l'atteggiamento nei miei confronti
cambiava radicalmente. Subentrava la diffidenza, avevano paura che il mio
problema li intaccasse, sporcasse,
rovinasse - che, frequentandomi, si esponessero al rischio. Loro e chi gli
stava vicino». Un terrore della contaminazione sintomatico proprio di una
mancanza di consapevolezza popolare sugli equilibri chimico-fisici alla base
dei nostri stati d'animo, quasi che la malattia mentale potesse insorgere per
suggestione.
Invece basterebbe pensare a
cosa sarebbero perfino l'amore e il sesso senza l'attivazione dei
neurotrasmettitori giusti; la depressione e gli attacchi di panico sono l'altra
faccia di una medaglia neurologica molto complicata. Io non soffro di attacchi
di panico ma, dopo aver letto questo bel romanzo di Frascella così
magistralmente in bilico tra la commedia e la tragedia, sono corso ai ripari e
ho detto al mio medico: se non puoi darmi Selvaggia Lucarelli, dammi almeno un
po' di dopamina.
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