di Inos Biffi
Col suo sottrarsi alla
visione sensibile dei discepoli, il Signore Gesù non si allontana da loro; così
come, oltrepassando la condizione della vita terrena, non abbandona il mondo
attuale. La gloria non lo pone fuori della storia. Al contrario, è proprio la
gloria a renderlo ancora più potentemente e intimamente presente e operante
nell’umanità e nell’universo.
Non c’è luogo o tempo, ormai,
che non sia sovrastato e compreso dal Risorto. Lo stato glorioso non è un
prolungarsi del tempo all’indefinito; è, invece, il superamento della
dimensione scandita dai ritmi temporali, che si trovano ora interamente inclusi
e attratti dal Cristo asceso al cielo, al quale appartiene «ogni potere in
cielo e sulla terra» (Matteo 28, 18).
Da questa ascensione di Gesù
al cielo viene la possibilità dei sacramenti, dove si ritrova e si dispiega una
delle forme più intense e forti della sua presenza. L’economia sacramentale è
tutta pervasa dall’attuale signoria di Gesù, unico e universale principio di
salvezza. I santi segni sono efficaci di grazia perché egli invisibilmente ne è
l’“attuale” e principale celebrante.
Sia Ambrogio, sia Agostino e
poi Tommaso d’Aquino insistono su questa interiore presenza di Cristo che
conferisce valore ai sacramenti. Ambrogio in una notte pasquale affermava: «A
battezzare non sono stati né Damaso né Pietro né Ambrogio né Gregorio
[Nazianzeno, ri-spettivamente vescovi di Roma, Alessandria, Milano e
Costantinopoli]: nostro è il servizio, tuoi sono, o Signore, i sacramenti» (De Spiritu Sancto, 1, prol., 17). Ossia:
sei tu a conferire ai nostri gesti esteriori un intimo valore sacramentale, efficace
di grazia.
Agostino parla del «Cristo
che battezza non con un ministero visibile, ma con la grazia occulta, con
occulta potenza nello Spirito Santo» (Contra
litteras Petiliani, 3, 49, 59), e afferma: «Siano Pietro, o Paolo, o Giuda
a battezzare, in realtà colui che battezza è sempre Cristo» (cfr. In Iohannis euangelium tractatus, 6, 7).
Tommaso scrive: «È Cristo che
principalmente e interiormente battezza» (Super
1 ad Corinthios, 1, 2, n. 28), così come - il testo è attinto dallo pseudo
Crisostomo - nell’Eucaristia «è ora presente anche Cristo: colui che ha ornato
la mensa [del cenacolo], è lo stesso che consacra anche questa mensa» (Catena aurea in Marcum, cap. 14, lectio:
6).
«Autore di questo sacramento
è Cristo; infatti, benché sia il sacerdote a consacrare, è Cristo stesso che
conferisce efficacia al sacramento, dal momento che il medesimo sacerdote
consacra in rappresentanza (in persona) di Cristo» (Super euangelium Iohannis reportatio, cap. 6, lectio 6, n. 961).
Possiamo, infine, ricordare
il perspicuo testo della Sacrosanctum concilium:
«Cristo è presente con la sua potenza nei sacramenti, di modo che, quando uno
battezza, è Cristo stesso che battezza» (n. 7). Né per questo l’opera della
Chiesa è solo estrinseca o puramente “occasionale”. Al contrario: l’azione di
Cristo si compie attraverso il gesto sacramentale della Chiesa, la quale,
celebrando, manifesta l’obbedienza al suo Signore e l’amorosa fedeltà al suo
Sposo.
I segni rituali esprimono la
sua comunione con lui: essi sono come lo spazio che il Risorto colma della sua
presenza e della sua grazia. Più che la Chiesa ad andare a Cristo, è Cristo che
viene alla sua Chiesa che ne fa memoria e, prim’ancora, che suscita e tiene
vivo in lei il desiderio. Ma, proprio perché Cristo è esaltato nella gloria (cfr. Filippesi 2, 9), e gli appartiene
ogni potere in cielo e sulla terra (cfr.
Matteo 28, 18), la sua opera non è circoscritta, né circoscrivibile, nei
confini di un tempo determinato o di un luogo delimitato; come non è
demarcabile nei termini inoltrepassabili e imprescindibili di un gesto
specifico.
Al suo nome e alla sua
signoria si piega «ogni ginocchio, nei cieli, sulla terra e sotto terra» (cfr. Filippesi 2, 10). E, infatti,
ripete Tommaso d’Aquino, «Dio non ha legato la sua potestà ai sacramenti, così
da non poter raggiungere l’effetto dei sacramenti senza i sacramenti stessi» (Summa theologiae, III, 64, 7, c; cfr. In
Jeremiam prophetam expositio, cap. 1, sectio 3). Ed enuncia il principio:
«Si può conseguire la “realtà ”di un sacramento, prima della recezione del
sacramento, in virtù del desiderio di riceverlo» (Summa theologiae III, 70, c).
Si può ottenere l’effetto -
cioè la “realtà”(res) - per esempio
dell’Eucaristia (come anche del Battesimo) quando ne sia vivo il desiderio, e
ci si trovi nella condizione di non poter ricevere il sacramento. Si ha in tal
caso la “manducazione spirituale”, che significa non una sostituzione o una
lontana imitazione della comunione eucaristica, ma l’assunzione dell’effetto o
del frutto del sacramento stesso, che è la carità o l’unione con Cristo e con
il suo corpo mistico che è la Chiesa; in altre parole, la riuscita del
sacramento.
All’origine di tutto questo
sta l’incombenza sulla storia di Gesù risuscitato, che colma l’intenzione e il
cuore di chi sinceramente vuole essere unito a lui e non può passare attraverso
il segno sacramentale.
Ma osserviamo che, anche in
tal caso, non si prescinde dalla Chiesa, dal momento che l’esito di quel desiderio
è la partecipazione all’unità ecclesiale, che è esattamente il frutto
dell’Eucaristia: «La realtà del sacramento è l’unità del Corpo mistico, senza
la quale non ci può essere salvezza: a nessuno, infatti, è aperta la porta
della salvezza fuori dalla Chiesa, come fuori dall’arca, che significa la
Chiesa, nel caso del diluvio» (Summa
theologiae, III, 73, 3).
Non si prescinde, inoltre,
dalla Chiesa, perché lo stesso Cristo opera sempre in intima comunione con la
Chiesa, sua Sposa.
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