Il filosofo ha conciliato la fine del pensiero antico
e l'inizio di quello cristiano. Ecco perché nel gioco di chi salvare dall'oblio
potrebbe vincere proprio lui...
di Marcello Veneziani
Questo articolo non commenta
alcuna novità editoriale, anniversario o tema e autore di cui si discute, ma
risponde alla secca domanda di una ragazza che mi chiede in una mail: se
dovesse indicare un solo autore, quale filosofo consiglierebbe di leggere? Le
rispondo da queste colonne, prima irritato dall'insopportabile domanda troppo
semplificatrice, poi disorientato fra troppi nomi che si affollano, infine
deciso come se dovessi eleggere un Presidente della repubblica platonica:
Plotino.
E dico perché. La civiltà
egizia, la civiltà greca, la civiltà romana. La fine del pensiero antico e
l'inizio del pensiero cristiano. Quel crocevia si concentra in un punto, in un
pensiero, in una biografia. Plotino, appunto.
Nato in Egitto, a Lycopolis
Magna, sulle sponde del Nilo, vissuto ad Alessandria dove vide gli ultimi
bagliori della civiltà egizia e della cultura alessandrina, cercatore di tracce
della sapienza d'Oriente, formatosi idealmente alla Scuola d'Atene di Platone e
di Aristotele, venuto a Roma a mille anni dalla sua fondazione, nei giorni in
cui i Goti distruggevano la scuola platonica ateniese e in cui l'impero
cominciava la parabola del suo tramonto, Plotino è l'erede di quei tre mondi e
il crocevia del pensiero mediterraneo. Dopo di lui verrà Sant'Agostino, e la
Patristica.
Nel suo tempo cresce la Gnosi
e si diffonde il Manicheismo. A lui si deve il platonismo a Roma, con una
scuola aperta anche ai politici e alle donne. A lui si deve il grande sogno
della città governata dai filosofi, Platonopoli, che sarebbe sorta a due passi
da Napoli. A lui si deve il primo, grande pensiero che supera il dualismo con
la teoria dell'emanazione e la nostalgia del Ritorno: l'Uno emana il mondo,
come i raggi del sole, e le anime avvertono il conato di tornare alle origini. Emanazione
e Ritorno sono il respiro del mondo, l'Uno espira e dà fiato al mondo, il mondo
inspira e torna all'Uno. A lui si deve la prima grande filosofia della bellezza
che dal corpo scorre verso l'anima e dall'anima risale a Dio. La bellezza come
gloria del mondo cantata dalla Luce, prefigurazione del Bello in sé.
Il pensiero di Plotino è un
viaggio dalle bellezze al Bello, dagli amori all'Amore, dall'uno all'Uno. La
vicenda del singolo si compie e si risolve nell'Uno. In Plotino si riconcilia
il conflitto doloroso tra Omero e Platone, ossia tra Poesia e Filosofia. Sorge
il Pensiero poetante, dove il rigore della teoria si sposa alla bellezza delle
immagini. Logos e Mistica. Il Sole è nel suo pensiero la metafora della Luce,
rivelazione dell'Essere. Il sole degli Egizi, Ra; il sole dei Greci, Apollo; il
sole di Roma, Sol invictus. Come il
sole, la vita di Plotino sorse a Oriente e tramontò a Occidente. Il pensiero
mediterraneo si riconosce in colui che ricucì le sue sponde. Ma si avverte nel
suo pensiero mistico anche traccia dei sacri testi d'Oriente, Upanishad e Vedanta.
Eppure Plotino è considerato
un epigono, un tramite, un minore. Anche se il suo pensiero fecondò la dottrina
cristiana e il pensiero arabo, soffiò nel platonismo medioevale e nell'alchimia,
poi nell'Umanesimo e nel Rinascimento, l'idealismo e il romanticismo, da
Marsilio Ficino a Schelling, fino a raggiungere nel '900 personalità differenti
di ambiti differenti come Jung e Florenskij, Hillmann e Hadot, Eliade. Pure
Leopardi s'innamorò di lui e a lui dedicò un dialogo, uno dei suoi pochi
scritti in difesa della vita, quando Plotino riesce a dissuadere il suo allievo
Porfirio, che sarà poi il suo biografo, dal desiderio di suicidarsi.
Per tutte queste ragioni, nel
duemila, che consideravo anno decisivo, escatologico, dedicai un libro a
Plotino. M'innamorai del suo pensiero già al liceo, lo coltivai poi dagli anni
dell'università, studiando filosofia e infine pensai di salutare il passaggio
di millennio con lui, il pensatore del Passaggio d'Epoca, testimone della fine
del mondo antico e dei primi bagliori del cristianesimo. Ricordo quel libro
come un rapimento, un'ebbrezza lucida, forse un'insolazione. Fu scritto nel
mese che Plotino dedicava a Platone, in occasione del suo Natalizio, tra maggio
e giugno. Benché pensato per anni e maturato attraverso vari appunti e letture,
fu scritto di getto, in ventotto giorni, da una luna piena a una luna piena,
con una gioia di scrivere e una facilità di scrittura, quasi che fosse già
tutto dentro di me, solo da trascrivere, o se preferite un'accezione meno
oracolare, da sbobinare.
Nella follia di quei giorni
di beata solitudine, mi attenni a un ritmo, a un numero di pagine e a un ordito
di parole che evocavano le Enneadi, i suoi 54 trattati divisi in nove opere.
Quando lo terminai ero solo in casa al mare e la porta si aprì, da sola. E lo
aggiunsi in appendice al libro: «Mentre scrivo queste terminali parole la porta
di casa si spalanca da sola. Sarà il vento». Sarà stato il frutto di una
distrazione e di un maestrale, o di un solipsista invasato. Ma in quel momento
non lo pensavo, e sarei bugiardo se dicessi che ora invece lo penso (lasciateci
le piccole follie).
Lo scrissi in forma di
autobiografia, in prima persona, riferendomi agli ultimi anni vissuti da Plotino
nella campagna di Minturno, dove morì. Era un bilancio della sua vita e del suo
pensiero, attraverso i luoghi e i temi che li avevano scanditi. Gli impliciti
modelli di scrittura erano Zarathustra di Nietzsche e Adriano della Yourcenar.
Ma uno Zarathustra che non scende nel mondo ma risale alla sua solitudine e un
Adriano che non si cura della grandezza storica ma della luce del pensiero.
Dietro l'apparenza di una fictio, tutti i dettagli storici e teorici
combaciavano con la realtà e così i nomi e i luoghi citati. Alcuni episodi,
come l'amore per Gemina, erano invece amorose illazioni. Plotino aveva ritrosia
a parlare e a scrivere di sé. Plotino si vergognava di avere un corpo, fermò il
suo allievo Amerio che voleva farlo ritrarre dal pittore Carterio, aveva
perfino pudore di mangiare in presenza d'altri.
Perciò immaginai di aver
scritto un'autobiografia, Vita natural
durante, che Plotino aveva poi annegato nel fiume del tempo, inabissandolo
nelle acque del fiume Lyris. Quel fiume Liri, oggi noto come Garigliano, si
ricongiungeva in una geografia poetica al fiume Nilo delle sue origini, ai
fiumi Illisso e Celari di Socrate e dei suoi allievi e dei suoi dialoghi
platonici, ai fiumi della sua maturità, il Tigri e l'Eufrate, crinali d'Oriente
e Occidente, e infine al Tevere alle cui sponde rimase per oltre un ventennio.
Il libro finisce nei fondali del fiume e si perde ogni sua traccia; e dunque
quel che i lettori avevano letto in realtà non esisteva.
E così accadde davvero,
perché quel libro uscì nelle librerie in un giorno assai speciale, l'11
settembre del 2001, e scomparve schiacciato da un Evento senza precedenti. I
libri passano, naturalmente, ma Plotino resta. Il suo pensiero al tramonto
delle civiltà è il Canto del Cigno del pensiero antico ed esprime la Nostalgia
dell'Essere. Perciò se mi si chiede di indicare con uno sforzo estremo un solo
Autore che racconti l'avventura del pensiero e l'eredità dei classici, benché
di ardua lettura, io indico ancora oggi, come facevo da ragazzo, quel Plotino
d'Egitto che seppe raccogliere l'anima del platonismo, ripensarla, rianimarla e
trasmetterla viva a noi posteri. Plotino o la bellezza divina del Ritorno.
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