lunedì 14 giugno 2010

In medio stat virtus


«Il costruttore deve porre ogni pietra sul fango […] Il fango è l’umiltà perché è fatto con la terra, che è sotto ai piedi dei tutti. Il coronamento [del tetto - ndr] è l’umiltà. Essa infatti è corona e custodia di tutte le virtù. E come ogni virtù dev’essere accompagnata dall’umiltà […] così anche la perfezione delle virtù ha bisogno dell’umiltà.»
Doroteo di Gaza, Istruzione sull’umiltà, XIV, 151

Un breve appunto sulla volontà. La santa prassi di attendere la grazia per agire bene - «senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5) - non deve mai essere un pretesto che blocca l’atto morale o ne rimanda l’insuccesso ad una condizione di incapacità perpetua a fare il bene.
Così come il pugile: attende una perfetta forma per vincere e si nutre adeguatamente, ma l’atto di volontà che genera l’azione non può essere deferito all'allenamento e al cibo. È lui stesso che, di propria iniziativa, innesca e conclude l’azione. Allo stesso modo, lo Spirito Santo inclina al bene per mezzo dei doni e ricostruisce la natura umana danneggiata dalla colpa adamitica, solamente però durante l’atto morale umano, che rimane esclusiva iniziativa della volontà personale. Questo a motivo del libero arbitrio.
Esempio: «onora il padre e la madre». Sono da evitare due estremi. Il primo estremo è il giustificazionismo: sono persuaso che non potrò mai realizzare questo precetto, perché sono un peccatore irrecuperabile. Se sbaglio, mi pento, mi confesso ed ottengo il perdono. Però non cresco sulla via della virtù, perché mi autogiustifico sempre. Questa convinzione porta alla paralisi dell’azione.
Il secondo estremo è il fariseismo: sono persuaso di essere perfettamente in grado, con le mie forze, di realizzare il precetto. La mia vita si riduce all’azionismo esasperato, nell’illusione che la salvezza si ottenga realizzando un’infinità di norme e precetti.
In medio stat virtus.
***
silvio

3 commenti:

roberto ha detto...

Il secondo caso si inserisce nel peccato contro lo spirito molto piu grave del primo anzi irrimediabile

Riccardo ha detto...

I due estremi menzionati mi ricordano anche due eresie. Il primo mi sembra il protestantesimo o il giansenismo, visto che afferma che l'uomo, nemmeno con le forze della Grazia può comportarsi senza peccare. Il secondo è il pelagianesimo: non c'è bisogno della Grazia per riuscire ad adempire un precetto. Entrambi sono comunque fuori della vera fede.

silvio ha detto...

@ Roberto: sì credo che il secondo caso sia più grave. Tuttavia direi che è bene abbandonare, per quel che si può, queste due vie.

@ Riccardo: esatto. Li ho chiamati con nomi diversi perché volevo approfondire solo un aspetto della questione: quello legato all’atto umano. Luteranesimo e pelagianesimo si originano infatti da riflessioni opposte sullo stato della natura umana dopo il peccato adamitico.
Io, più semplicemente, mi riferisco qui a due atteggiamenti trasversali, non propri soltanto del protestantesimo o dei pelagiani (modernisti?). Li ritroviamo anche nella Chiesa: 1) “sono troppo peccatore; qualunque cosa faccia Dio mi perdona ma io rimango così come sono”. 2) “la preghiera sarà anche importante, ma è più giusto darsi da fare nel sociale, lavorare, organizzare gite o conferenze”.
I primi li vedi sempre tristi e rassegnati: spesso sono iperdevoti, ma non si vede miglioramento di sorta. I secondi sono iperottimisti e sorvolano su liturgie frettolose e confessioni: non migliorano perché si vedono perfetti.